Corriere dello Spettacolo

Massimo Popolizio fa Furore!

Al Teatro Nuovo di Treviglio, unica recita dell’1 dicembre 2022

Furore, drammatico racconto tratto dal celebre romanzo di John Steinbeck e vincitore di un Pulitzer, vide la prima al Teatro India di Roma nel 2019 e, continuando la tournèe in giro per l’Italia, è approdato sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Treviglio. Altrettanto famoso e conosciuto il film che ne fu tratto, Furore (The Grapes of Wrath- grappoli d’odio) diretto da John Ford e interpretato da Henry Fonda.  Il romanzo, il più venduto nel 1939 e 1940, inquietava la Twentieth Century Fox per la “tematiche socialiste” e,  prima di iniziare le riprese, che volle investigare sulla veridicità della situazione dei lavoratori migranti. Il rapporto finale decretò che erano peggiori di quelle descritte! La drammatica vicenda, ambientata negli anni trenta, negli Stati Uniti in piena depressione economica, è la descrizione delle peripezie del viaggio e delle frustrazioni cui va incontro una famiglia dell’Oklahoma privata della fattoria verso un altro luogo che non si rivelerà ospitale. John Steinbeck, nello scrivere il romanzo, non fece altro che utilizzare gli articoli che aveva pubblicato nel 1936 sul San Francisco News, dettagliato reportage delle condizioni in cui si trovava a vivere tutta quella gente che aveva dovuto abbandonare la propria terra, spinta dalle mutate condizioni climatiche e dall’avidità di proprietari terrieri. Attratti dal miraggio di un impiego in California, erano fuggiti verso quello che credevano un nuovo Eden, rimanendone ben presto delusi e feriti nella dignità di persone. Si trattava di americani, bianchi e di religione protestante che, perdendo tutto si erano ritrovati nella condizione di migranti, laceri e provati, osteggiati da altri americani, bianchi e protestanti come loro. Questo “Furore” nasce da un’idea di Massimo Popolizio ed è lo stesso attore a dargli voce. Lo fa focalizzandosi sui fatti generali, in maniera esaustiva e completa, serrata e drammatica, facendone balzare in primo piano l’intento sociale del romanzo di Steinbeck. E’ la massa tutta di migranti che soffre e geme nel suo avvincente modo di raccontare, pur trovando di tanto in tanto squarci, aperture su singoli individui oppure oasi di serenità offerte dalla natura. La Polvere. E’ con la percezione fisica di questa polvere che entriamo subito in sintonia con la partecipazione narrativa dell’attore; quel cataclisma di tempeste di polvere che aveva disperso l’humus coltivabile, rendendo le terre delle fattorie non più redditizie alla coltivazione. Nella descrizione del mais, la voce di Popolizio si fa quasi canto ritmato, fondendosi con la musica, eseguita dal vivo dal bravo Giovanni Lo Cascio. Immedesimandosi nei disperati contadini ci mette a fronte della varietà umana di delegati degli spietati proprietari: non si può essere proprietari senza essere spietati. La profonda articolata ricchezza di fraseggio e dell’interpretazione di Popolizio, arricchita da un’infinita varietà di colori vocali, gli permette di divenire al tempo stesso tutte le voci narranti della drammatica vicenda. Persino del trattore, il cui “mostro filosofico” ha permeato il trattorista, e della seminatrice ci fa percepire gli “orgasmi d’ingranaggi senza passione”. La proprietà è causa di tutto? La mia oppure la nostra terra? Diatriba vecchia come il mondo…ma intanto infila nella travolgente narrazione preziose riflessioni esistenziali, per chi le vuol cogliere: “Come potremo essere noi senza il nostro passato?” Il controcanto di voci femminili riconduce a un quotidiano immediato, fatto di piccoli gesti e cose, su quel che si può portare o lasciare – che l’attore rende con struggente malinconia – andandosene via, nella polvere. Inizia il lungo, disperato viaggio sulla Route 66, lunghissimo sentiero di un popolo in fuga, reso febbrile dall’incalzare del narratore, che traduce l’ansia di arrivare ad ogni costo in California. Negli stati d’animo dei diversi tipi, Popolizio rende palpabile l’infinito coraggio, anche senile, oltre all’immensa fede che sorregge questi miserandi. Nell’accampamento di fortuna avvertiamo anche noi la solidarietà che s’instaura fra miseri, partecipi del sublime gesto collettivo di degno funerale a un bambino, che altro dalla vita non ha avuto. Ma anche cattiverie e meschinità. Nel “furore” del narrare, con toni che squassano e travolgono corpo e anima dell’attore, si aprono oasi descrittive: il fiume azzurro e limpido, il paesaggio idilliaco della California di cui percepiamo gli olezzi e infine il rasserenante episodio della tartaruga e del seme che gli si era infilato nel collo, che con i suoi movimenti contribuirà a seminare…Popolizio termina il suo tour de force in puro squarcio poetico: una giovane donna, che ha da poco partorito e perso il nascituro, dona il latte del suo seno a un uomo che non mangia da giorni e sta per morire. Perfetto parallelo dell’episodio di “caritas romana” di Pero che allatta in segreto il padre Cimone, per evitare che muoia di fame in carcere. Qui l’attore tocca vertici di pietas e com-passione, piegando la fabulazione a forza d’urto a toccare le nostre intorpidite coscienze. Un delirio d’applausi.

gF. Previtali Rosti

 

Foto F. M. Mozzano
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