Imperdibile La Collezionista con Ida Marinelli

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Al Teatro dell’Elfo ha debuttato, in prima nazionale, La collezionista, nuova scrittura della drammaturga Magdalena Barile, nato da un’idea di Ida Marinelli che ne è protagonista. Un testo che prende ad argomento una pungente e sagace riflessione sull’arte contemporanea, mettendo al centro della pièce la figura di Peggy Guggenheim senza farne un pedissequo calco biografico, ma liberamente ispirandosi a questa musa dell’arte novecentesca per cavarne una commedia che vira verso i toni del “noir”. Ne è uscita un’obiettiva considerazione sullo stato in cui versa oggi l’arte e sull’ubicazione nella nostra società. Protagonista è la Marchesa, grande collezionista, personaggio di fantasia in cui facilmente si adombra la Guggenheim, ma alla cui creazione ha contribuito anche la figura di Luisa Casati Stampa (marchesa per matrimonio), collezionista ricordata per le sue eccentricità e per aver ispirato numerosi artisti del tempo. La protagonista, incamminata con poetica serenità verso un tramonto dorato, mostra d’aver perso quel bruciante entusiasmo per l’arte che la caratterizzava: i tempi sono cambiati, l’ottusità impera e il suo museo è sotto attacco, costringendola a trasportare nel caveau del palazzo veneziano la collezione, riducendo il museo d’arte contemporanea senza più l’arte contemporanea in cui lo ambienta. In La collezionista non si risparmiano critiche al politically correct, con stoccate alle istituzioni e ai politici – che fan finta di guardare al futuro, ma tralasciano un reale interesse per ogni forma artistica; coraggiosamente rende evidente l’insipienza di generazione futura, attivisti per il clima, nel colpire inermi opere d’arte. I sogni non si mischiano alla realtà: triste dover nascondere quella bellezza che Fëdor Dostoevskij dice salverà il mondo, l’unica capace di anestetizzare il banale quotidiano che siamo chiamati a vivere. L’arte costa perché va protetta, assicurata, e l’arte – ammettiamolo! non è per tutti e non lo sarà mai. E la Guggenheim, anche se accusata di aver comprato a basso prezzo opere di artisti in fuga dai loro paesi per sottrarsi alla violenza, ne ha intuita la grandezza e li ha fatti conoscere al mondo. Tra luci e atmosfere lagunari siamo fisicamente immersi in questo racconto-riflessione sull’arte contemporanea: ammessi in una casa-museo, una galleria quasi del tutto svuotata delle opere che la abitavano, accoglie gli spettatori-visitatori che partecipano attivamente fin dall’inizio, sciamando curiosi a consultare le targhette esplicative. Impianto scenico bianchissimo ed essenziale che evoca Venezia facendo percepire umidità e sciabordio dell’acqua: voce fuori campo a illustrare la statua di una Venere posta al centro cosparsa di melassa; sul fondo una scala che porta alle infinite altezze dell’arte. Ida Marinelli, dominatrice della serata, veste il personaggio della Marchesa con pregnanza e adesione encomiabili: conscia di aver marcato un’epoca con passione e determinazione, si fa umana metafora di una condizione esistenziale di serena rassegnazione al finire di un tempo, pur chiedendosi dove sia andato a finire il sogno…Lo fa con una tavolozza timbrica di variegati colori, con intensa espressività del viso e di fulminanti sguardi: l’artista canta l’arte…e Ida Marinelli canta con bellissima voce, sopranile, quasi impostata, atteggiata senza traccia snobistica ma conscia del proprio valore e posizione, volitiva e serenissima, come la Repubblica e capace di comunicare di essere a un passo dall’Illuminazione. La marchesa è attorniata da altri personaggi del pari di fantasia, come l’assistente amico della collezionista Marcel, Angelo Tronca (dal fisico somigliante a Groucho Marx) persuasivo in scena nell’assecondarla e blandirla, pieno d’inventiva, credibile come, grazie all’arte, sia passato attraverso i traumi della vita in leggerezza e inosservato. E al suo intuito si deve la presentazione di due nuovi artisti, anch’essi immaginari, Andy e Lux a impersonare il nuovo creatore del tempo odierno capace di risvegliare la passione della marchesa o di affossarla definitivamente. Il primo è d’ispirazione alla Andy Warhol (dell’odiata pop art), copia delle copie, non influenzate dalla matrice originale, copie vissute del mondo, impersonato da Yuri D’agostino intenso e dinamico in scena, capace di reale stupore per la bellezza trovata a Venezia mentre sia sempre stato immerso nella bruttezza, a fugare la paura della morte. Barbara Mazzi è anche l’irriverente ed esagitata giornalista iniziale, in un’intervista feroce, per essere poi una disumanata Lux dalla creazione artistica che non deve chiedere scuse ed essere comprensibile: performance fisica, arte che fluisce. Ma la performance è finita, si è chiuso un capitolo e la marchesa/Marinelli si fa Mater dolorosa, sul pozzo in cui aveva versato il prezioso e buon miele per il suo “leone”, spiega l’arte al leone morto, arte del futuro, con tratti dai toni struggenti, pur se non percepiti. Sarà questa l’ultima grande opera d’arte della sua collezione. Spettacolo prodotto da Teatro dell’Elfo e Ama Factory, diretto in maniera pregnante e coinvolgente da Marco Lorenzi, scene evocative di Marina Conti, luci Giulia Pastore, costumi Elena Rossi e musiche appropriatamene scelte da Gianfranco Turco. Festosa accoglienza per la compagnia, con acclamazioni per Ida Marinelli.
A Milano, Teatro Elfo Puccini, fino al 2 febbraio.

gF. Previtali Rosti

 

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