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O Tello o… Francesco Paolantoni

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Di Gino Morabito

Dall’improbabile scuola di “De Lollis” alla girandola di irresistibili personaggi “tali e quali”, la commedia dell’arte declinata nella mimica e nelle trovate di Francesco Paolantoni. I mille volti di un attore nel pieno di una sfolgorante rinascita.

Scritto e diretto dal comico napoletano, che ne è protagonista, prende vita “O Tello o… io”. Con Stefano Sarcinelli, Felicia del Prete, Raffaele Esposito, Arduino Speranza e Simona Barattolo in scena dal 29 febbraio al “Cilea”, in una città che “fruga e perquisisce con gli occhi”, come direbbe Erri De Luca.

«Mi ritengo molto soddisfatto poiché, ringraziando il Cielo, lo spettacolo funziona benissimo e sto ricevendo un consenso unanime da Nord a Sud. A Napoli ci vivo e recitare nella mia città è un valore aggiunto.»

Ancora una volta Napoli vince.

«Napoli è vincente, una città assoluta che non ha paragoni. Si è trovata in difficoltà solo perché, un po’ di tempo addietro, è stata depredata di tutto, altrimenti sarebbe rimasta la prima d’Italia e una delle più importanti d’Europa. È una realtà unica dove il meglio e il peggio convivono da sempre. La amo profondamente.»

L’amore con l’amore si paga. E questo il pubblico lo percepisce.

«La gente si dimostra davvero calorosa nei miei confronti, mi sostiene, applaude in maniera oltremodo grata. Da parte mia, cerco di ricambiare tanto affetto donando loro dei momenti di spensieratezza e qualche bella risata.»

Aperto il sipario, si ride della gelosia. E si riflette.

«Mi è piaciuta l’idea di metterla in scena, anche come seme, affrontando – seppur con leggerezza – il tema della violenza sulle donne, ahimè drammaticamente attuale.»

Dal serio al faceto, il registro di una storia davvero spassosa. Se Shakespeare la vedesse rappresentata, si divertirebbe molto.

«Non ho dubbi! Un autore come Shakespeare, che scrive un’opera come “Otello”, è dotato di grande intelligenza. Intelligenza che inevitabilmente non può prescindere dall’ironia e dall’autoironia.»

Una serata filo-drammatica con uno spettacolo ispirato alla commedia dell’arte, dove i meccanismi della risata sono sempre gli stessi.

«Nel mio spettacolo c’è un certo sapore di “Uomo e galantuomo” di Eduardo De Filippo e, allo stesso tempo, di qualcosa più moderno come “Rumori fuori scena” di Michael Frayn. Credo che le chiavi della comicità siano sempre quelle, soprattutto nella commedia dell’arte. Poi, chiaramente, vengono declinate in maniera diversa a seconda del contesto. Dipende anche dalle capacità intrinseche dell’attore che le usa.»

Certe dinamiche si riescono ad innescare solo avendo un bagaglio teatrale alle spalle.

«È vero! Il mio è un tipo di comicità che si rivolge soprattutto al pubblico del teatro. Più in generale, la comicità deve essere “pop”. Trasversale, preferibilmente elegante, pulita, di un certo livello… ma che arrivi a tutti.»

Sul versante artistico, un periodo felice.

«Sto vivendo un momento di grazia, nel quale riesco a fare tutto ciò che mi diverte. Sarei profondamente ingiusto se non ammettessi che, professionalmente, sono davvero soddisfatto. Soprattutto negli ultimi anni, mi sento rinato.»

Per il comico originario del Vomero, il compleanno arriva puntuale il 3 marzo.

«Sono sempre lo stesso. Certo, ogni tanto mi avvilisco perché realizzo che l’involucro esterno sta pian piano invecchiando. Ma dentro serbo intatto l’animo di quel ragazzino di un tempo, che, per fortuna, non è mai cresciuto.»

Un giovane esordiente che muoveva i primi passi nelle compagnie teatrali di Napoli ed è diventato Francesco Paolantoni.

«Col senno di poi, oggi non mi lascerei scappare quelle opportunità che mi sono passate davanti e che – ai tempi – non ho avuto la prontezza di afferrare al volo; valuterei meglio certi “no” che avrebbero modificato determinati esiti. Ma, in fondo, va bene: se è scritto che le cose devono accadere, accadono. E, in tutta onestà, vorrei che continuasse ad essere così com’è.»

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