Das Rheingold inaugura la nuova Tetralogia alla Scala

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Una bella edizione di Das Rheingold è in scena sul palcoscenico del Piermarini, titolo operistico di chiusura della Stagione 2023/24 e inizio della Tetralogia inizialmente prevista con la bacchetta di Christian Thielemann. Il Maestro tedesco ha comunicato di doversi sottoporre a un’operazione chirurgica: impossibilitato non solo a dirigere Das Rheingold il prologo della Tetralogia, ma rinunciando all’intero progetto della nuova produzione di Der Ring des Nibelungen con la regia di David McVicar, caratterizzato da un forte impegno artistico unitario. La scelta della Direzione artistica scaligera è caduta su Simone Young per le prime tre recite e sull’emergente Alexander Soddy per le successive. Dei, dee, giganti e nani, tutti in lotta per impadronirsi del bramato Ring, l’Anello del Nibelungo. Come ben lo svolgersi del dramma nel corso della sua mastodontica portata svelerà, la mortale maledizione racchiusa nell’anello comincia a mostrare i nefasti effetti. Dal quadro iniziale, visione “d’increspate acque” del Reno fino alla trionfale ascesa alla reggia degli Dei, il Walhalla, Das Rheingold (L’oro del Reno) ci attira in un vivido mondo, offrendo un’esperienza teatrale e musicale indimenticabile. Sul frontespizio della partitura della Tetralogia, Richard Wagner pone il monumentale lavoro sotto gli auspici del Re Ludwig di Baviera, cui è dedicato. L’Anello del Nibelungo porta come sottotitolo: «Ein drei Tage für Bühnenfestspiel und einen Vorabend». Ossia rappresentazione scenica in tre giornate e un prologo. Il musicista di Lipsia considera Das Rheingold come serata preliminare. Questo non deve trarre in inganno e farci credere che sia di minore importanza rispetto alle opere delle altre giornate. Al contrario, nell’Oro del Reno son già stabiliti tutti i conflitti di cui la tetralogia è permeata. La brama di potere, il richiamo dell’oro, la sacra bellezza della natura, gli impulsi distruttivi dell’uomo: questi temi senza tempo si può dire dominino la storia dell’umanità, oltre che il Ring di Wagner. L’azione si situa in tempi mitici o mitologici. A popolare il Rheingold ci sono dèi, semidei, ninfe, nani e giganti, ma non esseri umani, che faranno la loro comparsa nella prima giornata, Die Walkure – La Walkiria. I primi abbozzi dell’Oro del Reno datano al 1851, il libretto è del 1853 mentre la composizione della musica sarà completata l’anno successivo. La prima rappresentazione avvenne solo nel 1869, al “Königliches Hof-und National-Theater” di Monaco di Baviera; per la prima esecuzione della Tetralogia al completo bisognerà attendere il mitico spazio di Bayreuth, nell’agosto del 1876. Il preludio al ciclo dell’Anello del Nibelungo mostra le figlie del Reno perdere il prezioso oro che hanno in custodia: passa nelle mani di Alberich, il nano Nibelungo. Wotan, alla testa della schiera degli dei, è in cerca di un tesoro per compensare i giganti che hanno costruito la loro reggia, il Walhalla. Scende negli antri cavernosi, dove risiede Alberich, lo cattura costringendolo a rinunciare all’anello. La maledizione, forgiata con il gioiello, prende subito corso: la bramosia di possederlo fa spargere sangue fraterno. L’opera si chiude nella trionfale apoteosi delle divinità che, attraversando un ponte fatto sull’arcobaleno, ascendono al Walhalla. Disperate invocazioni li accompagnano: sono le desolate figlie in Reno che lanciano fosche e terribili predizioni sul futuro che attende gli dei. Il Teatro alla Scala ha varato con Das Rheingold la prima delle “giornate” della Tetralogia wagneriana che vedremo nella sua interezza nel 2026. Al regista David Mcvicar il compito di iniziare a Milano una nuova, e da tempo attesa, Tetralogia. Nuovo l’allestimento, scene dello stesso Mcvicar e Hannah Postlethwaite, costumi fantasiosissimi di Emma Kingsbury, coreografia di Gareth Mole, David Finn cura le luci e i video sono di Katy Tucker. L’immaginifico plot è reso in maniera pregnante dal regista scozzese che sceglie di personificare l’oro del Reno, ballerino che emerge e cui sarà strappata la maschera d’oro che lo identifica, tornando al finale, lordato di sangue, qual vittima sacrificale alla bramosia di potere e comando degli dei. Fascinosa la scala che sale verso l’infinito, ad accompagnare qual sfondo l’intera vicenda. Ma del pari ficcanti le soluzioni escogitate per rappresentare il Nibelheim, i giganti, l’impiego, sul ritmo martellato della musica, quasi ipnotico, dei giovani allievi del Coro di voci bianche quali nani e la maschera ricomposta a occultare Freia. Curioso ricordare come, in più di un’edizione scaligera della tetralogia wagneriana, Das Rheingold non ebbe rappresentazione scenica, per la contestata messinscena dell’accoppiata Luca Ronconi-P.L.Pizzi, diretta da W.Sawallisch prima e la scelta di rinunciare alla messinscena di Nicky Rieti, regia di André Engel con la direzione di Riccardo Muti poi, dovuta al mancato rispetto di misure di sicurezza dell’allestimento. La direzione di Simone Young direttrice di grande prestigio e comprovata fede wagneriana (unica donna ad aver diretto a Bayreuth) si caratterizza per gesto preciso e dettagliato cercando di imprimere alla partitura un’autorevolezza degna della tradizione del passato, non sempre riuscendo nel lavoro di scavo analitico che la rende nuova e calata nel nostro vissuto. Un’orchestra docile si presta al dettato duttile e variegato della Young, che si esplica in una resa prevalentemente narrativa. Eccellente la compagnia di canto con Michael Volle Wotan d’imperativa dizione a delineare la tracotanza del dio, anche se ormai lo strumento appare un po’ logorato e ondeggiante. Norbert Ernst è Loge il più sapiente attore della compagnia, docile strumento nelle mani del regista che ne fa il “deus ex machina” della vicenda. Intelligentissimo interprete, sconta un appannamento dello strumento vocale, non più così efficace per consistenza ma, pur alleggerendo la voce, arriva a una piena e insinuante espressività: mellifluo nella perfetta recitazione che non lo fa mai scadere nella macchietta. Ólafur Sigurdarson è un Alberich di ampio volume di voce, basso di timbro chiaro, arguto e di astuto fraseggio, tiene la scena con felice caratterizzazione, capace di ergersi a qual certa nobiltà nel rimproverare Wotan della sua stessa bramosia. Okka von der Damerau Fricka efficace, anche se non sempre con ampiezza voce, sa trovare accenti persuasivi. Andrè Schuen convincente Donner, Siyabonga Maqungo Froh dal bel timbro limpido di tenore. Wolfgang Ablinger-Sperrhacke gustoso e sapido interprete di Mime, Jongmin Park Fasolt di profondità e pienezza di bassi, Ain Anger Fafner basso di piena rotondità, capace di interpretare meglio. Olga Bezsmertna Freia brava in scena e di solida voce, Christa Mayer Erda dal fascinoso e solenne timbro, Andrea Carroll Woglinde, Svetlina Stoyanova vibrante Wellgunde e Virginie Verrez lirica Flosshilde. Festosa l’accoglienza riservata all’intera compagnia di canto e a Simon Young, da parte di un pubblico attento che gremiva la sala.

gF. Previtali Rosti

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