LIDO DI VENEZIA, 30 AGOSTO – I conflitti di potere in ambito sessuale e una commedia di incontri e disincontri sentimentali presentati al concorso dell’81° Festival del Cinema di Venezia non hanno potuto offuscare il vero protagonista di questa terza giornata: il ritorno del regista messicano Alfonso Cuarón, sei anni dopo il suo pluripremiato “Roma”, che ha raccolto oltre 250 premi in tutto il mondo, tra cui Oscar e Leone d’Oro per il miglior film.
Tuttavia, “Disclaimer”, che racconta una storia di vendetta e verità nascoste, non è in concorso per alcun premio al Lido poiché è una miniserie in sette episodi per un totale di 330 minuti che sarà distribuita da Apple nei prossimi mesi. È una delle cinque opere con cui il festival di cinema più antico del mondo si apre ai diversi formati che in molti casi hanno sostituito la fruizione del pubblico nelle sale cinematografiche.
Ispirata a un best seller della prolifica scrittrice inglese Renée Knight, adattata per lo schermo dallo stesso Cuarón, la serie racconta una complessa storia di vendetta di un oscuro e mediocre professore in pensione contro una premiata giornalista, colpevole a suo avviso di non aver fatto nulla per salvare la vita di suo figlio adolescente per nascondere una scappatella sessuale della donna.
Cuarón intreccia abilmente questa trama che si sviluppa parallelamente in tre ambiti e tempi diversi, dove lo spettatore rimane intrappolato in una rete di verità discordanti che un finale ambiguo e inaspettato non riesce a dissipare.
Cate Blanchett, anche produttrice del film insieme a Cuarón e una dozzina di altri nomi, apporta il suo stile interpretativo glaciale ma sa molto bene come rendere visibile il crollo di una personalità messa alle strette da prove circostanziali e non del tutto chiare, mentre un Kevin Kline, invecchiato dal trucco, crea un personaggio di professore mediocre che si nutre della propria vendetta.
Ma se qualcosa rimarrà per sempre nella mente dello spettatore è la lunga scena di seduzione di un adolescente da parte di una giovane madre, prodigio
Il concorso ha comunque offerto altrettanti attrattivi, soprattutto “Trois amies” di Emmanuel Mouret, una nuova immersione in quel genere tipicamente francese della commedia di amori e disamori e relazioni intrecciate che hanno reso grande sia il Marivaux del secolo d’oro che l’Alfred de Musset del romanticismo.
Non si può dire lo stesso di “Babygirl”, terzo lungometraggio dell’olandese Halina Reijn, con una Nicole Kidman nei panni di una dirigente che si innamora di un giovane impiegato, mettendo in pericolo famiglia e carriera, per raggiungere finalmente l’orgasmo che suo marito (Antonio Banderas) le aveva negato in vent’anni di matrimonio.
Antonio M. Castaldo