MEMORIA VOLONTARIA E FLUSSO DI COSCIENZA IN “IL FILO DI MEZZOGIORNO” ALL’ARGENTINA. LA PAZIENZA DELLO PSICANALISTA E LA VOLONTA’ DEL PAZIENTE PER RICOMPORRE L’EGO

Data:

Al Teatro Argentina di Roma, fino al 5 giugno 2022

Spesso le frustrazioni e delusioni, amarezze , vitali, la mancanza di lucidità intellettuale, a lungo andare provocano la crisi d’identità dell’individuo che caratterizzò il primo quarto del Novecento, con alcuni scrittori che posero l’accento proprio sullo smarrimento dell’essere razionale tanto che Rosso di San Secondo parlò di persone ridotte a marionette e Kafka in Gregorio Samsa ci dimostrò come si potesse scendere al rango di puro animale e precisamente uno scarafaggio, alla maniera dell’avvertimento di Dante nel XXVI Canto dell’Inferno. Per evitare di cedere alle+ contingenze e ricostruire la propria unità essenziale di mente e spirito, come già sosteneva Aristotele con l’ilemorfismo, occorre fermarsi, scendere nei meandri del proprio labirinto esistenziale ed alla maniera di Marcel Proust nel capolavoro in 7 volumi “Il ciclo di Swann”, andare alla ricerca di se stessi e recuperare quanto s’è perso. Ecco dunque il tempo perduto e quello ritrovato, quale sul piccolo schermo c’è stato di vedere con lo sceneggiato a puntate “Radici”, ma se non s’è in grado di farlo da soli questo salvataggio psichico – mentale occorre affidarsi alle cure dell’accompagnatore, quello specialista della psicanalisi che fu creata da Freud nel 1914 e che mitologicamente si ricollega al filo d’Arianna con cui Teseo uscì dal labirinto di Cnosso a Creta dopo aver ucciso il Minotauro. Ci dà testimonianza di tale profonda verità la scrittrice Goliarda Speranza, confermando sostanzialmente quanto sopra detto, con il suo libro “ Il filo di mezzogiorno” in cui metaforicamente  l’andare tra le viti all’ora del desco in estate è pericoloso come distaccarsi dalle proprie facoltà razionali, cosa che lei aveva provato con una devastante alienazione e depressione che l’avevano spinta quasi sull’orlo del suicidio e poi al ricovero in manicomio, che oggi per la legge Basaglia sono stati chiusi e si rasenta il pericolo di lasciare squilibrati per strada, che commettono orribili ed immotivati omicidi come a Vittoria contro la povera albanese appena uscita di casa. Aveva prima vissuto totalmente la giovinezza partendo dalla sua Sicilia e diplomandosi in recitazione all’Accademia d’Arte drammatica “Silvio D’Amico” nonostante il suono fonetico chiuso delle vocali tipico della sua terra; successivamente era venuto il periodo del regime fascista in cui la psicoterapia era solo sperimentata e lei aderiva gli ideali del padre socialista, impegnandosi come staffetta partigiana al pari del fiorentino Gino Bartali che salvò parecchi ebrei dalla deportazione nei campi di sterminio. Tutto questo l’aveva spinta sul baratro del precipizio e della follia da cui era nato il testo anticonformista ed irriverente, da cui ora il regista Mario Martone ha dedotto il dialettico spettacolo teatrale con lo psicanalista Ignazio Majore , cui l’aveva mandata il compagno di quel periodo il noto altro regista neorealista Citto Maselli, nell’adattamento in venti scene rispetto alle quarantuno originali  di Ippolita di Majo. Goliarda è interpretata da una stupenda Donatella Finocchiaro che rende un’autrice annichilita dalla psicoastenia a cui il professionista rimprovera d’avere sempre sonno e non collaborare abbastanza, mentre inizialmente riesce a ricordare da sola i passi compiuti, associando le sue sensazioni ed esperienze, tuttavia poi per il suo mal di letargia lo psicanalista delibera di ricorrere al “flusso di coscienza” di matrice Joyciana e lei sentendosi irretita e redarguita quale indolente lo prende a schiaffi con un’istintiva reazione. Il dottore scende dal palcoscenico e se ne va indispettito, camminando in platea non essendoci nella rappresentazione la” quarta parete”. Unicamente un paziente e progressivo , costante e diligente, lavoro d’applicazione della guida mentale , in cui s’immedesima con perfetta eleganza stilistica e curiosa indagine medica per definire i fondamenti e l’evoluzione della malattia con una diagnosi aggiornata di continuo, porteranno alla fine Goliarda a tornare in sé , dimenticando i numerosi elettroshock ed essendo lei alla fine ad abbandonare lo psicoterapeuta per l’ eccessive confidenze a cui s’ è lasciato trasportare, dopoché Goliarda gli aveva confessato di cominciare a nutrire un tenero legame e lui le aveva posto le dita sulle labbra e le mani sulle guance, confondendo la relazione da “transfert” con un innamoramento che impediva un oggettivo rapporto medico di cura, che comunque stava dando i suoi frutti. I ruoli perciò si confrontano in modo serrato, si confondono ed alla fine si rovesciano con la lettera che lei gli scrive per biasimarlo del comportamento a cui s’era lasciato andare, divenendo lui bisognoso di premure, attenzioni ed affetto. L’analisi selvaggia delle sue contraddizioni era iniziata due anni prima per Goliarda con “Lettera Aperta” in cui confessava d’usare abbondanti psicofarmaci, finché Maselli l’aveva mandata nella sua Catania da uno specialista della città dell’elefante e ciò avrebbe fatto incontrare due tipi deboli, che appunto si sarebbero dati battaglia, sentendosi poi avvinti ed infine rompendo il rapporto, con lui che lascerà esule la seconda urbe della vecchia Enotria. Nel suo passato c’era stata anche un ‘avvisaglia di crollo mentale familiare : quello della madre e poi la prigione, similmente a quanto accadde all’avvio del XX secolo a Carducci per l’ ideologia socialista e prerepubblicana. Di fronte a ciò Maselli le fece da scudo e fu tutto per lei : amante, padre, fratello ed amico, proteggendola caldamente. La Di Majo ha progettato due spazi sul palcoscenico : l’uno buio ed in ombra è il suo interno inconscio ed onirico; l’altro luogo luminoso invece della casa con il divano per lei e la poltrona per lo psicanalista è l’ES.A poco a poco, fino alla dura requisitoria finale, le “verba” di Goliarda assurgono a baldanzose  e consapevoli, sfottenti, mentre quelle del dottore sembrano sagge e competenti, però trasudano la trasformazione psichica incerta a cui s’abbandona. Dalla rituale applicazione del “signora” che riaprono ferite solo  parzialmente cicatrizzate  in Goliarda e che le vengono scavate dolorosamente con gli strumenti del mestiere e con la fretta di ricucirle non avendo più l’abilità per proseguire l’operazione e la molla del cuore portandolo ad avere pietà di lei, che aveva promesso di salvare soltanto lui ed a cui ora deve ammettere d’avuto dei problemi. Prima in “Lettere e Biglietti” lei l’accusa di farla aspettare troppo tempo tra una visita e l’altra senza nemmeno scriverle e poi l’ammonisce su quella distorsione professionale della relazione che proibiva qualsiasi approccio positivo. Secondo l’analista viennese Otto Kenberg l’amore da transfert è nevrotico, non corrisposto e , quando codesto incidente avviene, lo specialista s’è tradito da solo. Goliarda è stata innocente e coraggiosa nel profetizzare l’evento cui sarebbero andati incontro, ma il dottore le oppone l’eccessiva intraprendenza per una donna, com’è il caso di Dora, alias Ida Bauer, che, per la psicoanalista Manuela Fraire, seppe mettere a posto lo stesso Freud, ponendolo alla berlina per le sue impudenze e libertà. Pungente, dalla vita complessa e pure lei mossa da tentazioni suicide in “Frammenti di analisi d’un caso d’isteria” dopo tre mesi di terapia attuò lo stesso stravolgimento di “setting” di Goliarda, poiché il padre della psicanalisi non aveva esaminato l’impatto su di lui delle sedute. Sigmund ed Ignazio diventano due pazienti carenti di sentimento e la Speranza, non sapendo più che farsene d’un siffatto vile individuo, recide tutti i ponti, raccomandandogli di camminare rasente i muri per la vergogna e per aver tradito la scienza. Goliarda è energicamente rinata come Swann, mentre il malato si deve individuare in Ignazio che s’è lasciato sopraffare dall’amore e s’è ripiegato su se stesso. Martone dedica esplicitamente il lavoro al suo psicoterapeuta Andreas Giannakoulas che aveva il lettino per la “trance” dietro alla poltrona su cui era seduto nello studio, mentre il fecondo Martone  bravo nelle discipline artistiche cinematografiche e teatrali, per la cui mano è uscito a Cannes il film “Nostalgia” mediterranea con ambientazione nel rione Sanità a Napoli e sublime interprete Pierfrancesco Favino che, per essere fedele all’ amicizia infantile, finisce per pagare tragicamente di persona, aveva sempre pensato che fosse diviso in due, come realizzato dalla di Majo per “il Filo di Mezzogiorno “all’Argentina. La scena è stata invece disegnata da Carmine Guarino. Lo spettacolo resterà all’Argentina fino al 5 giugno, giorno di Pentecoste con cui si conclude ufficialmente la stagione del teatro al chiuso. Infatti fa già molto caldo ed afa!

Giancarlo Lungarini

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