Il **74° Festival Internazionale del Cinema di Berlino** sta giungendo alla sua conclusione, e le emozioni sono palpabili. Due film in particolare hanno catturato l’attenzione del pubblico e dei giurati, anche se nessuno dei 20 film selezionati ha ancora lasciato un’impronta indelebile nella storia decennale di questa manifestazione.
1. **”Mé el aïn” (“A chi appartengo”)**: Questo è l’esordio cinematografico della giovane regista tunisina Meryam Joobeur. Il suo cortometraggio “Ikhwène” era stato candidato agli Oscar nel 2020. “Mé el aïn” affronta un tema poco trattato nella filmografia legata al terrorismo islamico: quello dei combattenti che tornano dal fronte e delle reazioni dei loro familiari e vicini. La trama si sviluppa attorno a Aicha (interpretata dall’attrice Sala Nasraoui), che scopre che i suoi due figli maggiori si sono segretamente arruolati nelle fila dell’ISIS. La sua attenzione si concentra su come far credere al figlio minore che i fratelli siano partiti per l’Europa in cerca di un futuro migliore.
2. **”Vogter” (“Figli”)**: Questo film svedese, diretto da Gustav Möller, racconta la storia di una madre poliziotto determinata a vendicare la morte del figlio. L’assassino del ragazzo sta scontando la sua pena in prigione, ma la madre non si ferma davanti a nulla pur di ottenere giustizia.
Entrambi i film, nonostante la loro originalità e la cura professionale nella realizzazione, sembrano non essere all’altezza della competizione in uno dei festival cinematografici europei più prestigiosi, secondi solo a Cannes e Venezia.
In conclusione, il Festival di Berlino continua a offrire una piattaforma per esplorare storie coinvolgenti e temi complessi, e quest’anno non fa eccezione.
Antonio M. Castaldo