Roma, 14 luglio 2022, Teatro Marconi
Giovedì 14 luglio ha debuttato al Marconi Teatro Festival l’ultima fatica di Giuseppe Manfridi, LA FINALE – Roma Feyenoord 25 maggio 2022,ottavo capitolo del celebre progetto Diecipartite. Devo necessariamente partire da questo freddo dato di cronaca per cominciare a parlare, o se non altro tentare di farlo, di questo ennesimo, pregevole, atto d’amore scritto in tempo di record dalla prolifica penna del drammaturgo romano e romanista. Tentare di non lasciarmi travolgere dalla stessa passione, dalla stessa fede, che brucia dentro di lui e che mi accompagna dall’infanzia. Bene, perché anche lo spettacolo inizia con la spiegazione, e l’assoluta congruità con la tematica del racconto, di una apparentemente fredda formula matematica, la celeberrima “equazione dell’amore” di Paul A. M. Dirac, Nobel per la fisica nel 1933 e tra i fondatori della meccanica quantistica. (∂ + m) ψ = 0 significa che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce». La Roma e i suoi tifosi, la squadra e i suoi seguaci, in un indistinto e circolare movimento, tanto da non distinguere più chi esiste per chi: una cosa sola, appunto, una sola vita inscindibile. Oltre è una parola che tornerà più volte nello spettacolo. Si parte da qui per un vortice quanto mai divertente e vibrante, di un racconto ricco di passione sfrenata, di paure illogiche e “tafazziane”, di vita familiare ammantata di quei due colori, giallo ocra e rosso pompeiano, di scaramanzie, di notti di sogni, di coppe e di campioni come canterebbe Venditti. Con grande ironia, con una leggerezza che non rinnega mai la gravitas che ha per noi la questione Roma, con la cultura e la sapienza letteraria che contraddistinguono da sempre l’autore, Manfridi con LA FINALE chiude idealmente un cerchio iniziato col doloroso capolavoro di Roma Liverpool 1 a 1. Dall’epica della sconfitta all’epica di una vittoria che, con le dovute proporzioni, riscatta anni di attesa in campo internazionale. Con il sorriso, con l’orgoglio, e con un doveroso omaggio al Capitano dei Capitani, Agostino Di Bartolomei.
LA FINALE colpisce da subito, con la spiegazione di quell’equazione proiettata sul fondale, diavolo di un Manfridi, che ci porta subito dove è giusto. Oltre la partita, oltre la semplicità di frettolose e superficiali asserzioni sulla fede calcistica, oltre la banalità del quotidiano, in una dimensione universale, puntini di una moltitudine infinita, di ieri, di oggi, di domani, che prescinde la capienza di uno stadio. Non uno di meno, quelli che ci sono, quelli che non ci sono più e quelli che ci saranno. Ci immerge dove io mi aspettavo di essere immerso e poi travolto dal consueto fiume, mare, oceano di parole di un autore che vibra quando parla della sua, della nostra Roma. Vola alto come suo solito ma con una verve più forte, con una luce negli occhi che tradisce anni di “battaglie” coi mulini a vento delle delusioni, delle ingiustizie, dei sogni svaniti, del tempo che passa. Su un palcoscenico, con la bella scenografia di Antonella Rebecchini, un’artista sorprendente, e per la regia suggestiva di Claudio Boccaccini, Manfridi ci ricorda che proprio quei sogni, per avere un degno compimento e un senso aldilà del presente, continuano anche se si realizzano. Oltre.
Paolo Leone