Nell’affrontare una raccolta di poesia è importante volgere lo sguardo a ciò che si produce in una certa area linguistica e in un determinato momento storico, potendo così verificare le differenze che si vengono a creare fra scrittura individuale e tendenze generali: oggi, è quasi certo, sta venendo meno quel significato umanistico che spesso era la cifra o stile da inserire anche in un contesto etico: per questo motivo la poesia di Stefanoni si discosta dai sentieri battuti e ancor meno dalle ovvietà che si incontrano quando la scrittura perde il suo valore espressivo. Davanti a questa situazione il poeta sente la necessità di dire una sua parola se non unica almeno distintiva, perciò, partendo da una consolidata esperienza, riesce a evitare la convenzione originando un linguaggio decisamente suo. Ciò però non sarebbe sufficiente, ed egli va oltre, disponendo di una forza lessicale che, costruita sul dato verbale, lo trasfigura non di rado con traslati di impressionante purezza semantica: da qui nasce la struttura, un fattore sostanziale che si propaga persino nei momenti lirici: una nettezza di contorni che persiste sino all’ispirazione poetica, coesa e insieme dettata da una libertà praticamente assoluta.
Vi sono tanti elementi che si connettono e si separano, senza mai rinunciare all’aspetto umano dello scrivere, laddove il poeta vuole inviare un segnale, e nel contempo presentarsi come entità autonoma. Se poi si vuole osservare il lato squisitamente creativo, i vari simboli, se intendiamo fare d’ogni nome un simbolo, danno luogo a una profonda analisi della realtà, tradotta ancorché dissimulata dal linguaggio, fino a quella incisività che è stile, utilizzando tutte le risorse dell’immaginazione, mentre la logica scava e mette in luce i prodotti potenziali del pensiero.
Esaminando ciascun testo, al punto in cui compare l’estroversione, ecco affiorare temi e figure originali: un esempio è il corpo, che deve essere solo corpo, e quindi, cosa proporre dopo? Ne La prima offerta potrebbe dissolversi o mutare in nuvola, ma qui l’autore capovolge la soluzione come a dirci che lo spirito è iniziale, sta sotto e all’interno, e niente potrebbe ferirlo — la corporeità dunque è un limite ma potrebbe diventare espansione. La poesia allora, forte della sua irrealtà, appare quale vaticinio breve a istituire un futuro, nella miriade dei segni che la realtà ci nasconde. E tra i segni rilevanti emerge lo specchio, che oppone al corpo il suo essere virtuale e pur inserito in una concretezza oggettiva, tanto che gli oggetti ci conducono a una condizione nuovamente corporea. Se lo specchio svolge una funzione, scomparso ormai il dato mitologico, ha la facoltà di frantumarsi, disponendo l’io in una identità molteplice, peraltro esposta sotto il profilo psicologico, ma nell’autore si fa atto del divenire con la poesia eponima, e in più inserisce una specie di doppio, come se da ogni parte si avesse il controcanto dell’esistenza, quasi mantenendo all’infinito la memoria di ciò che siamo.
Questa poetica riesce a coniugare l’intelligenza con la fantasia, da qui il risultato attraverso le domande che in noi, da altra linea, sorgono spontanee: è possibile rendere il significato di tutta l’opera in sintesi? per esempio in un solo verso? Lo troviamo in Dall’Europa: “Non ha più sorprese la scrittura del mondo.” Quel che è esterno: ma dentro la scrittura di Stefanoni ci sorprende, e continuerà a farlo, in virtù di un indubbio rigore formale, mentre fuori, il mondo, continua nel suo modello, un fiume che trascina numerosi detriti.
Vi è poi un aspetto, nella impossibilità di poter dire e sviluppare la ricchezza di un singolo testo, che attraversa, talora in tono silente, la raccolta: una religiosa ricerca della verità. Che cos’è la verità? (Giov. 18:38). Più specifico in Kerigma si assiste a una duplice lettura, poiché la poesia consente queste valenze, non scoprirsi mai completamente, dare lo spazio a più interpretazioni; qualcuno la giudica una posizione definita, altri un limine per poter accedere a ciò che non riusciamo a comprendere; va di conseguenza ribadito che Stefanoni ha la capacità di configurare un nuovo umanesimo, allorché la società pare rivolgersi altrove; anzi, ciascuna composizione andrebbe indagata nella sua essenza, nel principio che il verbo, quasi incarnazione, assume per il suo messaggio; manteniamo questa speranza, se pur in Dorsali il poeta ci avvisa che “il mondo a sé rivolto non muta”; noi attendiamo alla fine la metamorfosi, imitando la natura con il suggello di un’idea che si evolve; per tale motivo seguiamo il percorso che l’autore ci indica, potrebbe portarci molto lontano.
Luciano Nanni