Al Teatro Regio di Parma. Recita del 15 ottobre 2023
Per la comprensione dell’opera di un compositore è essenziale unire, oltre alla conoscenza della musica, quella delle condizioni in cui l’opera fu scritta: il fattore biografico diventa ancor più importante per giudicare le prime opere di Verdi. E’indispensabile rendersi conto delle condizioni dell’epoca in cui furono composte, unitamente agli eventi nella vita dell’autore e delle vicende della sua carriera. Fra tutte le composizioni verdiane questo è particolarmente vero per I Lombardi alla prima crociata, diversamente pregi e lacune dell’opera rimarrebbero inspiegabili. Solo un genio teatrale come Giuseppe Verdi poteva musicare un libretto, quello di Solera, che raggiunge inusitate punte di crudezza: “D’un sol colpo in paradiso l’alme altrui godiam mandar! Col pugnal di sangue intriso | poi sediamo a banchettar! “ Notevole il risultato che un giovane compositore trentenne riuscì a operare con tal incandescente materiale unito a un livello di assurdità raramente eguagliato in altri librettisti. Difficilmente Verdi avrebbe accettato quel romanticismo esasperato e fiammeggiante dei Lombardi, con inaudite complicazioni e personaggi incredibili se non fosse stato un ardente patriota, insofferente alla dominazione austriaca. La sua musica s’identifica con la causa dell’indipendenza italiana, trovando qui ancor più facile riconoscersi nei battaglieri crociati lombardi che negli ebrei del Nabucco, impersonando tangibilmente sentimenti e aspirazioni che pervadevano gli italiani del tempo. E va riconosciuta la trascinante forza, quale parte migliore di questa partitura, dei monumentali Cori a sfatare il luogo comune che l’opera italiana sia imperniata solo sulle voci dei solisti, mentre la massa corale assurge ora a protagonista, e non solamente in O Signore dal tetto natio. La forza drammatica e l’assoluta sincerità compositiva verdiana, espresse con animo e affetto, mostra intatta l’estrema attualità dell’opera. Nuovo l’allestimento del Teatro Regio di Parma affidato per regia, scene, costumi e video alle mani del 93enne Pierluigi Pizzi, a far valere un alto rispetto della musica con un’incontestabile teatralità. Attorno a una pedana circolare costruisce lo spettacolo con eloquenti, a volte fin troppo didascalici video a risolvere velocemente i cambi di scena. I momenti più intensi il regista li ottiene per sottrazione quando la scena quasi spoglia, come nel fascinoso aprir di sipario nella pregnanza di toni grigio piombo e raro bianco della protagonista, spira ieratica stilizzazione. Essenzialità di regia, che mette in palcoscenico anche solisti orchestrali sottolineando, quale eloquente motore del dramma, l’importanza della musica. Meno entusiasmanti i costumi. Sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini – Orchestra Giovanile Della Via Emilia il Maestro Francesco Lanzillotta, che dispiega fin dall’ouverture turgidi colori con ritmi scattanti il magma orchestrale, tenendo serrate le fila della narrazione drammatica senza mai scadere il Verdi quarantottesco in una parodia di se stesso. Concertatore sagace, dipinge con passione l’oscura atmosfera della scena dell’Eremita; espressivi i passaggi nel duetto Giselda – Oronte, scolpendo con vigoria l’accusa di Giselda. Frasi rotte e affannose si ascoltano nella scena di Oronte morente (anche se il tenore non è del pari interprete). Potente nei concertati, esalta il coro “risorgimentale” caricandolo di evocativi ricordi in leggerezza di danza. Michele Pertusi veste da oltre vent’anni i panni di Pagano – Eremita ancora con forza e incisività penetranti, soprattutto nel fraseggio che lo rende credibile anche là dove la voce non lo sostiene al meglio. In Sciagurata mostra qualche problema nel registro basso ma, ben sostenuto dal direttore che stacca tempi adatti alla ridotto legato e fiati meno ampi, fa valere la sua professionalità, ben delineando l’iniziale doppiezza d’animo del personaggio. Veemente in O speranza di vendetta, dove può sfruttare le ancor nitide risonanze del registro acuto, ancorché non sempre ben immascherato. Nella scena della caverna, messo sul fondo della scena, la voce non corre, per poi guadagnare in efficacia; fraseggiatore intelligente, delinea un eremita tormentato nell’animo da rovelli e laceranti rimorsi. Lidia Fridman, statuaria nelle pose, è una Giselda che spicca per forza di penetrazione, dal timbro caldo e vibrante, voce ben proiettata e squillante; inizialmente magica, sola sotto i riflettori, offre un’eterea Salve Maria. Nell’harem, in O madre dal cielo dispiega disperati accenti in bell’arcata sonora dal perfetto legato e l’intensità sparsa con Se vano è il pregare risulta in partecipe e lacrimevole implorazione, mostrando sapiente controllo dello strumento vocale, attacchi in pianissimo, dosaggio delle dinamiche, sfumature e ricchezza di colori di voce. In No!…giusta causa gonfia un po’ i centri, ma rende il canto più vibrante, caricando d’irrefrenabile veemenza la cabaletta. Il timbro si fa struggente nella memoria di tende lombarde e, nel duetto, riesce nell’intento trascinante di smuovere il tenore a passione, proseguendo con Tu la madre nella drammatica invettiva al cielo. Generosa in Ah, di sembianze eteree, è sicura e inebriante di agilità nella cabaletta Non fu sogno! Antonio Poli è un Oronte che si segnala per la robusta fisicità vocale, ma tutta di forza e senza grazia. La sua letizia infondere latita nell’interpretazione piatta, senza sfumature e in Come potea un angelo è del pari impersonale e privo di autentica sensualità, pur tentando qualche finezza interpretativa. Nella ripresa della cabaletta esegue piccole variazioni, ma nelle mezze voci il fiato non è ben sostenuto, sbiancandosi un po’. Lo stesso vale in Per dirupi e per foreste dal canto muscolare: la voce ha grande squillo ma senza chiaroscuri. Troppa presenza vocale in Qual voluttà trascorrere e nell’eco paradisiaco, povero di vive modulazioni. Antonio Corianò era un sicuro Arvino, dal timbro lucente e squillante, curato nel fraseggio e dall’efficace presenza scenica. Giulia Mazzola è amorevole Viclinda in Tutta tremante, Luca Dall’amico pessimo Pirro dal timbro cavernoso. Lorenzo Mazzucchelli modesto Acciano, Galina Ovchinnikova una corretta Sofia, Zizhao Chen un insignificante Priore della città di Milano. Pregevole il momento solistico offerto da Mihaela Costea, violino solista. Efficacissimo il Coro del Regio diretto da Martino Faggiani. Avvolgenti e nette luci di Massimo Gasparon, minima la coreografia di Marco Berriel. Alla fine è un tripudio di applausi e di festa nel teatro, con vere e proprie ovazioni per la Friedman, Lanzillotta e Pizzi.
gF. Previtali Rosti