Roma, Teatro Basilica, dal 13 al 14 dicembre 2022
Un baule, degli oggetti, qualche foto, soprattutto 15 nastri su cui Ennio, uno sconosciuto, lasciò registrati i racconti di 106 suoi sogni. Una compagnia di attori che, al ritrovamento casuale di tutto ciò, decide di ricostruire, di immaginare, la vita di quest’uomo e di metterla in scena. Questo è Catch Me – la casa dentro Ennio ed è’ chiaramente un compito proibitivo, ma al Teatro Basilica, in scena nelle sole due date del 13 e 14 dicembre, abbiamo assistito a un bellissimo “fallimento”. Cinque attori che come cinque frammenti di specchio tentano di dare ognuno la propria versione di una vita sconosciuta partendo da un oggetto, da uno scritto, da una foto e dai sogni. Un’immersione nel subconscio di una persona mai conosciuta, un inseguimento, un tentativo disperato di dare forma a ciò che non è più, con il risultato, splendido,di rappresentare il vuoto, le mancanze, il mistero insondabile di un altro da loro. Di un altro da noi. Diventare grandi, morte, amore, eredità. Quattro tematiche a cui i cinque in scena donano se stessi, il proprio io, per offrire all’assente una protezione, un riparo, quasi un disperato tentativo di evocare Ennio sottraendolo all’oblio del tempo che avanza indifferente, alle paure che lo hanno inseguito in vita. Col risultato di una dolcissima resa.
In una serata in cui l’intero quadrante di città intorno al teatro era paralizzato, trovarsi all’interno del Teatro Basilica e assistere a Catch me – la casa dentro Ennio è stato come immergersi in un’altra dimensione, in un sogno salvifico che ci ha riportati ai significati più profondi dell’esistenza, non solo quella di Ennio, ma di ognuno di noi. Un lavoro straordinario, insolito, brioso, tra sogno e vita. Gesto, movimento scenico, illuminazione quasi totalmente affidata ad abat-jour e torce elettriche manipolate dagli stessi bravissimi attori, proiezioni, audio con la voce originale del protagonista assente, un’operazione che oscilla tra arte e documentario e che lascia aperta una voragine di pensiero sulla precarietà di tutto ciò che riteniamo di padroneggiare, su un mondo che come sabbia tra le mani scivola verso un destino altro che non ci è dato conoscere. Un grido artistico di grande dolcezza.
Paolo Leone