Don Pasquale: al Donizetti Opera eseguito in anteprima nella nuova edizione critica della partitura, curata da Roger Parker e Gabriele Dotto per l’Edizione Nazionale realizzata da Casa Ricordi, in collaborazione e con il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti. Leggendaria la velocità con cui fu composto Don Pasquale: dieci, undici giorni per approntare la partitura vocale destinata ai cantanti, che potevano cominciare a imparare la loro parte. Chi ancora fa presente al grande maestro bergamasco la proverbiale rapidità, Donizetti stesso risponde: Quando un soggetto è piacevole, il cuore parla, la mente galoppa e la mano scrive…” Il risultato è sotto gli occhi, o meglio, nelle orecchie degli ascoltatori a datare dal 3 gennaio del 1843, quando ricevette una trionfale accoglienza dal pubblico parigino del Théatre des Italiens. Donizetti, componendo quest’opera comica, prende per la verità a prestito alcune melodie da precedenti lavori; autoimprestito ininfluente nel formulare il giudizio su questo gioiello musicale del teatro ottocentesco. Un capolavoro, nel genere dell’Opera buffa. Al tempo della composizione del Don Pasquale era ormai una forma operistica in declino (ne sapeva qualcosa Giuseppe Verdi, che qualche anno prima aveva provato l’amara esperienza del tonfo scaligero con il suo Un giorno di regno), soppiantata nel gusto del pubblico dall’opera semiseria, con lavori quali La Gazza ladra rossiniana e La Sonnambula belliniana. Donizetti riutilizza un modello comico tipico del teatro italiano, ma con una visione comica proiettata su uno sfondo di sentimenti ed emozioni sconosciuto in precedenza. Don Pasquale ha uno spessore maggiore di quei personaggi che sembra ricalcare. Il compositore crea la prima opera buffa italiana senza recitativi accompagnati dal clavicembalo, ma con l’intera orchestra. Dell’entusiasmo si è già detto; a rimanerne sorpreso fu lo stesso Donizetti, che dopo alcune settimane, in trasferta a Vienna scrive: Ho ricevuto da Parigi otto giornali che parlano ancora del mio Don Pasquale. Sono sorpreso, ed il risultato sono 19.000 franchi in undici giorni. Un mistero della fortuna. Ecco tutto! Ma la fortuna bisogna sapersela meritare…E’ il successo che arride da sempre a questo capolavoro. La regista Amélie Niermeyer, coadiuvata per scene e costumi da Maria-Alice Bahra, immerge la vicenda del vecchio scapolo in un villino estivo, impianto girevole, con tanto di auto a fianco e litiganti giovani. Non trovando sufficientemente buffa la situazione magistralmente versificata dal librettista Giovanni Ruffini, carica lo spettacolo di trovate grossolane che finiscono per svilirne la trama, non rendendo giustizia della complessità di sfumature dell’opera donizettiana. Si ride, ma si ride grasso. Se per il primo atto trova atmosfere oniriche e scattanti trovate, non così il secondo, sgangherato nonsense esaltato da deliranti costumi alla lunga eccessivo, nella ormai sorpassata invocazione alla libertà d’amore. Un’orgia di colori e movimenti, perfettamente in linea con i tempi in cui viviamo, in cui quel che conta è l’immagine. Roberto de Candia è un Don Pasquale la cui voce mostra ondeggiamenti e in Un foco insolito risulta sopra le righe, calca i toni e tende al parlato sovrastando il canto e involgarendo il momento, del pari in orchestra la stessa pesantezza. In Io Pasquale da Corneto fa valere la capacità di caratterizzazione del personaggio senza scendere nel macchiettismo conservandone la dignità, ma l’accompagnamento orchestrale è pedestre. E’ iperveloce nel sillabato in gara con Malatesta, tanto da non distinguere più le parole, con mezzi vocali che mostrano in acuto qualche difficoltà. Commovente nel finale: E’ finita, Don Pasquale… Dario Sogos, giovane allievo della Bottega Donizetti, è un Dottor Malatesta dai buoni mezzi vocali, musicale e morbido; nell’aria d’ingresso Bella siccome un angelo, il timbro è caldo e insinuante, ma la cui coloratura non è ancora fluida e scorrevole. Valido nella prova del velocissimo sillabato. Javier Camarena presta al personaggio di Ernesto un timbro contraltino agile in acuto, dove il suono squilla; la voce conserva la “lacrima” di cui è famoso ma appare stanca. Sempre gustoso nel fraseggio, infarcisce Sogno soave e casto di smorzature e mezze voci, rendendo appieno la grazia e soprattutto i colori dell’aria, facendone un convincente interprete. Buono il legato, ottava alta che suona, passionale, forse troppo, mostra qualche intemperanza negli acuti. Il recitativo Povero Ernesto è sempre da manuale e Cercherò lontana terra mostra profonda espressività, capace di trovare inflessioni di pathos, quei tipici accenti malinconici di cui Donizetti infarcisce le sue opere e diventate la sua cifra stilistica. Aiutato dalla regia, che crea un momento d’intensa e magica sospensione portando in palcoscenico la tromba solista. La serenata Com’è gentil è meno curata, senza vero languore ed eleganza e nel duetto Tornami a dir che m’ami, la voce appare provata lasciando risplendere il timbro del soprano. Ottima Norina della giovane Giulia Mazzola, anche lei allieva della Bottega Donizetti e vera sorpresa della serata. Bel timbro caldo, squillante, omogeneo in ogni registro, sale con fluidità, precisa nella vocalizzazione, nette le ribattiture, scende facilmente al registro basso, sapida nella dizione, varia nei colori e negli accenti, gustosa interprete. Impagabilmente insinuante in Quel guardo il cavaliere, scintilla nel seguente So anch’io la virtù magica! dagli acuti ben proiettati e limpidi, sempre sicura vocalmente, giostra la voce con sicurezza e si diverte in scena, su cui sembra nata. Mercuriale brio e coquetterie a vendere ne fanno un’interprete sagace che si diverte nel canto tra precise colorature e agilità tecniche che non la impensieriscono. Il notaro, era il pesante Fulvio Valenti Coro puntuale dell’Accademia Teatro alla Scala istruito da Salvo Sgrò. Briosa ma con troppa energia sin dalla sinfonia la direzione di Iván López Reynoso e il resto si dipana senza poesia e grazia. Il maestro messicano basa la partitura su una concitazione reboante che non contribuisce al risalto e al godimento dell’opera: troppo intento a ottenere un suono orchestrale di un’irruenza plastica, non riesce nel coinvolgimento affettivo e di sentimenti. Festosi applausi per tutti. Al Teatro Donizetti di Bergamo per il Donizetti Opera.
gF. Previtali Rosti