Fino al 29 maggio 2022 al Teatro Anfitrione di Roma
La stagione del teatro di San Saba all’Aventino s’è chiusa con il brillantissimo lavoro di Pietro Romano “Il Solito Ignoto” già presentato nel marzo del 2020 con eccellente successo, che naturalmente s’è ripetuto con coloro che non avevano fatto in tempo a vederlo allora. Il punto centrale del lavoro è quello che avviene sempre di più di questi tempi in cui è difficile trovare un impiego, soprattutto nel settore pubblico dove, secondo quello che ha dichiarato il ministro Giovannini, molti non partecipano ai concorsi per lo stipendio troppo basso rispetto al privato e non vogliono spostarsi dal luogo di residenza per cui parecchi posti restano vacanti. Dunque in una residenziale periferia un malvivente s’inserisce nella casa d’una ricca coppia borghese, confidando per l’ informazioni avute dal collega “Maiolica” di non incontrare eccessive difficoltà nello svuotare la casa. Ecco il motivo per cui in televisione ricorre in continuazione la pubblicità delle serrature di sicurezza con il consiglio tra condomini di pianerottolo, ma come si sa gli imprevisti sono dietro l’angolo ed infatti al ladro non va bene poiché c’è la padrona della magione. Questa, l’autore Romano per ricavare il massimo dalla commedia in vernacolo e dal profilo di personaggi disegnati come macchiette, la ritrae bassa ed obesa con un’ insopprimibile passionalità erotica che la spinge a ricevere, durante l’assenza del consorte, una serie infinita di spasimanti che, prima circuiti con sfiziose cenette, si porta a letto per provare gioiosi amplessi sensuali goderecci, che il coniuge sovrappeso non è più in grado d’appagare. Ella ha come inserviente un’affascinante bionda che, per dare credibilità alla sua origine dall’Est Europa , finge di non capire l’italiano e cammina con il” passo dell’oca” colpendo in tal guisa il criminale che ne subisce l’impatto emotivo. I due personaggi della facoltosa signora, che sta per partire per Madonna di Campiglio con la cugina contessa e qui assistiamo ad una frizzante telefonata in cui Romano dà la sensazione di non saper trovare un orario ferroviario come ignorante individuo del ceto popolare, nonché dell’intrigante cameriera, che sta organizzando un ulteriore raggiro di quello che avrebbe dovuto essere un “mariuolo” che aveva fatto razzia nella casa, rimanendo per lo più sconosciuto in codeste circostanze, sono una spalla formidabile per l’ilarità della pièce, sostenuta in gran parte dal salace dinamismo, dall’andatura dinoccolata, dalla scheletricità, del tipo reso da Romano, che sulla scena si chiama Gigi Bello ed ha già sperimentato sovente il soggiorno nel vecchio monastero di “Regina Coeli”. Le due sono: come proprietaria la cantante romana Serena D’Ercole e quale donna di servizio la splendida e fulva giovane Loredana Forcellati, alle quali poi s’aggiunge Gianfranco Teodonio nei panni di Leo come focoso amante ingombrante di Edwige Fenech che, per ordinare una torta per il suo compleanno, sbaglia numero e scambia lo studio del ricco imprenditore per la pasticceria. Scatenato il suo Eros, Leo assume come suo sostituto personale per passare per accettabile e non repellente figura per il suo pancione il furfante,m che diventa anche il fattorino dell’esercizio commerciale e scrive una sconclusionata lettera di corteggiamento per la Fenech, rammentandoci quella sgrammaticata di Totò, rifacendosi il “look” e prendendo il ruolo d’uno stipendiato maggiordomo. Egli capisce, però, che da quell’intricato casino e dalla “ scoppiata” cellula domestica, che vive in flagranti adulteri fedifraghi non avendo più la giusta intesa, è meglio fuggire il prima possibile, magari facendo un’opera buona quale il rimetterli insieme con un arguto ed esilarante inganno articolato nei minimi particolari con l’aiuto del buio. Tuttavia c’è un tranello anche per il povero ladro che, venuto per arricchirsi con le posate e stoviglie in argento nascoste tra i suoi vestiti e nelle tasche, scopre d’essere stato beffato dalla travolgente “Galina” che non è affatto russa, bensì una bellissima ragazza nostrana che, messasi d’accordo con il “guappo Maiolica” conosciuto come “serratura” , ha predisposto suggerimenti sbagliati per “chiave”, soprannome nell’ambiente della mala quirite del soggetto impersonato da Romano, in quanto l’amava da appena fanciulla l’aveva visto e con un ricatto in nome della legge conquista il suo cuore, mentre la turlupinata famiglia borghese ridicolizzata deve cedergli una casetta o “nido d’amore” ed una cospicua rendita a titolo di risarcimento per tutta la vita. Sublime è la scena finale in cui fuori dalla finestra cade la neve ed i due s’abbracciano baciandosi, dopo che Romano ha cantato una dolce e sentimentale canzone con romantiche metafore. Lo spettacolo ha rinnovato il piacere degli spettatori metropolitani per il loro idioma dialettale, costellato da espressioni frivole ed atteggiamenti ludici, scanzonati e gustosi da notare con sarcasmo.
Giancarlo Lungarini