Un coinvolgente “Canto di Natale”

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Arianna Scommegna torna sul palcoscenico del Teatro Gerolamo per dar vita, in questi giorni di festa, al celeberrimo “Canto di Natale” di Charles Dickens, accompagnata alla fisarmonica da Giulia Bertasi, produzione ATIR e Teatro Gerolamo. Spettacolo dedicato a chi il Natale non lo sopporta più (o non l’hai mai sopportato, come il protagonista), a quelli asfissiati dal mortale e letale buonismo, veri protagonisti contemporanei di questa storia di cambiamento e rinascita: allo “Scrooge” che è in ciascuno di noi. Scritto nel periodo in cui gli inglesi stavano rivalutando le tradizioni natalizie, Charles Dickens fu molto influenzato dalle esperienze vissute nella propria infanzia ma anche dai racconti di altri autori, pur avendo già scritto tre storie di Natale. L’ispirazione del Canto di Natale l’ebbe dopo aver visitato la Field Lane Ragged School, una delle istituzioni presenti a Londra in quel tempo per i bambini di strada. Lo sguardo verso i poveri e il loro trattamento, unito alla capacità di una persona di operare un cambiamento interno, sono i motivi portanti del racconto dickensiano, la cui prima edizione andò esaurita proprio il giorno di Natale del 1844. Arianna Scommegna impersona Ebenezer Scrooge, anziano affarista, arido e taccagno e lo si percepisce nell’asciuttezza del tono, senza colori di voce così come senza sentimenti è la sua anima, sigillata a ogni empatia umana o scintilla di generosità, mai essendosi occupato di nessuno prima. L’attrice milanese rende la feroce solitudine di cui Scrooge, per scelta, si è ammantato, inserendola in un paesaggio di nebbia e freddo reso con un descrittivismo palpabile. Così come ci sembra di vedere, nella luce sul batacchio, il volto del defunto socio Marley, tanta è la sua capacità di renderlo nuovamente vivo e presente. E pregnante si fa il terrore, mai prima provato nel suo isolamento – preso per ubbie senili – dei rumori che portano alla figurazione del fantasma di Marley, trascinante al collo una catena. Cupo si fa allora il tono del suo raccontare, spettrale, e i nostri sensi sentono lo stridio dei campanelli che, impazziti, intonano un lugubre concerto. La miseria umana ci appare in reale dimensione, nella disillusione delle considerazioni dello spirito schiacciato e punito per l’attaccamento smodato al denaro e agli affari: schiavo per sempre, per l’eternità, irrequieto senza posa a vagare con altri spiriti che ci sembra veder fondersi nella nebbia… anime dannate in un girone infernale dantesco. Seguono le tre icone di spiriti, a rievocare tre differenti Natali: il passato, il presente e il futuro. Resi ogni volta dalla Scommegna in distinta caratterizzazione, vocale innanzitutto, ma anche nella postura e nei gesti. Con il primo, l’attrice ci porta in un fantastico volo in cui assaporiamo l’aria frizzante di un terso mattino invernale, sopra il paese in cui di Scrooge è nato e nitido si fa il ricordo, commosso nel riconoscere se stesso giovane, in una stagione della vita più felice, o per lo meno più serena, in cui l’affarista sapeva sorridere a ingenue letture. Ed è un continuo mutar di colori di voce per rendere il dialogo fra i due personaggi fra loro così differenti: suscitato il primo con una dizione irreale e fantastica di suoni, quasi gutturali, a contrasto di quelli più umani e colloquiali di Scrooge. Segue la maturità che porta i primi segni della piega cinica e amara, segni dell’affanno e dell’avarizia, che prenderà in seguito, soccombendo alla paura di vivere… Il secondo spirito, allegro gigante del presente Natale, è reso dalla Scommegna con tono soave e accattivante, in un tripudio vocale di dovizia di sapori alimentari e sovrabbondanza d’apparati di festa, suscitando scintillio di buon umore. Infine il terzo spirito, il Natale che sarà (o potrebbe essere), grondante funeree predizioni, è felicemente reso dall’indifferenza del vacuo cicaleccio di due uomini d’affari e ancor più dal tono dialettale della ricettatrice di un rifugio malfamato, dove l’uomo superbo non avrebbe mai messo piede, popolato da miseria e ignoranza. E l’attrice si fa intensa nella perorazione che Scrooge rivolge allo spirito: si ritrova alla fine vivo, vanificata per sempre la paura di vivere. L’attrice la scena la riempie anche con l’agire e con quell’occhiuto e mobile scrutar di spettatori, ballando nella gran veste da camera che l’avvolge e in cui si raggomitola, quasi barriera a protezione degli altri. Inizialmente la voce non risuona nella piccola sala e l’attrice, con felice colpo di teatro, risolve la mancanza di funzionamento del microfono inserendo battute nel testo dickensiano (senza infrangere la quarta parete), con plastica capacità di uscire e ritornare al personaggio senza incrinarne la linearità. Affabulatrice e incantatrice della parola, sposa con lo stesso affetto e calore l’umanità dei differenti personaggi del racconto dickensiano, da quelli che mostrano caratteri più amabili a quelli dai tratti più marcati e duri, e lo fa interpretandoli con innegabile e gustosa ironia che si trasforma in empatia contagiosa. Musiche fascinanti permeano il racconto, evocando distintamente le situazioni grazie  alla poetica fisarmonica di Giulia Bertasi, con la quale da anni l’attrice condivide il percorso artistico. Alla fine della serata Arianna Scommegna sembra meravigliarsi lei stessa del suscitato entusiasmo, felice – e glielo si legge in faccia – come quell’angelo di felicità evocato durante il suo coinvolgente raccontare. Al Teatro Gerolamo di Milano.

gF. Previtali Rosti

ph Piero Colaprico

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