Marat/Sade. Tra complessità, impegno e intensità

Data:

 

«Che mai sarà una vasca di sangue
In comparazione a quelle che dovranno ancora scorrere?»

J.-P. Marat, in Marat/Sade

«Adesso io vedo
Dove ci conduce
Questa rivoluzione»

D.A.F de Sade, in Marat/Sade

Una prova davvero notevole nella sua complessità, impegno, realizzazione, è la messa in scena del testo di Peter Weiss del 1964 “Marat/Sade La persecuzione e l’assassinio di Jean Paul Marat, rappresentati dai filodrammatici di Charenton, sotto la guida del Marchese De Sade” che ci hanno offerto le allieve e gli allievi delII anno del Corso di Recitazione della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi diretti da Marco Plini assistito da Alessio Boccuni e Riccardo Iellen, del secondo anno di regia.

La vicenda si volge al manicomio di Charenton, il 13 luglio del 1808, dove il Marchese de Sade è internato per le sue idee, e prima era stato detenuto a Vincennes e alla Bastiglia (eh sì, le idee possono essere pericolose, proprie come la rivoluzione…) e siccome il Direttore de Coulmier si vanta di adottare metodi di trattamento innovativi (fino a che non disturbino la “quiete” del luogo e non “offendano” il pubblico invitato alla rappresentazione), accorda al Marchese di poter mettere in scena un suo testo, facendo recitare proprio i malati. Il testo è sull’assassinio di Jean-Paul Marat, il fautore, insieme a Robespierre, Danton e Desmoulins della rivoluzione francese del 1789/1799.

Partendo dal celebre quadro di David, “La morte di Marat”, ecco che la storia prende vita, nel biancore accecante della sala dove campeggia una vasca da bagno, riempita di acqua fredda, in cui il famoso rivoluzionario cerca di alleviare le sofferenze causategli dalla dermatite, costantemente aiutato dalla fedele Simone.

Il Marchese dà indicazioni, il Direttore cerca di intervenire qualora si “esageri”, Marat, in quell’acqua ormai diventata rossa per il sangue che esce dalla pelle lacerata e che si mescolerà poi con quello delle pugnalate (forse qui la regia avrebbe potuto darci un’ idea di quel “bagno” di sangue), dibatte con il suo avversario libertino sulla vita, la morte, la rivoluzione, l’individualismo, la Natura, l’uomo stesso.

E a fare da contraltare alla vasca da bagno, la Ghigliottina, simbolo indiscusso e in un certo senso discutibile, sotto la cui lama persero la testa aristocratici, nobili, Re, nemici del popolo. A mali estremi, estremi rimedi…(?).

Ma quale rivoluzione non è stata spargimento di sangue, crudeltà, violenze, tradimenti? E Marat è “l’amico del popolo o il nemico della libertà?”

“Il male è nelle cose stesse ed il rimedio è violento. Dobbiamo portare la scure alla radice. Dobbiamo far conoscere al popolo i suoi diritti e quindi impegnarsi per rivendicarli; bisogna mettergli le armi in mano, assalire in tutto il regno i meschini tiranni che lo tengono oppresso, rovesciare l’edificio mostruoso del nostro governo e costruirne uno nuovo su una base equa. Le persone che credono che il resto del genere umano ha lo scopo di servirli per il loro benessere indiscutibilmente non approveranno questa soluzione, ma non sono loro che devono essere consultati; si tratta di risarcire un intero popolo dall’ingiustizia dei loro oppressori.”[1]

A Charlotte de Corday, una ragazza di campagna, figlia di un nobiluomo di umili origini, non piacciono le idee di Marat e di sicuro non è l’unica. Il suo piano sarà di pugnalarlo, mentre giace in quella vasca che assomiglia già tanto a una bara…

La paziente che interpreta Charlotte soffre di melancolia e di disturbi del sonno, e molto spesso si accascia, si accartoccia, come una marionetta, di cui nessuno tiene più i fili.

Marat è interpretato da un’attrice che riveste molto bene un ruolo non facile, disteso nella vasca, alternando momenti di follia e di eccitazione per ribadire le sue idee, a momenti di spossatezza quasi mortale, sfiancato dallo sforzo per evitare di grattarsi la pelle. Ma sono proprio queste condizioni estreme a dare invece alla recitazione una profondità e un realismo ancora maggiori.

Ma tutti loro si sono trovati in condizioni estreme, dalla suora a volte angelo custode, a volte  aguzzina, costantemente impegnata a tenere a bada i malati, al monaco ambiguo, ai Girondini, e ai  Giacobini, ognuno con la sua maschera clownesca, sofferente e assurda nello stesso tempo, indossando vestiti dell’epoca, così vissuti, così veri. Il tutto a volte prende le forme e lo spirito di un’orgia sadiana. Già, il drammaturgo è proprio lui

De Sade fautore dell’indifferenza della Natura, e della mostruosità dell’essere umano, aveva sperimentato sulla propria pelle ciò di cui parla nelle sue opere. «Considerando che M. de Sade è affetto dalla più pericolosa forma di pazzia, che ogni contatto tra lui e gli altri prigionieri può dar luogo a pericoli incalcolabili e i che i suoi scritti sono parimenti folli così come la sua parola e la sua condotta io ordino quanto segue: quel signor de Sade deve essere fornito di un alloggio completamente separato in modo da risultargli interdetta ogni comunicazione con gli altri… la massima precauzione inoltre deve essere presa nell’impedirgli di usare penne, matite, inchiostro o carta. Il direttore dell’istituto è personalmente responsabile dell’esecuzione di questo ordine.»[2], recita l’Ordinanza del conte di Montalivet al Direttore de Coulmier, il quale però si rifiuta, in nome delle sue idee umanitarie, di diventare il persecutore del Marchese.

Intorno ai due illustri protagonisti della vicenda che danno il titolo al play, si muove uno stuolo di personaggi diversi ma uniti dalla regia, ognuno con la propria forza recitativa, rivestendo con grande impegno il ruolo che gli è stato affidato, catapultati in un folle gioco in cui la malattia, la sofferenza, la reclusione, l’illusione della guarigione, qualche sprazzo di lucidità, prendono l’aspetto nobile ed educativo della drammatizzazione, e noi, che assistiamo, a pochi centimetri di distanza, sentiamo di far parte di quel gioco. Realtà e finzione sembrano scambiarsi i ruoli, “Attori che interpretano dei pazzi o veri pazzi che recitano?”.

Il teatro mette in scena il teatro. Credere, lasciarsi andare, entrare in quel luogo insieme a tutti loro.

Un testo complesso, profondo, che solleva problemi e discussioni, come l’arte dovrebbe essere, oltre al godimento e al piacere di chi la fa, e di chi ne usufruisce.

Attori che hanno portato sulle spalle un peso non indifferente di preparazione dei personaggi, trovandosi a fronteggiare, e ad accettare, una vera e propria sfida. Una prova importante, un passo compiuto che li porterà verso il terzo e ultimo anno da cui usciranno, finalmente, “professionisti”. La regia di Marco Plini ha saputo “usare”, nel modo più creativo, le diverse caratteristiche di ognuno dei ragazzi, arrivando a raggiungere equilibro e armonia, e un livello che si mantiene, dall’inizio alla fine, ottimo.

Eppure, nonostante, il successo e la soddisfazione di questo spettacolo, che ognuno di loro sappia mantenere, come spiriti guida, umiltà, passione e curiosità, senza le quali non esisterebbe creazione artistica, e si impegnino a migliorare continuamente, e a non darsi per sconfitti anche quando verranno le delusioni e le difficoltà. Perché verranno… Che facciano della verità lo scopo di questa arte, perché recitare è il lavoro più bello che ci sia (parola di attrice di lungo corso).

p.s. e magari chissà, alla fine del terzo anno, questo spettacolo potrebbe tornare con più forza e più consapevolezza…

Daria D. Morelli Calasso

 

MARAT | SADE
La persecuzione e l’assassinio di Jean Paul Marat, rappresentati dai filodrammatici di Charenton, sotto la guida del Marchese De Sade
di Peter Weiss
a cura di Marco Plini

Interpreti: Tommaso Allione, Ludovica Angelini, Andrea David, Francesco Della Volpe, Caterina Erba, Roberta Gallo, Camilla Lacaud, Gabriele Martini,
Pietro Moser, Carlotta Pistillo, Yuliia Redila, Daniele Santoro, Filippo Siano, Giorgia Zatti.

Foto di scena di Denise Prandini

19 – 20 -21  giugno ore 19 | 22 giugno ore 16
Teatrino di via Salasco, 4 – Milano

Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi

 

 

[1] da “Le catene della schiavitù” di Jean-Paul Marat.  (fonte Wikipedia).

[2] Da Wikipedia.

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