Al Teatro alla Scala, il 14 maggio 2023
Nell’encomiabile prosieguo del progetto di riscoperta del Barocco italiano, il Teatro alla Scala, ha accolto per la prima volta un’opera di Nicola Porpora, CARLO IL CALVO; esecuzione in forma di concerto che non ha sentito la mancanza di una forma scenica, bastando la bravura e l’evocativa interpretativa dei solisti. Ottimo il livello vocale dell’intera compagnia chiamata a eseguirlo, forte anche dell’esperienza dell’incisione della stessa opera di Porpora. Franco Fagioli, Adalgiso, è stato indubbiamente la star della serata, nella conquistare lo spettatore non solo con il virtuosismo del canto, ma per la realistica interpretazione che scaturiva da viso e corpo. Timbro più chiaro, da sopranista, voce penetrante e ben proiettata, da subito un saggio in Tornate tranquille aria ricca di piccoli trilli che esegue da par suo, agendo l’aria con gustosa interpretazione e mimica facciale, non solo edonistico susseguirsi di vocalismi. Sapiente dosaggio di fiati, nella chiusa. In Saggio nocchier che vede, con occhi mobilissimi, mostra abile discesa ai bassi, sfruttando la voce naturale di tenore: efficace effetto di straniamento vocale nell’ascoltare, ben saldati, i due registri. Ripresa dell’aria che mostra qualche suono fisso, suggellata da un’impeccabile chiusa in acuto. Arriva esausto ma è premiato da una vera ovazione e costretto a rientrare in sala. Non pago torna a farla da padrone con Taci, oh Dio! aperta da una superba ed espressiva messa di voce (qualche fissità), e proseguita con una naturale espressività; Fagioli non è mai caricato, giocando con sapiente abilità con il suo strumento vocale, lo piega a ogni più impervio ostacolo. Trillo, forse non ben espresso. Spesso di nubi cinto aria di paragone, di vivida vocalizzazione e teatrale mimica facciale, nella ricerca della giusta posizione di emissione e risonanza. Precise roulades. Quest’aria è, al tempo stesso, lezione di tecnica vocale dove, al già citato acting, mette in opera, stringe e amplia i suoni con maestria, trilla a fini espressivi, centrando ed esemplificando l’estetica e la poetica del barocco: la meraviglia. Il tutto con stupefacente facilità. L’unico “appunto” che gli si riesce a fare è che, salendo in acuto con gradazione e non di forza, il suono oscilla un poco, pur emesso con rapinosa morbidezza, elegiaca espressività e pathos. Julia Lezhneva era una Gildippe scintillante in abito di lustrini: voce rotonda (che rende meglio dal vivo piuttosto che registrata) e di finezze di smorzandi. Sento che in sen turbato subito mostra una superba velocità di vocalizzazione e sempre sgranata, buon trillo, partecipe ed espressiva interprete, bassi un po’ scarsi e gonfiati. Tende a buttarsi a volte sulla coloratura con eccesso, con effetto jodel. Cadenza di bravura di forza. Quasi drammatica nel recitativo che precede Se nell’amico nido, aria che si caratterizza per i trilli a gruppetto, in eccesso di languidezza. Interprete sensibile, rileva profondamente, comprendendo ogni sfumatura, di quel che fraseggia. Preziosi pianissimi e mezze voci, con la ripresa dell’aria intessuta di preziosità vocali: da arrivare alla fine estenuati. Sa essere gustosa coquette in Amore è un certo foco, sviolinando la voce, e la gioca come vuole. Altra punta di diamante della serata il toccante duetto amoroso in cui il passionatissimo soprano (e glielo si legge in viso) tempesta di amorosi trilli il Dimmi che m’ami, con Fagioli dolce e insinuante nel replicare. Le voci si sposano in svenevole dolcezza, duettando in amorosa foga. La ripresa è ancor più sdilinquita, in un momento di estatica sospensione ultraterrena e celestiale: rapiti i sensi da una sfiancante sensualità canora delle voci che si rispondono in eco. Attossicante ed estenuata bellezza: BEL CANTO nella più pura essenza. E il pubblico esplode nel secondo boato che richiama in scena i protagonisti. Sua l’aria solistica conclusiva Come nave in mezzo all’onde esibizione virtuosistica, con roulades in eco. Max Emanuel Cencic offre a Lottario un buon timbro, più scuro, da contraltista, di non corposissima voce. Vado nello splendore è attaccata da bella messa di voce; fluida la coloratura anche se tende a essere spianarla sulla vocale “a”. Lui pure interpreta con il gesto, più sobrio e ieratico, aulico. In Se rea ti vuole il cielo coloriti e pieni i bassi, ma meno fluido nella coloratura veloce, spingendo sugli acuti emessi sempre sul forte. Intrigante il duetto che vede le due voci dei due controtenori principali messe a confronto, in gustoso contrasto di colori e sentimenti. A Cencic tocca l’aria più coinvolgente dell’opera, Quando s’oscura il cielo a chiusa della prima parte del programma. Ottimo interprete nel rendere la tinta del pezzo, raggiungendo puro struggimento nell’evocazione della parola illanguidisce. La ripresa è tutta giocata sul magico, elegiaco andamento dell’aria, infiorata di semplicissime variazioni. Anche Cencic usa la voce naturale di tenore per raggiungere l’ottava bassa. Nuovamente a confronto, in drammatico recitativo accompagnato i due timbri dei controtenori, pria di Se tu la reggi al volo (in realtà dall’Ezio, sempre di Porpora), aria marziale quant’altre mai. Chiude con So che tiranno io sono, con imperativa dizione. Giuditta era Suzanne Jerosme, voce inizialmente trattenuta, ma che poi si allarga; pregevole e pregnante interprete in Vorresti a me sul ciglio tipica aria di furore, in tempo velocissimo e del pari eseguita in sicura vocalizzazione, senza tentennamenti. Puntuale immersione in basso. Toccante nell’addio e bacio al figlio. Tu m’ingannasti è aria nuovamente in tempo rapinoso, veloce nel suo furore ma puntuta nella coloratura, spingendo sugli acuti. Ambroisine Bré, una Edvige di bel timbro, rotondo e passionale, interprete che si vede ridotta alla sola sezione iniziale l’aria Pender da cenni tuoi. Intera invece Il provvido cultore, in cui dispiega tutta la bellezza del timbro, giocando sull’espressività dell’aria. Dennis Orellana, Berardo, altra voce di controtenore, caratterizzata da un impeto coloristico frenetico. In Per voi sul campo armato tutto è spinto, e ne consegue che la vocalizzazione è discreta ma non fluida ne precisa, spinge troppo sugli acuti, pagando lo scotto di tanto entusiasmo ed esubero di energia vocale. Ancor più netta impressione ne Se la fatal arena dove arriva impreciso, in periclitanti riprese di fiato che minano il legato, per eccesso di agitazione interpretativa. Asprando era Stefan Sbonnik, tenore dal piacevole timbro e dalla chiara dizione. Sicuro in Col passagger talora, la voce squilla e si percepisce la tensione nel canto. Ancor più sapido e tremante nel fraseggio nel recitativo che sfocia in Piena di sdegno in fronte, bene resa nella penetrante ottava alta. Il Complesso Armonia Atenea era diretto da un coinvolgente George Petrou, capace di imprimere un ritmo serrato e scintillante all’intera partitura, offerta con qualche sagace taglio, a iniziare dalla Sinfonia, fastosa in ritmi e suoni. Esecuzione durata quasi mezz’ora in più del previsto, per l’entusiasmo mostrato dal pubblico, che non smetteva di mostrare un caloroso entusiasmo.
gF. Previtali Rosti