Melania Fiore, amore senza resa per il teatro

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Intervistare ed incontrare Melania Fiore è come gettarsi in un fiume impetuoso. Attrice fortemente propositiva, entusiasta, dall’energia travolgente. Questa è l’ennesima intervista rilasciata al nostro Corriere dello Spettacolo in questi giorni prenatalizi. Che sia un momento di riflessione per i nostri lettori, un po’ di minuti per comprendere un amore viscerale per il palcoscenico, un amore senza resa, merce rara in questi tempi di superficialità e prodotti commerciali. Buona lettura.

Melania, l’ultima volta ci siamo salutati qualche mese fa al Teatro Arcobaleno di Roma dopo lo spettacolo Edipo a Colono, che ti vide sul palcoscenico insieme ad un cast prestigioso in una tournée importante. Che esperienza è stata quella?

Ciao Paolo! È un grande piacere ritrovarti. Edipo a Colono, con la drammaturgia e la regia di Giuseppe Argirò, è stato per me uno spettacolo importante. Formativo e necessario è stato costruirlo sotto la sua guida e lavorare fianco a fianco con professionisti del teatro come Giuseppe Pambieri, che interpretava proprio Edipo. Il mio personaggio, Ismene, accanto ad Antigone (interpretata da Micol Pambieri), è un personaggio complesso, come complessa è questa tragedia crepuscolare imperniata sul tema della morte, in un certo modo salvifica. Ismene potrebbe sembrare dimessa, quasi sott’acqua, in realtà è animata da una forza incredibile, che risiede nel suo sguardo, sempre amorevole, e in una cieca, assoluta dedizione alla famiglia. È stato bello calcare palcoscenici prestigiosi come il Teatro Antico di Segesta, l’Arena di Sarsina, e tanti altri, ma soprattutto ascoltare, imparare da colleghi di lunga esperienza con cui ho condiviso questo e molti altri viaggi.

Nel frattempo, ti confesso di non essere riuscito completamente a seguire tutte le tue iniziative e i tuoi progetti in giro per l’Italia, a cui lavori con un entusiasmo invidiabile. Quale ti ha dato, tra questi, maggiore soddisfazione?

Ti ringrazio! Ci si prova: l’entusiasmo cerco di mantenerlo sempre, fa parte del mio carattere, anche se ho imparato a renderlo più consapevole. Per quanto è vero, in questi ultimi due anni sono stata spesso con la valigia in mano, tra gli spettacoli che ho portato in scena a Roma ce n’è uno di cui vado particolarmente fiera e che mi vede come spesso accade, scrittrice e attrice. Si tratta di un testo maturato dalla mia passione per la Duse (che interpreto nello spettacolo) e da studi accademici e universitari: “Eleonora e Arrigo: un amore”, con la magnifica regia e drammaturgia di Giuseppe Argirò, nei panni di Arrigo Boito. Esso racconta attraverso il carteggio a cura di Raul Radice, la storia d’amore travagliata e intensa tra Eleonora Duse e Arrigo Boito. Abbiamo debuttato a febbraio al Palladium di Roma ed è stato davvero emozionante. Come dicevamo dall’inizio del 2023 sono stata molto in giro per l’Italia ma anche per l’Europa con la Compagnia Nuovi Linguaggi, con la quale ho collaborato in molti progetti teatrali. Sono stata a Siviglia e in una residenza artistica con gli attori spagnoli del Centro Damte abbiamo iniziato a lavorare su “Antigone”, riscrittura contemporanea di Alessandro Pertosa, in cui ero protagonista insieme a Giorgio Sebastianelli e la regia di Andrea Anconetani. Quella è stata un’esperienza davvero esaltante, anche perché a contatto con una realtà teatrale vivace come quella spagnola. Devo anche dirti che, come attrice, sono stata davvero felice di far parte dello spettacolo “I tre Volti di Shakespeare”, scritto e diretto da Germano Rubbi, prodotto da Magazzini Artistici, adattamento di diversi testi shakespeariani, di cui ero unica protagonista femminile e nel quale ho potuto davvero esplorare una vasta gamma di sfumature, caratteri ed emozioni dei personaggi del grande Bardo. Il progetto poi che mi ha reso particolarmente orgogliosa, perché frutto di un grande lavoro e di un sogno lungo quattro anni, è “Isabel”, da me scritto e interpretato, sempre con la regia di Anconetani e prodotto da Nuovi Linguaggi, con cui abbiamo appena debuttato a fine novembre.

Ci siamo sentiti pochi giorni fa, esprimendo entrambi un certo disincanto verso questo mondo teatrale che comunque amiamo. Se tu dovessi descrivere il tuo percorso, come definiresti il momento attuale? Vedo che continui a lavorare senza sosta, proponendo sempre prodotti non commerciali, collaborazioni intriganti, studi approfonditi, seguendo le orme del tuo celebre Maestro Mario Scaccia. Mai un dubbio, mai uno scoramento, una delusione? Sono curioso…

Ma scherzi? Sono piena di dubbi e incertezze. Spesso mi fermo e mi faccio la classica domanda. Tanta energia, tanto tempo, tanti anni della mia vita per poi non aver ottenuto quella cosiddetta “tranquillità”. Ne vale la pena? Ma la risposta, Paolo, è sempre la stessa. Assolutamente sì. Perché non c’è nient’altro che desideri fare più di questo. E poi ricordo le parole del mio grande Maestro Mario Scaccia, che tu hai citato, e che mi porto dentro: “Melania, tu devi fare questo mestiere. Sei nata per questo”. Con l’ironia salace che gli era propria e con cui stemperava ogni momento di commozione aveva anche aggiunto: “Però bisogna studiare tanto, rubare con gli occhi, ascoltare e imparare. E poi andare oltre, trovare una strada propria, completamente diversa. Fare questo comporterà tempo, rinunce continue, dedizione assoluta. Questo è. Altrimenti si va a rompere i coglioni da un’altra parte”. Ecco, queste parole risuonano in me nei momenti di scoraggiamento o disincanto, che non deriva tanto dal mondo teatrale quanto dalla società in cui viviamo, dalle logiche commerciali, dalla superficialità a cui spesso siamo costretti a piegarci, di cui risente anche il nostro mondo per forza di cose. Io sono sempre convinta come ti dicevo che può salvarci proprio il TEATRO, che sia teatro classico, teatro contemporaneo, teatro fisico, che siano spettacoli con un cast numeroso o monologhi: non c’è differenza se con studio rigoroso e dedizione assoluta si cerca di cogliere la sua vera, limpida essenza.

Proseguendo nel tuo cammino artistico, l’ultima novità è stato il debutto a Loreto con Isabel, il tuo ultimo testo nato, immagino, da uno studio profondo come tuo solito. Isabella di Castiglia, detta Isabella la cattolica. Perché una scelta così particolare? Chi era Isabel e cosa ti ha spinto a divenirne la sua figura sul palcoscenico?

L’idea di “Isabel” nasce in me circa sei anni fa, alla fine del 2018, quando è stata     trasmessa in Italia questa magnifica serie televisiva spagnola sulla figura storica e umana di Isabella la Cattolica, Regina di Castiglia e di Aragona dalla seconda metà del ‘400 fino alla sua morte, avvenuta nel 1504. Mi ha colpito subito per la sua forza, il suo farsi valere come donna in un mondo dominato dagli uomini e spesso dalla loro violenza. Una donna che non fu regina solo nel titolo, ma mise in discussione con intelligenza e audacia le convenzioni e l’ordinamento politico e culturale della sua epoca e contribuì in modo significativo a rendere grande la Spagna, finanziando tra l’altro la spedizione di Cristoforo Colombo, che scoprì il Nuovo Mondo. Un personaggio di baluginante modernità, anche perché animata da forti contraddizioni: spirituale ed appassionata e allo stesso tempo capace di morigeratezza e fredda gestione del potere come di passione e intenso amore per gli uomini della sua vita. Ho studiato molto per scriverlo ed interpretarlo. Il testo, nato dal trattamento e dall’elaborazione di documenti storici ufficiali, diari e biografie, è un monologo che ripercorre l’intera vicenda umana di questa straordinaria donna e regina. Ma uno spettacolo è anche un lavoro di squadra, un’orchestra dove tanti strumenti diversi raggiungono l’armonia insieme. Lo spettacolo si avvale dunque della partitura musicale originale di Andrea Anconetani su cui la protagonista, giunta al momento estremo, si muove sul filo dei ricordi, dei fatti, delle persone della sua vita, e da ciò la partecipazione in voce di amici attori e attrici molto bravi che hanno reso ancora più potente l’azione scenica: Paola Giorgi, Tommaso Garrè, Simona Ripari, Gabriele Claretti e Aldo Emanuele Castellani. La scenografia è opera dello scultore Massimiliano Orlandoni, i costumi delle Sorelle Ferroni, la regia di A. Anconetani. Lo spettacolo, che ha debuttato a novembre, farà tappa in diversi teatri italiani nel 2025.

Melania e il cinema, un amore latente. C’è qualcosa in pentola?

Si, un amore che mi segue da sempre, fin da quando avevo quattordici anni e guardavo incantata i film di Hitchcock, di Woody Allen, di Truffaut… Studiare cinema all’università è stato veramente importante per me e quando ho iniziato come attrice a lavorare in produzioni televisive e cinematografiche, mi sembrava un sogno, come camminare in mezzo alle nuvole. Il momento più bello è stato lavorare con Paolo Sorrentino ne “La Grande Bellezza”, vincitore dell’Oscar come Miglior Film Straniero. Anche se facevo un piccolo ruolo, è stato a dir poco emozionante. Negli ultimi anni, a dire il vero, sono stata assorbita molto dal teatro e dall’università-sto prendendo un’altra laurea, in Lettere e Filosofia- ma ultimamente sto facendo tantissimi provini, uno proprio pochi giorni fa per un ruolo molto importante. Non dico nulla e incrocio le dita!

C’è qualcosa che non rifaresti nella tua vita per seguire l’amore assoluto per il teatro?

Un tempo forse ti avrei risposto diversamente, oggi ti rispondo che rifarei tutto e che non mi pento di niente.

Consentimi un momento di commossa riflessione. Non so quante volte ci siamo incontrati per il Corriere dello Spettacolo in tutti questi anni. I nostri cammini sono stati quasi paralleli, tu sui palcoscenici ed io a scrivere di mille spettacoli. Da un piccolo teatro romano in cui ci siamo conosciuti, è nata una stima e un rispetto reciproco che è durato negli anni. Con questa intervista io, probabilmente, metto un freno alle mie peripezie, chiudendo un cerchio ideale con questa nostra chiacchierata. Augurando il meglio a te e buone feste ai nostri lettori, un’ultima domanda: avendo conosciuto pregi e difetti di chi lavora per il teatro, sinceramente, che idea ti sei fatta sul futuro pratico di questa “scatola dei sogni”?

Questa tua ultima domanda mi commuove molto… Ricordo anche io quando ci conoscemmo e tutta la strada che abbiamo fatto, insieme, con diverse esperienze ma comunque mai troppo distanti. Ti rispondo parafrasando la battuta finale di quel genio di Woody Allen del suo film capolavoro “Io e Annie”. Sai quella vecchia barzelletta, dove uno va da uno psichiatra e gli dice: “Dottore, mio fratello è pazzo. Crede di essere una gallina” E il dottore gli dice: “Perché non lo interna?” E quello risponde: “E a me poi le uova chi me le fa?” Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io del Teatro: che è tutto irrazionale e pazzo, e assurdo, non si sa bene il presente figuriamoci il futuro…. ma credo che si continui comunque perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.

Paolo Leone

 

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