Pino è mille culure

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Sono già passati dieci anni da quella sera del 4 gennaio 2015, in cui il cuore di Pino Daniele, già sofferente da tempo, si arrese definitivamente, privandoci di uno dei più grandi cantautori italiani di sempre.

IL TEMPO RESTERA’”, come recita il titolo del bel documentario di Giorgio Verdelli dedicato a Pino; ma per fortuna resteranno anche le canzoni e l’eredità culturale del grande artista napoletano, capace di fondere blues americano e musica popolare partenopea in una miscela unica e ancora oggi inimitabile. Il folgorante esordio di Terra mia (1977), album che contiene Napule è, una delle più toccanti canzoni mai dedicate da un musicista alla propria città, è solo il preludio di un percorso artistico poliedrico e unico, che ci ha regalato capolavori come Nero a metà, Vai mo’ e Bella ‘mbriana, usciti tutti nel periodo d’oro di Pino, quello dei primi anni Ottanta. Grazie anche a un gruppo di collaboratori di prim’ordine (artisti del calibro di Toni Esposito, James Senese, Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo: il meglio della scena napoletana di allora), Pino Daniele raggiunge vette artistiche assolute, proponendo una musica che mescola alla perfezione rock, blues, funky, fusion e folk, il tutto tenuto insieme dalla sua napoletanità verace.

Poi, complici anche i problemi di salute che modificano irreversibilmente la sua voce, Pino si avvicina progressivamente al pop, la sua musica si fa meno elaborata e più orecchiabile, i testi perdono grinta e rabbia e lasciano più spazio ai sentimenti e alla voglia di leggerezza, come testimoniano album quali Schizzechea with Love e Mascalzone latino, arrivati alla fine del decennio. Gli anni Novanta si aprono con O scarrafone e Quando, due canzoni emblematiche del nuovo corso, che prosegue con album sempre più melodici e meno ambiziosi dal punto di vista artistico, come Che dio ti benedica, Non calpestare i fiori nel deserto e Come un gelato all’equatore. Sono dischi che, se da un lato fanno storcere il naso ai fan della prima ora, dall’altro regalano all’artista un successo commerciale mai avuto prima.

Il nuovo millennio si apre all’insegna della decisa svolta world music (già accennata in Non calpestare i fiori nel deserto) di Medina, album in cui Pino trova ispirazione nel vicino Medio Oriente, per cambiare poi nuovamente direzione con il progetto Passi d’autore, che segna un deciso avvicinamento dell’autore al jazz, e con esso il ritorno a una proposta musicale più ambiziosa e meno incline alle concessioni pop. La grande madre (2012) è l’ultimo album in studio pubblicato dall’artista, caratterizzato da atmosfere rilassate ed echi blues.

Di Pino non si possono non ricordare poi le partecipazioni a “Umbria Jazz”, il sodalizio artistico e umano con un altro grande napoletano scomparso prematuramente, Massimo Troisi, e le due grandi tournée insieme ad altri artisti: quella con Eros Ramazzotti e Jovanotti negli anni Novanta e la successiva con Ron, Fiorella Mannoia e Francesco De Gregori, datata 2002.

Francesco Vignaroli

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