Il mandolino, strumento principe della cultura musicale italiana, sta rivivendo un momento di grande splendore grazie anche a musicisti come Carlo Aonzo che instancabilmente diffondono questa cultura in Italia e nel mondo. Al termine della sesta edizione dell’Accademia Internazionale di Mandolino e Chitarra lo abbiamo intervistato.
Carlo, la tua lunga storia artistica racconta del tuo essere musicista fuori dagli schemi. Il tuo mandolino suona in progetti classici così come in più arditi esperimenti world e jazz. Da poco è iniziato una nuovo anno, tempo di bilanci e di progettualità, quale è il punto della situazione e soprattutto quali sono i tuoi progetti futuri?
Il mandolino è uno strumento iconico ma con possibilità espressive ancora inesplorate. Da appassionato di linguaggi mi sono sempre interessato a ricercare nuovi potenziali dialettici dello strumento che spesso sono in contrasto con l’idea stereotipata dello strumento tradizionale. Insomma, il mandolino è un illustre sconosciuto che riserva sorprese.
Per quanto riguarda i progetti futuri e il recente trascorso, sono attualmente impegnato nella docenza al conservatorio e sto sviluppando attività divulgativa con i campi settimanali dell’Accademia Internazionale Italiana di Mandolino e Chitarra che stanno avendo grande successo. Per quanto riguarda l’immediato futuro, ho avviato recentemente una importante collaborazione con il prestigioso pianista Bruno Canino, una leggenda vivente. Il maestro nella sua lunga carriera ha accompagnato i più grandi violinisti della storia della musica e questa è la sua prima vera collaborazione con un mandolinista. Sono orgoglioso di rappresentare per lui questa nuova esperienza.
Un altro appuntamento di rilievo è quello del 9 febbraio al teatro Bellini di Catania dove con l’Orchestra del Conservatorio celebreremo accanto all’aspetto accademico dello strumento quello non meno importante dell’epopea dei grandi virtuosi italiani delle corde che ha avuto in Sicilia la massima espressione con virtuosi quali Giovanni Gioviale e compositori come Francesco Musmarra.
Raccontaci la tua visione della musica.
Sono sempre più convinto che non abbia molto senso categorizzare i diversi generi musicali. L’esperienza e la carriera mi hanno portato a constatare e a scoprire una commistione perenne tra musica colta e non colta tra accademismo e popolarità. Questo fenomeno di interscambio è sempre avvenuto in passato e personalmente continuerò a ricercarlo. La musica per me rappresenta innanzitutto condivisione: ritengo magico il privilegio di parlare un linguaggio universalmente compreso.
Parlando dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?
Il primo riferimento musicale è certamente il mio papà che tra l’altro è stato il mio primo insegnante. È lui che mi ha introdotto alla musica tra virgolette importante per il mandolino come quella ad esempio di Raffaele Calace, Carlo Munier e Giuseppe Milanesi. In ambito non classico invece i punti di riferimento sono stati Jethro Burns, David Grisman, Mike Marshall…; è ascoltando i loro lavori musicali che ho potuto approfondire il mandolino nord americano, nel jazz, nel bluegrass e nello choro brasiliano. Con Grisman e Marshall ho anche avuto l’opportunità di lavorare in uno scambio reciproco di culture musicali diverse.
Lavori molto all’estero con tournée a tuo nome, masterclass e collaborazioni, da questo tuo osservatorio privilegiato noti differenze, e se si quali, nella percezione del tuo strumento in Italia e all’estero?
Il mandolino sta vivendo il suo momento più grande di divulgazione a livello mondiale e quindi c’è una grandissima proposta musicale nel mondo sia in ambito classico che non classico; possiamo dire tranquillamente che oggi questo meraviglioso strumento è tornato di moda e che sarà sempre più presente in situazioni concertistiche. In Italia va ancora colmata la lacuna nelle scuole medie dove attualmente non è ancora previsto l’insegnamento del mandolino.
Numerosi musicisti oggi dedicano molto tempo anche alla didattica e all’insegnamento, come anche nel tuo caso, quanto pensi sia importante questo aspetto del vostro lavoro?
Didattica e divulgazione sono aspetti imprescindibili che completano la personalità del musicista. È importante creare momenti di confronto e condivisione per dare indicazioni anche a persone di cultura molto diversa sulle possibilità dello strumento e su come avviare una didattica di avvicinamento allo strumento non solo dal punto di vista tecnico ma anche sulle opportunità propedeutiche e socializzanti dello stesso.
Cosa ti auguri per il futuro della musica e per la cultura in generale?
Da musicista itinerante con esperienza pluriennale del fare musica in territorio estero, mi sono reso conto delle difficoltà eccessive che ci sono in Italia per chi produce musica e cultura, questo è un aspetto che va sicuramente affrontato dalla politica. La cultura va incentivata e non ostacolata, semplificare la burocrazia e agevolare economicamente le produzioni musicali, artistiche e culturali in genere, inoltre, credo si debba imparare a saper distinguere tra le produzioni meramente commerciali rispetto a quelle che invece arricchiscono gli animi umani.
Tornando a noi, invito i lettori del Corriere dello Spettacolo ad avvicinarsi al suono del mandolino sia attraverso l’ascolto, sia con l’approccio diretto! Potrebbe essere un’esperienza con sorprendenti soddisfazioni. Inoltre è il momento di tornare a seguire la musica dal vivo alla ricerca della pura bellezza senza mai accontentarsi della fruizione in digitale.