E’ arrivato al Teatro Elfo Puccini Don Giovanni, tappa milanese della lunga tournée che sta attraversando la penisola del nuovo spettacolo che il poliedrico e instancabile Arturo Cirillo ha adattato, fondendo la drammaturgia di Molière con quella che scaturisce dai versi del librettista Da Ponte, il tutto intessuto della seducente musica di Wolfgang Amadeus Mozart. Ne è nata un’operazione originale, non sempre omogenea ma interessante nell’alternare forme e codici diversi, prendendo dal commediografo francese lo scavo della parola e di una comicità paradossale e a volte estrema, con “tirate” moralistiche tipiche del teatro seicentesco. Di Da Ponte sfrutta la perfetta sintesi e concatenazione (e bellezza!) del verso che s’incastra in maniera miracolosa nell’ineluttabile quanto drammatica leggerezza della musica. Quell’incipit, quelle note appunto del Don Giovanni mozartiano fan da inquietante, evocativa introduzione all’ingresso in scena del protagonista accompagnato dal servo Sganarello, dominato alter ego ma capace, con eloquenza dettata dal buon senso, di tener testa al padrone. Arturo Cirillo, attore fantasmagorico e dalle risorse di mobilità scenica e di parola, esce dallo stereotipo del conquistatore amoroso con avvolgente e suadente loquela più che con il fascino fisico. Dalla tirata molieriana iniziale, sul “dovere” di amare ogni femmina, sa facilmente trarre dalla sua parte con l’attrattiva scintillante di una morale personale, così come altrettanto convincente è nella seguente, negazione esplicita dell’esistenza di un’entità suprema. Argento vivo e mercuriale attore, versatile nella finzione e nell’impudente mentire velato di cinismo, ne dà palese prova all’incontro con Zerlina (Irene Ciani, abbandonato il ruolo nobile per vestire quello dell’ingenua e saporosa contadina), mostrando viscerale istintività; ben si difende in canto e ancor più in persuasione scenica, e lo stesso vale per Sganarello. L’amoralità del pensiero del seduttore è mostrata di fronte al mendico (Francesco Petruzzelli) che tutto il giorno prega, tentandolo alla bestemmia per donargli del denaro. Ma è la scena e la figura del Signor Quaresima (Rosario Giglio) che permettono all’attore partenopeo l’exploit recitativo di vero pezzo di bravura. Donna Anna e Don Ottavio (Irene Ciani e Francesco Petruzzelli, poi un sanguigno e irruente Masetto, un equivoco e stilè Ragotino) restano inizialmente in posizione stranita, con i soli versi del Da Ponte: il duetto è solo nei versi, senza la musica che era la naturale destinataria e non possono avere risonanza d’essere recitati in prosa. Donna Anna di Irene Ciani si segnala per la bravura come vocalist nel rendere l’aria Or sai chi l’onore senza accompagnamento musicale di sorta, variata parafrasi di ottimo gusto. Poi torna Mozart con l’aria di Donna Elvira (impersonata da Giulia Trippetta) dagli accenti vendicativi, ma maggior convinzione l’attrice la trova nella partecipe recitazione in cui mostra la profondità psicologica della donna tradita. Del pari convincente al finale, in cui pietosamente preoccupata delle sorti dell’ex amato tenta il Cavaliere a lasciarsi convincere alla salvezza ma Don Giovanni, coerente e irridente di tutto, mostra come l’ipocrisia – vizio alla moda (di ogni tempo) – sembri dar ragione, in superficie, alla lucidità del suo pensiero. Sganarello era Giacomo Vigentini, un convincente impasto di fisicità e furberia partenopea, fa il “catalogo” mozartiano con saporosa leggerezza e spiritosaggine, agendo sempre profondamente in scena. E ancor il padre di Don Giovanni, Don Luigi, Rosario Giglio dalla nobiltà di figura e dal sincero e accorato dire, aggiunge in extremis il tentativo di redimerlo o almeno di scalfire la coriacea determinazione che solo il Commendatore (sempre impersonato da Rosario Giglio) saprà compiere nella raggelante stretta di mano. In questo adattamento di Don Giovanni non c’è la consolante, quasi lieve conclusione del canto e della musica che chiudono l’opera mozartiana, ma le concrete e disilluse considerazioni di Sganarello: “E a me chi mi paga ora?” che spengono le luci del dramma. Messinscena classica con scena unica di Dario Gessati, semovente, che sfrutta scale anfratti e porte e botole per mai interrompere l’azione. Regia dello stesso Cirillo che imprime allo spettacolo un andamento turbinoso, a ricalcare l’horror vacui del protagonista. Luci avvolgenti e galvanizzanti di Paolo Manti, capaci di suscitare giuste atmosfere nell’animo dello spettatore. Eleganti i costumi, soprattutto per le figure femminili, di Gianluca Falaschi. Spettacolo intessuto di leggera e ironica parafrasi mozartiana, musiche di Mario Autore. Una produzione Marche Teatro, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, ERT – Emilia Romagna Teatro fondazione. Festosa accoglienza per tutta la compagnia, con particolare sottolineatura per Cirillo, instancabile e incontenibile anche ai finali ringraziamenti. Al Teatro Elfo Puccini di Milano fino all’8 dicembre.
gF. Previtali Rosti