Al Teatro Malibran di Venezia, ultima recita del 15 ottobre
Torna a Venezia Apollo et Hyacinthus una delle prime composizioni di Mozart, nata da una commissione dell’Università di Salisburgo: comporre della musica che sarebbe servita a intervallare il dramma Clementia Croesi, scritto in latino dal Padre Widl, autore anche del libretto musicato. La fonte principale è ovviamente Ovidio, con le sue Metamorfosi, ma qui, per ragioni di convenienza e di comprensibile prudenza religiosa, l’autore benedettino muta la storia della morte del bellissimo Hyacintus, involontariamente procurata da Apollo, radialmente mutando l’intreccio e introducendo ex novo altri personaggi e addossando la colpa a Zefiro. Lo stesso titolo che oggi diamo a questa composizione mozartiana è del pari posticcio, recando all’inizio solo quello di “Musica per una commedia…”andata in scena il 13 maggio del 1767. Il successo fu molto grande, sia per lo spettacolo sia per il giovane Mozart, definito famosissimus ille juvenis. Apollo e Hyacinthus era stato dato in laguna nel 1984, nell’ambito della manifestazione Europa a Venezia, allestito sempre al Teatro Malibran e qui torna in un nuovo allestimento del Teatro La Fenice, regia di Cecilia Ligorio, scene, costumi e light design Accademia di Belle Arti di Venezia. Intrigante e gustoso spettacolo che coinvolge lo spettatore sin dal suo ingresso in sala, che vedrà disseminata di giovani disegnatori intenti a progettare schizzi di quello che probabilmente vedremo in scena. Un velatino segnatamente allusivo e carico di simboliche parole fa da sipario; gli stessi giovani dell’Accademia di Belle arti, si presteranno a far da comparse, componendo e scomponendo, con gran cubi bianchi, tableaux, a partire dall’evocativo METAMORPHOSIS. L’intelligente regia della Ligorio, fondendosi in sapienza scenica, combina creativi sfondi di “street art” a fondamentali luci di reminiscenza Wilsonana, per rendere pregnante ogni gesto dei personaggi. Un esempio per tutti valga la citazione del commovente riapparire di Hyacinthus dopo la morte, esaltato da una struggente quanto toccante resa orchestrale: una semplice trabeazione sbilenca a riempir la scena, a incorniciar il dolente incontro di Oebalus con il figlio. Maestro concertatore e direttore d’orchestra Andrea Marchiol che mostra l’intensità della sua concertazione sin dalla scintillante introduzione orchestrale, ma sempre pregnante nei diversi momenti dell’azione, attingendo a una tavolozza di chiaroscuri e di contrasti ben evidenziati e sbalzati. Ottima la resa dell’Orchestra del Teatro La Fenice che aderisce alle visioni dello specialista del repertorio antico e lo asseconda con brillante condiscendenza. Nella parte di Hyacinthus ritroviamo Kangmin Justin Kim, ammirato nella bella prestazione vocale in Griselda di Vivaldi; sempre encomiabile per agilità scenica ma che vocalmente non può sfogare in questo lavoro mozartiano le possibilità vocali e tecniche di coloratura che possiede. Si fa apprezzare nella sua aria Saepe terrent numina, anche se tende a spingere troppo gli acuti. Oebalus era Krystian Adam, la cui qualità di voce mostra un timbro non particolarmente eccelso, si mostra di converso un intenso interprete: nell’acrobatica aria di paragone Ut navis, viene a capo dell’impegnativa coloratura offrendola più interpretata che curata nelle agilità, più drammatico che acrobatico, glissando un po’ sulla coloratura; senza variazioni la ripresa dell’aria ma chiusa da un canto senza accompagnamento, con dolenti sospensioni, di godile effetto teatral-musicale. Estremamente toccanti gli accenti che rivolge al figlio morto, che si travasano nel duetto con Melia, – anch’ella commossa- sfumando in canto in dolenti mezze voci. PIETAS – MEMORIA. Gustosa Melia di Barbara Massaro voce ben proiettata e sicura, che nella sua aria Laetari, iocari fa bella dimostrazione nelle rapide agilità di un timbro smagliante e penetrante in acuto, ma sa essere anche dolente e amorosa. Apollo era Raffaele Pe, dalla linea di canto elegante è dotato di omogeneità nei registri e morbidezza di voce, anche se non particolarmente voluminosa, stenta inizialmente ad adattarsi a questa tessitura mozartiana, forse troppo bassa le sue caratteristiche. Grande gusto mostra nella cadenza finale della prima aria Iam pastor Apollo, trova nel seguito accenti imperativi e tagliente si fa la voce all’invettiva contro Zephirus. Quasi drammatico suona il duetto Apollo-Melia, in cui si svelano gli animi esacerbati dei due personaggi, con bella chiusa all’unisono con appropriata cadenza. Al netto di qualche strappo in acuto è passionale interprete; ora che la voce si è adeguata alla tessitura, la coloratura si è fatta più fluida e sonora. Un duetto bruciante, con felice coup de theatre del crollo in scena: e le luci tramutano a un pregnante blu. Debole Zephirus di Danilo Pastore, dal volume e tecnica non entusiasmanti; se non si lascia apprezzare per il canto, lo fa almeno con l’azione scenica, e con un phisique du role che ben esprimono la mendacità del personaggio. Nell’aria a lui dedicata, En! duos conspicis su un raffinato accompagnamento orchestrale, riesce a migliorar la resa vocale dei melismi, più rotonda, ma sempre con suoni stirati in acuto. Efficaci e puntuali Enzo Borghetti ed Emanuele Pedrini quali sacrificuli Apollinis. Successo molto caloroso per tutti. Unica nota dolente i sopratitoli solo in italiano, privandoci del godimento del testo latino.
gF. Previtali Rosti