Trieste, Teatro Miela, 17 e 18 marzo 2022
Una giovane profuga siriana, vittima della guerra e degli uomini, trova ospitalità e accoglienza in un’antica barca a vela, abitata da quattro marinai, amici di vecchia data dotati di radici comuni e nazionalità diverse.
L’adattamento teatrale in forma di reading/spettacolo, curato e diretto da Franco Però, è tratto dall’omonimo poema in endecasillabi di Paolo Rumiz che gli dà voce in scena, coinvolgente narratore, assieme all’intensa interpretazione degli attori Lara Komar e Giorgio Monte e ai musicisti e cantanti Aleksandar Karlic e Vangelis Merkouris.
Cinque voci umane e tanti strumenti musicali si trasformano presto nella toccante espressione di un’ideale orchestra mediterranea.
Perché è il Mediterraneo il centro di questa magica vicenda in cui Moya si trova immersa lungo le coste dell’Europa, trasformandosi poco a poco in un’imbarcazione straordinaria in grado di navigare tra fiaba, mito e storia, in un ambiente dominato dal vento, dal mare e dai poderosi elementi naturali che sovrastano, limitano e proteggono gli eroi di questo viaggio, accompagnati da presenze leggendarie capaci di convivere amabilmente con altre del tutto contemporanee.
Quello di Rumiz è un testo splendido, da tenere da conto, da ascoltare in questa vivida narrazione teatrale e da rileggere poi a casa, vivendo in modo diverso e complementare un’esperienza intensa e dolce, capace di portare l’ascoltatore/lettore fuori dal tempo, in uno spazio per lui unico, preciso e assoluto, inducendolo a seguire il periplo su una mappa per lasciarsi portare ancora di più nelle profondità degli innumerevoli agganci che la memoria di autori, classici e moderni innesca.
In questo itinerario affascinante ci si trova avvolti e coccolati dalle metafore grazie a un linguaggio che risulta essere al contempo poetico, visionario, sognante, joyciano; e la presenza degli epiteti, di cui ogni personaggio è portatore, è proprio come in Omero.
Il volume è ulteriormente impreziosito dalle oniriche immagini di Cosimo Miorelli, purtroppo assenti a teatro.
È una storia di mare che evoca il deserto: mostra i due volti di un cammino estremo in cui gli umani non sono in grado di mettere radici, e si trovano così costretti a portarsele appresso trasformate in storie, in una verbalizzazione ininterrotta attraverso i secoli.
Mare e Deserto, esaltati entrambi dalla privazione totale di quel che nell’altro è presenza assoluta.
L’endecasillabo del Canto per Europa si permette molte libertà, aumentando così la sua fluida intensità e offrendo un ritmo che come la vita scorre ora morbido, ora rallenta e a volte fugge, costringendo il lettore/ascoltatore a mantenersi in stato di allerta. Quando è cullante, il suo ritmo arcaico è in armonia con l’ondeggiare in mare calmo di Moya, presenza fondante di questo epico racconto. Ma si increspa anche, fino ad agitarsi in una bufera che è soprattutto interiore.
In Canto per Europa ci si trova dinanzi a una narrazione densa, da assaporare con cura e pazienza, accompagnati dalla leggerezza di un verso perfettamente a suo agio nel trattare temi fondamentali e necessari, ineludibili ed estremi, essenziali per il presente, ma soprattutto per il nostro futuro.
In poco tempo si impossessa del lettore/ascoltatore e lo accompagna, fedele, fino alla fine, come un canto antico che si risveglia invitando a concludere la storia e riprenderla ancora, perché si prova subito nostalgia per le righe appena lette: sonore, precise e sfuggenti al tempo stesso, come le nostre radici troppe volte malamente recise.
Un taglio che ci porta a dimenticare che noi tutti siamo parte integrante di questa storia, di Europa E di Mediterraneo.
Dramma fosco e ironia sottile danzano qui perennemente abbracciati, come nella vita. Indignazione e poesia, denuncia e fiaba ne accompagnano i passi, osservando compiaciuti il loro muoversi elegante.
La musica presente nello spettacolo si dimostra così fondamentale, della quale ci si sente grati, dal principio fino alla fine.
Paola Pini