Il 2024 per il Donizetti Opera, oltre a festeggiare il traguardo della decima edizione, si caratterizza per la preziosa proposta in tempi moderni di una vera e propria rarità donizettiana: Zoraida di Granata, primo importante successo del componitore di Bergamo. Zoraida di Granata, composta da Gaetano Donizetti su libretto di Bartolomeo Merelli, vide il debutto sulle tavole del Teatro Argentina di Roma nel 1822 e fu poi rimontata per lo stesso palcoscenico nel 1824, in una versione rimaneggiata da Jacopo Ferretti. Ricorrendo il bicentenario del debutto di questa partitura pressoché sconosciuta è quanto mai parsa opportuna la scelta di allestirla per il ciclo #donizetti200, che ogni anno propone nel programma festivaliero un titolo che compie i due secoli. L’allestimento scelto è frutto di una coproduzione, lo stesso presentato la scorsa stagione nel corso del Wexford Festival Opera, dove è andata in scena la versione romana del 1822; in entrambi i casi, l’edizione critica è stata curata da Edoardo Cavalli per la Fondazione Teatro Donizetti. La regia dello spettacolo porta la firma di Bruno Ravella, le scene e costumi sono di Gary McCann. Il regista, nato a Casablanca con origini italiane e polacche, evoca le tante troppe guerre di cui Zoraida è emblema, ma pensa in particolare all’assedio di Sarajevo e alla sua architettura islamica, che rende facilmente il clima e l’ambientazione della vicenda. Più precisamente l’edificio, scena fissa dell’allestimento, altro non mostra che i ruderi della Biblioteca Nazionale e Universitaria della Bosnia ed Erzegovina – distrutta nel 1992 durante l’assedio – dal forte valore simbolico, a testimoniare la resilienza della cultura ma anche la tragedia della sua distruzione. Una regia, quella di Ravella,dalla perfetta proprietà di movimenti, che supera la temporalità della vicenda sublimandosi col canto; luci ficcanti di Daniele Naldi. Sul podio il giovane direttore Alberto Zanardi, alla guida dell’Orchestra di strumenti d’epoca Gli Originali – inizialmente farraginosa ma subito riprendendosi a farsi brillante e attenta – riesce convincente nel trovare la giusta linea alla lunga partitura, ora attento ai dettagli lirici ora drammaturgicamente guerresca. Direzione sempre saldamente in pugno e del pari valido concertatore di voci. Almuzir diKonu Kim ha strumento vocale di grande estensione, acuti di estremo squillo particolarmente amplificato dalla sonorità della sala, ma di converso non dotato di pregnante espressività. Esordisce con Pieghi la fronte cantando tutto con impeto ma non sempre preciso nella coloratura; A rispettarmi impara si segnala per accenti energici. Nel Finale primo, sospensione dell’azione, il canto a cappella dell’ensemble genera “stupore” in tutti i personaggi; il tenore ha eccessi di minaccia espressiva di troppo impeto, che lo porta a sporcare la linea di canto, sembrdoa più un cattivo di maniera che reale. In Così bella! E la perdo! mostra fraseggio d’innamorato più convincente, ma subito nell’aria cede al far mostra di reboanti acuti, più atletismi vocali che prova d’incertezze o dubbi amorosi.LaZoraida Zuzana Marková, già dall’esordio con Ah di speme un raggio amico, offre una voce lirica dalla bella linea di canto, plastica, fluida la coloratura e anche saporosa nel fraseggio; picchettati precisi come ben sgranata è la vocalizzazione. Carente nel registro basso, la voce suona opaca nei recitativi, poggiando su un registro centrale velato (anche se sempre espressiva nel fraseggio), così come valida è l’interprete in scena. Nel duetto Sai che non sogno un trono si fa notare per il bel legato e la vivida interpretazione. Ah dolci a un core amante – Rose che un dì, oasi lirica teneramente eseguita dal soprano e accompagnata dal violino solista, offre struggente interpretazione rendendo intero il sapore descrittivo dell’aria: tutti i suoi profumi e immagini evocate. Convincente del pari il fraseggio dei due amanti in T’amo sì, t’amai costante e commovente replica in Dunque m’ami, duetto di purissimo sublimato amore che tocca vertici di amoroso belcantismo. Tutto è silenzio è palpitante, sbigottito stupore. Cecilia Molinari è Abenamet, classica parte en travesti: strumento di non grande volume ma usata con particolare intelligenza e proprietà, vibra e comunica emozioni, compito primo di ogni cantante. Omogenea in tutti i registri, la voce si espande e corre facilmente per la sala; gestisce bene il registro basso, non sbagliando un colpo nella coloratura. In Era mia si percepisce il rimpianto; estendendosi facilmente verso l’acuto in Che mi giovò l’alloro è molto espressiva e capace di sapide variazioni. Tanto propormi ardisci fieri accenti nel duetto con Almuzir. Questa versione del 1824, che riporta l’amoroso nel timbro mezzosopranile e conseguente sostituzione del tenore, rende pienamente la tenerezza rarefatta e stilizzata, aerea e impalpabile dei duetti amorosi di stampo mayriano e rossiniano, caratteristica prima di questa vitale esecuzione bergamasca. Nella scena del carcere la Molinari è messa di fronte a una tessitura piuttosto bassa che pur sa gestire, capace di rendere l’orgoglio non domato del guerriero. Nel duetto con Almuzir Fingerò: finger conviene dà dimostrazione di come si sappia (si debba) fraseggiare validamente, rispetto al tenore, in bel contrasto di timbri. Al rondò Quando un’alma generosa e seguente Da un eccesso di tormento di sapore inevitabilmente belcantista, il compito di chiudere in pirotecnia di agilità l’opera. Alì eraValerio Morelli dal bel timbro e profondo, di piena omogeneità e squillante, dalla ben articolata dizione, molto promettente. Partecipe nel quartetto il giovane basso si eleva all’altezza dei principali e rodati interpreti, in un momento di sospensione estatica; così nella frizzante sezione a quattro che ne segue. E tutti fanno intensamente teatro. Nel recitativo e aria Si vi tradì la sorte – trova accenti tipici della scuola italiana, varietà di colori di voce nel fraseggio e nell’aria Furia mia, che rende in tutta la sua intensità e nella cabaletta seguente, di elettrizzante tensione. Gli acuti sono squillanti e perfettamente immascherati, agile nei passaggi di coloratura. Almanzor efficace di TutyHernàndez e Ines diLilla Takács ancor meglio in Del destin la tirannia, aria di baule eseguita con molta proprietà. Grande spazio Donizetti destina al Coro, eccellente nella prestazione dell’Accademia Teatro alla Scala,diretto daSalvo Sgrò. Festoso successo per l’intera compagnia, con reiterato entusiasmo per Cecilia Molinari e Konu Kim. Al Teatro Sociale di Bergamo alta, per il Donizetti Opera.
gF. Previtali Rosti