LIDO DI VENEZIA, 7 SETTEMBRE – Tre film fuori concorso meritano di essere citati come il tocco finale di questo 81esimo Festival Internazionale del Cinema di Venezia: l’italiano “L’orto Americano” di Pupi Avati, “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini e il giapponese “Broken Rage” di Takeshi Kitano. “L’orto Americano” ha chiuso la sezione ufficiale del festival con una storia dal sapore gotico, con cui Avati ritorna alla sua ispirazione iniziale, quella di film come “Balsamus l’uomo di Satana” o “La casa delle finestre che ridono”, che lo fecero conoscere al pubblico negli anni settanta. Successivamente, Avati si è dedicato a un cinema di costume, in gran parte ambientato nella sua nativa Bologna. Con il tradizionale film annuale, prodotto religiosamente con il fratello Antonio, Avati coinvolge anche i suoi tre figli, Mariantonia, Tommaso e Alvise, in quello che è veramente un’azienda di famiglia. “Il giardino americano” è ambientato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando un giovane crede di sentire delle grida provenire da un frutteto, attribuendole a ragazze scomparse. Seguiranno altri eventi apparentemente soprannaturali, che potrebbero essere frutto della fantasia del giovane. Avati gioca abilmente sui confini tra realtà e fantasia per confondere lo spettatore. Il protagonista è Filippo Scotti, già noto per “È stato la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, e Rita Tushingham appare in un ruolo secondario. Il film di Francesca Comencini, “Il tempo che ci vuole”, è stato annunciato come un omaggio alla figura di Luigi Comencini (1916-2007), uno dei maestri della commedia all’italiana. In realtà, il film ritrae il rapporto a volte conflittuale tra la regista e suo padre. Un rapporto così coinvolgente che nel film compaiono solo lei e suo padre, ignorando o trascurando sua madre e le altre tre sorelle, tutte attive nel settore cinematografico. Paola, una delle sorelle, è la decoratrice di quasi tutti i suoi film e proprio ieri è stata premiata alla carriera, prima della proiezione ufficiale di “Il tempo che ci vuole”. Fabrizio Gifuni interpreta il padre amorevole e comprensivo, coadiuvato da Romana Maggiora Vergano, ripercorrendo anche i cosiddetti anni di piombo della politica italiana. Per Takeshi Kitano, la Mostra del Cinema di Venezia è il luogo che lo ha consacrato a livello mondiale grazie al Leone d’Oro vinto con “Hana-bi” nel 1997. Da allora, Kitano ha deciso di riservare al festival la prima mondiale di quasi tutti i suoi film, pur rinunciando al concorso. La specialità di Kitano sono i film “yakuza” (crimine organizzato giapponese), caratterizzati da spietata violenza e inflessibili codici d’onore. Con il tempo, Kitano ha trasformato questa specialità in satira, utilizzando i luoghi comuni del genere in modo comico. In “Broken Rage”, Kitano ribalta la satira su se stessa, trasformando il tradizionale personaggio del supereroe criminale in un vecchio che, a causa dei tipici acciacchi della vecchiaia, fallisce in tutte le attività criminali che aveva compiuto con successo nella prima metà del film. Nella seconda metà di questo mini-film, che dura solo 62 minuti, gli stessi avvenimenti vengono rivissuti in versione negativa, per incompetenza del protagonista. Dotato dell’umorismo raffinato di Kitano, il film è quasi un testamento o una visione crepuscolare di un genere e di un protagonista del cinema giapponese moderno.
Antonio M. Castaldo