Poker d’assi contemporanei in Scala

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Fino a fine maggio al Teatro alla Scala di Milano

E’ in scena al Teatro Alla Scala, fino a fine maggio, un trittico di coreografie firmati dal grande coreografo americano William Forsythe. “Tra le tante coreografie che ho creato ve ne sono alcune che riprendo e sulle quali non smetto di lavorare sin tanto che continuano a ispirarmi. Paul Valéry diceva: “Un poema non è mai finito, semplicemente l’abbandoniamo”. Con questa frase il coreografo dice già molto di sé. Pioniere di un nuovo stile di danza, fonde il contemporaneo con l’utilizzo delle scarpette da punta. Sembrerebbe un controsenso, ma l’innovazione portata dal 74enne newyorkese (è nato a Long Island nel 1949) è principalmente qui. Non ha quasi mai creato balletti narrativi, ma sempre astratti (nella migliore tradizione post Balanchine), che richiedono una preparazione tecnico-accademica fortissima, ma altrettanto una buona conoscenza dello stile modern. Non è facile smollare anche e schiena e rimanere sulle punte, ma tant’è; in più, quasi sempre i suoi costumi (che di solito decide personalmente, come le luci) sono molto essenziali; bodies, tute aderenti, che non lasciano spazio ad eventuali errori: se si commettono, si vede, eccome.
Il filo conduttore dei tre lavori è la musica di James Blake, giovanissimo musicista inglese, classe 1988, che firma tutte le coreografie della serie Blake Works. Qui siamo al Blake Works V, punto di arrivo di un progetto settennale iniziato con Blake Works I creato per il Balletto dell’Opéra di Parigi nel 2016, a cui sono seguiti gli altri, tutti unici ed inediti, con selezioni musicali, coreografie e formazioni diverse. La prima coreografia è la più breve, Prologue, per cinque danzatori e due danzatrici, in un intreccio complesso soprattutto perché la musica ha diversi momenti di muto, a cui bisogna star dietro esattamente come se ci fosse la musica. L’esecuzione è buona, anche perché sono in scena alcuni dei giovani più promettenti del Corpo di Ballo, Navrin Turnbull su tutti.
Il pezzo più interessante è senza dubbio The Barre Project, del 2021, ed ha una storia incredibile. Forsythe lo montò via Zoom, a causa delle restrizioni per la pandemia da Covid-19, dalla sua casa nel Vermont, con quattro artisti tra cui Tyler Peck, étoile del New York City Ballet, che erano basati a Los Angeles. Esprime la frustrazione che tutti i danzatori hanno provato per la reclusione forzata, non potendosi allenare e cercando qualsiasi cosa che potesse fare da sbarra pur di fare qualcosa anche a casa. La musica è meravigliosa, e come nel miglior stile di “Billy”, un gran daffare di entrate, uscite, assoli, il tutto per quattro danzatori ed altrettante danzatrici. Fisicità, ritmo elevatissimo, contrazioni, il tutto eseguito con le mezze punte per tutti. Un capolavoro. Come spesso capita in Scala, non tutti i danzatori sono all’altezza ma ormai si è capito che ci sono quelli che devono danzare sempre per forza anche se non è proprio il loro. Pazienza…
Chiude la serata proprio Blake Works I, dove sono in scena un sacco di danzatori, nel classico stile di Forsythe di entrate/uscite, passi a due, assoli, gente che va e viene, chi salta, chi si ferma, chi fa una presa, in un disegno davvero complesso ma bellissimo. Anche qui, c’è chi proprio c’entra poco, oltre ad alcuni errori di sincronia nelle file abbastanza evidenti.
Fra le tre coreografie, sono riuniti quasi tutti i primi ballerini: Martina Arduini, Nicoletta Manni, Alice Mariani, Nicola Del Freo, Timofej Andrijashenko, Claudio Coviello. Nessuna interpretazione narrativa, nessuna storia, ma tanta tecnica: moltissime pirouéttes, salti e canoni dove a volte non si sa chi guardare perché ognuno fa una cosa diversa, ma visto dall’alto sembra il disegno di una merlettaia che sta dando vita ad un pizzo molto difficile. Un coreografo geniale, da sempre, che sa sempre evolversi e stupirci; per una sera, niente cigni o fanciulle morte, niente schiaccianoci o belle addormentate, ma una “botta di vita” coreografica che ci voleva. Da vedere assolutamente.

 

Chiara Pedretti

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