È dagli anni venti del Novecento (cfr. Lippmann, Bernays) che si sa che il controllo di una nazione passa attraverso la gestione e il controllo dei media. Ma deve essere sempre stato così dall’invenzione della stampa. E uno degli esempi più formidabili in questo senso è il Brasile di Roberto Marinho e l’invenzione della telecrazia negli anni settanta. Si va verso un’esperienza del reale largamente ed elettronicamente modificata.
Si va verso la ricostruzione elettronica e digitale di esperienze neopsichedeliche even better than the real thing per dirla con gli U2; ed esattamente come le prime machine della Prima Rivoluzione Industriale erano molto meglio del lavoro di centinaia di uomini.
La progressiva scomparsa del lavoro dell’uomo è un’altra conseguenza del magnifico sviluppo tecnologico contro cui non è più possibile fare niente, oramai – ma forse non è giusto dire così, rischiamo di passare per dei luddisti, metodisti e radicali: sembra di fatto pazzesco ma stiamo vivendo le stesse storie dalla fine del Settecento, dal Seicento dei Diggers e dei Levellers, se consideriamo il contratto sociale, non solo il libro, e le sue discussioni con Thomas Paine, per cui pace e giustizia sono alla base della concordia che determina il vero progresso sociale. Escludiamo dalla discussione quindi ogni implicazione sociologica del progresso tecnologico. Non dimentichiamo che la Prima Rivoluzione Industriale è prodromica alla riduzione dei costi di produzione e concomitante a quella Americana e a quella Francese.
Era l’anno di Colazione Da Tiffany, Goldfinger, Il Dottor Stranamore, Anatomia Di Un Omicidio, Il Gattopardo – i libri da cui i film omonimi, come gli spartiti di una musica nuova. 1984 e Animal Farm sono addirittura del decennio precedente. E dovevano solo essere delle parodie dei sistemi comunisti. A Clockwork Orange è del 62, ma sono sempre libri, le basi, gli spartiti di musiche future.
Ed era comunque l’anno in cui Miles Davis gettava le basi di Kind Of Blue, introdotto da Paul Chambers al basso e Bill Evans al piano nel delizioso So What di apertura, con due registrazioni di cui una del 26 Maggio 58 agli studi della Columbia sulla trentesima strada, e l’altra del 9 settembre, sempre del 58, all’Hotel Plaza, sempre a NYC (1958 Miles, 1974).
Era l’anno in cui anche la bossa nova cominciava a scalciare – Getz/Gilberto è dei primi anni sessanta, infatti, del 63 se non sbaglio. E il primo disco di bossa nova dovrebbe essere del 59, come Kind Of Blue.
Era ad ogni modo il 1958. Il Brasile vince il Mondiale in Svezia, e tra l’altro Stan Getz era proprio da quelle parti all’epoca. E Duke Ellington se ne esce con l’avveniristico The Cosmic Scene che ci avvicina all’oggetto del nostro contendere – ma c’è innanzitutto da dire che è il cinema la prima arte multimediale – ma quelle sono vette insormontabili – se il teatro è una manifestazione artistica polisensoriale (ma il cinema è il teatro elettronico); e che l’anno è lo stesso in cui nascono gl’inarrivabili BBC Radiophonic Workshop, cari al genere elettronica, in cui lavoravano Delia Derbyshire, poi diventata una traccia audio degli Spectrum su Forever Alien del 1997, e Maddalena Fagandini, quella di Time Beat, con George Martin, poco prima che Martin incontrasse i Beatles, divaricandosi verso una storia nuova per tutti e diversa.
Nel 1958, comunque (è questo l’anno), a Bruxelles c’è l’Expo. E a quell’esposizione universale partecipano gli olandesi della Philips con un padiglione tutto loro. Ed è proprio questo il punto: il padiglione della Philips ad Expo 58.
Sicuramente dobbiamo parlare prima di radio, televisione e cinema. È l’era dei mass media e della loro evoluzione. Ma questa di Expo 58 è tra le prime esperienze immersive di luce e suoni della storia, se la prima potrebbe essere quella vissuta nel 57 con Vortex: Experiment In Sound And Light di Jacobs e Belson su musiche di Stockhausen al Morrison Planetarium di San Francisco, poi anche loro presenti ad Expo 58.
È un’esperienza addirittura antecedente alla sperimentazione psichedelica tipo The 14 Hours Technicolor Dream coi Pink Floyd capitanati da Syd Barrett, o tipo l’Expanded Cinema di Andy Warhol (come da titolo del libro del 70 di Gene Youngblood); e prodromica a lavori ed esibizioni del tipo di quelle di artisti tipo Jean-Michele Jarre; o, considerando solo l’aspetto musicale, precedente di un decennio i Silver Apples, o Lumpy Gravy di Frank Zappa (che era un celebre fan di Edgard Varese, ma c’erano prima le radio plays di Beckett….electric plays…..) per tagliare corto.
È un primo movimento, il presagio di un futuro artistico di cui al momento l’ultima frontiera è il drone show – il Philips Pavilion di Expo 58, dunque, a Bruxelles, Il Poema Elettronico.
È una storia di sessantacinque anni fa (ma per avere un’idea dell’esatta cronologia degli eventi d’arte elettronica avrebbe potuto aiutare un passaggio a Linz nel 92 ad Ars Electronica per la mostra Pioneers of electronic art – Steina e Woody Vasulka, Eigenwelt der Apparatewelt: Pioniere der Elektronischen Kunst, Ars Electronica, 1992).
Era l’anno dell’incidente aereo di Monaco del Manchester United, e il Philips Pavilion di Expo 58 consisteva in un lavoro interdisciplinare che coinvolgeva architettura, musica, matematica e luce.
In diverso modo detto possiamo capire che si trattava di un lavoro interdisciplinare tra arte, scienza e tecnica, quasi una dimostrazione del pamphlet esistenzialista di Martin Heidegger sul ruolo e la posizione relativa dell’uomo negli ambienti spaziali tripartiti tra arte, scienza e tecnica (come in MAN, MUSIC, MACHINE – PERSPECTIVES OF THE POSTWAR HUMANISM; Mgr. Martin Flašar – Institute of Musicology, Masaryk University, Brno /CZ/).
E le potenzialità espressive dell’assiomatica prodotta sono quindi infinite. Il range delle conseguenze è distinto e molto importante e copre tutto l’arco figurativo contemporaneo. Stiamo parlando del Poema Elettronico, nel complesso un lavoro di Le Corbusier, Iannis Xenakis, Edgard Varese. Un lavoro che è luogo della rappresentazione e luogo della rappresentanza in cui l’uomo si rappresenta a se stesso e alle coordinate immateriali della rappresentazione artistica in virtù della tridimensionalità dello spazio e dell’azione: le immagini, le luci, i suoni, lo spazio il tempo e l’elettronica.
E le domande implicate da questo lavoro, al termine della seconda Rivoluzione Industriale, al termine della seconda Guerra Mondiale, in piena era atomica, con la robotica e l’intelligenza artificiale in fase di studio (The Computer And The Brain, è tra l’altro un libro postumo proprio del 58 di von Neumann), sono di tono umanista, da neoumanesimo, sul ruolo dell’uomo singolo nei confronti delle masse, delle masse nei confronti di arte, scienza e tecnica, e del singolo uomo e delle sue relazioni col mondo materiale e immateriale, sulla nozione di individuo e sulla revisione dell’io, ammesso che esista un io oramai capace e dotato di individualità – Julian Huxley infine comincia a parlare di transumanesimo proprio nel 57 e l’augmented reality è una conseguenza.
È la musica che comincia a diventare qualcosa di più. È l’Opera con attori immateriali. Qui non si ascolta solo la musica ma si segue uno spettacolo elettronico di arte contemporanea. Siamo nel 1958: roba di 65 anni fa oramai diventata uno status symbol delle presentazioni di arte contemporanea.
Il Poema Elettronico consiste ad ogni modo nell’intersezione, prima al mondo, tra spazio, luce e suono nella loro ricostruzione elettronica. Ci sarà un seguito col primo concerto quadrofonico della storia, quello dei Pink Floyd del 12 Maggio del 1967 con Syd Barrett intenzionalmente devoto alla realizzazione dell’azimut coordinator e gli spettatori in mezzo a quattro diffusori audio: due davanti e due dietro – quadraphonic sound, surround speakers nella loro concezione alla genesi – questo il sogno immersivo di Syd Barrett dalla cui spazializzazione il combo di Cambridge, senza Syd Barrett, arriverà al lavoro più maestoso condotto col EMS VCS 3: The Dark Side Of The Moon di cui finanche la NASA ha stampato una copia e di cui quest’anno ricorrono i cinquant’anni.
Il padiglione della Philips di Expo 58 è stato distrutto. Ma esiste la ricostruzione digitale del Poema Elettronico col Virtual Electronic Poem, il cui webdoc è stato selezionato dalla US Library Of Congress per essere incluso nella storica collezione di materiali internet collegati al Web Archive delle Performing Arts, già esibito in una sua installazione al MoCa di Los Angeles nel 2011.
Nel delineare singolarmente prese le tre traiettorie del Philips Pavilion di Expo 58, nella sua componente architettonica e spaziale, sonora e musicale, e quella degli apparati video in relazione allo spettatore e ai suoi movimenti, si può dire che, anche con l’aiuto spirituale di Expanded Cinema di Youngblood, il Poema Elettronico è uno show audiovisivo di otto minuti diviso in sette sezioni che crea una spazializzazione entro la quale lo spettatore vive le sue azioni esattamente come riportato dai files di VEP che come detto ricostruisce in digitale l’esperienza del padiglione Philips in un lavoro finanziato dall’Unione Europea e coordinato da Vincenzo Lombardo dell’Università di Torino:
https://www.cirma.unito.it/vep/
https://www.cirma.unito.it/portfolio_page/virtual-electronic-poem-vep/
Altri due prolegomeni interessanti e aderenti sono il NXT museum e il Museum Of Electronic Dance Music entrambi ad Amsterdam. Da quasi vent’anni infine, ogni lavoro della Pixar è un’opera d’arte interamente elettronica, digitale.
Il dolby surround e l’home theater, della spazializzazione del suono dell’Elettronic Poem sono una conseguenza.
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Si ringrazia Vincenzo Lombardo per la foto