USA 94: un Mondiale vissuto pericolosamente

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ALTO! IL CAMPIONATO DEL MONDO E’ FINITO, LO VINCE IL BRASILE AI CALCI DI RIGORE”. 17 luglio 1994, esattamente trent’anni fa: con queste parole, pronunciate con voce funerea dopo l’errore decisivo di Roberto Baggio, un deluso Bruno Pizzul – storico telecronista Rai della Nazionale di calcio all’epoca – mette la pietra tombale sul “sogno americano” degli Azzurri guidati da Arrigo Sacchi, nuovo guru del Calcio mondiale, chiamato al capezzale della Nazionale dopo lo smacco per il mancato trionfo a Italia 90 con la speranza che riuscisse a ripetere i grandi successi (tra cui due Coppe dei Campioni) ottenuti col Milan degli invincibili. Non è stato così.

Dopo una marcia di avvicinamento a dir poco incerta, culminata nella clamorosa sconfitta in amichevole per 2-1 contro il Pontedera (squadra toscana di serie C2), gli Azzurri si presentano all’appuntamento iridato tra mille dubbi e polemiche a non finire. Il bel gioco promesso da Sacchi non si è mai visto, e la squadra appare sottotono. A peggiorare una condizione fisica già non brillantissima, contribuisce senz’altro l’infelice scelta di fissare il quartier generale azzurro a New York, cioè nella Costa Atlantica, caratterizzata da un clima caldo e afoso, ben più pesante di quello della Costa Pacifica (scelta, tra gli altri, dal Brasile), caldo ma asciutto. L’Italia ha optato per la “Grande Mela” nella speranza che la nutrita comunità italo-americana locale spingesse gli Azzurri col proprio entusiasmo, rivelandosi il “dodicesimo uomo in campo”. Altra valutazione rivelatasi errata, almeno nella prima partita: la tifoseria irlandese – una comunità radicata solidamente a New York quanto e più di quella italiana – si dimostra superiore sia in termini numerici che di tifo…

Il girone eliminatorio dell’Italia è a dir poco tribolato: esordio-shock con la sconfitta per 0-1 contro l’Irlanda, soffertissima vittoria per 1-0 contro la Norvegia (ma con una doppia tegola: il grave infortunio di Franco Baresi e l’espulsione del portiere Pagliuca, con annesso il “sacrificio” di Roberto Baggio per favorire l’ingresso del secondo portiere Marchegiani) e un 1-1 contro il Messico che lascia non pochi rimpianti. Il girone termina con le quattro squadre incredibilmente a pari punti (4 ciascuna, con gli Azzurri che risultano terzi in base ai vari parametri di riferimento), ma l’Italia passa grazie a un cervellotico sistema di ripescaggio che la vede tra le quattro migliori terze classificate dei sei gironi. Ma i dubbi, tanti, restano: il gioco latita, la condizione fisica è approssimativa e la stella più attesa, Roby Baggio, pare un corpo estraneo.

Agli ottavi, in un clima rovente (in tutti i sensi), gli Azzurri si ritrovano ad affrontare la temibile Nigeria, piena di entusiasmo e vigore giovanili. Gli africani passano grazie a uno svarione difensivo dell’Italia che, complice il caldo torrido, sembra non avere la forza per raddrizzare la situazione. In più, gli Azzurri si ritrovano pure in inferiorità numerica, a causa della surreale espulsione di Gianfranco Zola (entrato in campo solo pochi minuti prima), punito dall’arbitro per un intervento che non era nemmeno falloso. Il tempo scorre inesorabile senza particolari emozioni, la partita si trascina stancamente in un penoso non-gioco che sembra preludere a un mesto epilogo dell’avventura italiana (tra i giocatori che già chi pensa alle vacanze o al ritorno a casa…). Ma quando tutto sembra ormai perduto, a pochi minuti dal fischio finale, un lampo nel buio: Baggio, sin qui non pervenuto, trova l’insperato pareggio con un colpo da biliardo dei suoi. Si va ai supplementari e un’Italia eroica, che getta il cuore oltre l’ostacolo nonostante sia palesemente a corto di energie, riesce a vincere grazie a un altro gol di Roberto Baggio (stavolta su rigore). E’ la partita della svolta: comincia qui il vero Mondiale dell’Italia, e con esso anche quello di Baggio.

La sfida dei quarti è insidiosa quanto affascinante: sulla strada verso la finale gli azzurri trovano infatti i “cugini” della Spagna. L’Italia comincia a carburare e gioca un buon primo tempo, trovando il vantaggio con un gran tiro da fuori di Dino Baggio (nessuna parentela con Roberto), che già aveva segnato il gol della vittoria contro la Norvegia. Ma nel secondo tempo, complice il solito calo fisico, gli Azzurri arretrano e la Spagna pareggia, rischiando addirittura di mettere a segno il colpo del ko. Dopo lo scampato pericolo, l’Italia trova ancora una volta la vittoria in extremis, con il gol più emozionante e bello del suo Mondiale: un contropiede micidiale lanciato da Nicola Berti e Beppe Signori, finalizzato poi da Roberto Baggio, ormai trascinatore della squadra, che supera in slancio il portiere iberico Zubizarreta e insacca a porta vuota da posizione decentrata.

La semifinale, contro la sorprendente Bulgaria di Stoiĉkov capace di eliminare i campioni uscenti della Germania ai quarti, è probabilmente la partita più “tranquilla” per un’Italia che sin qui ha vissuto sempre sul filo del rasoio, dando l’impressione di poter implodere da un momento all’altro salvo poi risorgere all’improvviso, in un’altalena emozionale da mandare ai matti. Si gioca di nuovo a New York, e stavolta sì, il tifo è tutto per l’Italia. Grazie a un primo tempo in cui gli Azzurri mostrano – finalmente – un gioco arioso e convincente (è senza dubbio l’Italia migliore del Mondiale), e grazie a un Roberto Baggio in stato di grazia, autore di una doppietta memorabile, l’Italia conquista il pass per la finalissima contenendo efficacemente, e senza troppi rischi, il ritorno della Bulgaria, rientrata in partita nel finale del primo tempo grazie al rigore del solito Stoiĉkov. Ma non son tutte rose e fiori: preoccupa l’infortunio di Baggio, costretto a farsi sostituire nel secondo tempo e scoppiato in lacrime al triplice fischio, in un misto di gioia per la conquista della finale e di preoccupazione per la paura di non poterla giocare… Indimenticabile l’abbraccio di Gigi Riva, all’epoca team manager della Nazionale, che cerca di consolarlo.

Dall’altro lato del tabellone (quello “West Coast”), la seconda finalista, il Brasile, è protagonista di un cammino decisamente più regolare rispetto a quello dell’Italia: vince senza problemi il girone eliminatorio, batte di misura i padroni di casa a stelle e strisce negli ottavi, supera per 3-2 l’Olanda ai quarti in quella che è probabilmente la partita più bella del Mondiale, e vince “solo” per 1-0 (nonostante una superiorità di gioco schiacciante e la quantità incredibile di occasioni da gol prodotte) la semifinale contro la Svezia, già affrontata nel girone (con gli svedesi capaci di fermare i verdeoro sull’1-1). E’ forse il Brasile più “europeo” di sempre: poco spettacolare e con un tasso tecnico inferiore rispetto alla tradizione, ma con una difesa granitica e con una coppia di funamboli in attacco (Romario e Bebeto) in grado di rompere l’equilibrio delle partite in qualsiasi momento.

L’atto conclusivo si consuma nel catino rovente del Rose Bowl di Pasadena (Los Angeles) alle 12:30 locali, per permettere al pubblico europeo di vedere la partita in prima serata. Dopo ventiquattro anni (cioè da Messico 70) Italia e Brasile, le due Nazionali più titolate al Mondo, si ritrovano nuovamente contro per giocarsi la supremazia nel calcio Mondiale, forti di tre titoli a testa. Ma, rispetto all’impietoso 4-1 con cui il Brasile di Pelè si portò a casa definitivamente quella che allora si chiamava Coppa Rimet nel 1970, l’epilogo di questa sfida, favorevole ancora una volta ai brasiliani, è stato decisamente più incerto ed equilibrato.

La finale, penalizzata dalle condizioni climatiche proibitive, è tra le meno spettacolari di sempre (forse la supera in bruttezza solo quella precedente, Germania-Argentina 1-0 a Italia 90). L’Italia schiera sia Baggio (che però non è al meglio, e si vede) che Baresi, protagonista di un recupero record dopo l’infortunio al menisco di appena tre settimane prima e autore di una prestazione commovente per impegno ed efficacia. Pur potendo contare sulla presenza in campo dei due campioni, gli azzurri sono in debito d’ossigeno per le fatiche sopportate sin qui, e le energie sono ridotte al lumicino. Ma il Brasile, nonostante possa vantare una condizione fisica nettamente migliore rispetto all’Italia, non riesce a prevalere né durante i 90′ né ai supplementari. In due ore di gioco, le emozioni si contano sulle dita di una mano (l’occasione avuta da Daniele Massaro nel primo tempo, la clamorosa papera di Pagliuca, salvato dal palo, poi un tiro di Baggio da lontano e un paio di gol divorati da Romario e Bebeto: tutto qui), e la finale, per la prima volta nella storia dei Mondiali, si decide ai calci di rigore. Baresi, stremato, calcia alle stelle il primo tentativo per l’Italia, ma Pagliuca rimette subito le cose a posto parando il tiro Marcio Santos. Da qui in poi, però, i brasiliani non sbagliano più, mentre l’Italia, dopo i gol di Albertini ed Evani, fallisce prima con Massaro e poi con Baggio, il cui ormai famoso, iconico tiro verso la Porta nel cielo (dal titolo della sua autobiografia) sancisce la vittoria del Brasile. Una vittoria tutto sommato meritata, specie se si confrontano i percorsi delle due Nazionali nel campionato. L’Italia esce sconfitta, sì, ma a testa alta: nonostante una situazione di inferiorità nei confronti dell’avversario non va knock out, resiste fino alla fine e perde solo ai punti. Ma rimane il rimpianto di non aver potuto affrontare la sfida decisiva nel modo ottimale, cioè con una condizione fisica almeno pari a quella del Brasile, e con un Roberto Baggio al 100%. Per il popolo brasiliano, ancora in lutto per la tragica scomparsa di Ayrton Senna avvenuta il 1 maggio dello stesso anno, è festa grande, e proprio ad Ayrton è dedicato lo striscione mostrato dai giocatori subito dopo la vittoria.

Di USA 94 restato altri ricordi, non tutti piacevoli: la folgorante partecipazione di Maradona – la sua ultima a un Mondiale -, con l’euforia per il meraviglioso gol alla Grecia e la successiva doccia fredda della squalifica per la positività al controllo antidoping al termine di Argentina-Nigeria, una vicenda umana e sportiva sintetizzata in maniera memorabile dal grande scrittore uruguaiano Eduardo Galeano nel capolavoro Splendori e miserie del gioco del calcio: “GIOCO’, VINSE, PISCIO’ E FU SCONFITTO”; poi, l’impresa da record dell’attaccante russo Oleg Salenko, capace di mettere a segno una cinquina nella partita vinta 6-1 contro il Camerun nel girone eliminatorio; infine, la tragica e assurda morte del difensore colombiano Andrés Escobar, ucciso al ritorno in patria probabilmente a causa dell’autogol commesso nella partita contro gli USA, costato la sconfitta e poi l’eliminazione della Colombia dal campionato.

Francesco Vignaroli

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