Così è (se vi pare)

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Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello è una delle sue più note e rappresentate commedie; scritta nel 1917, diede il via a quella potente rivoluzione teatrale che ha sbalordito anche le platee straniere, facendo prendere coscienza di una nuova umanità, sana reazione nella società borghese verso tutto quello che è ormai privo di contenuto vitale. Pirandello in questo testo racchiude i personaggi in un cerchio ipnotico che incanta gli spettatori, acchiappandone l’attenzione. Cos’altro è se non un riflesso della platea che ogni sera riempie il teatro, quella meschina schiera di umanità che commenta, sospetta, suppone? E la saggezza e il calcolato distacco, che ben si guarda dalle trascinanti passioni, di Lamberto Laudisi altro non è che lo stesso Pirandello nel vano tentativo di ammonire che le cose e i fatti di ogni esistenza non hanno valore identico, se non in relazione all’importanza che ognuno gli dà. Eppure gli spettatori si lasciano trasportare subito dalla vicenda prendendovi fattiva parte: si schierano or per l’uno or per l’altra supposizione, invano ammoniti dall’astenersi dall’indagare nell’animo degli altri (quando non sappiamo veder chiaro in noi stessi), con il rischio di spezzare un equilibrio d’illusioni su cui si basa in gran parte ogni esistenza.  Il regista Geppy Gleijeses, sposando la filosofia del lontano, binocolo rovesciato in cui si scorgono personaggi depotenziati, figure piccine, si serve di ologrammi tridimensionali – creati dal videoartist Michelangelo Bastiani – che all’apertura del sipario mostrano i personaggi che affollano il testo ridotti alla loro effettiva statura, non personaggi ma stereotipi della meschinità e piccineria umana, pronta sempre a guardare giudicando gli altri, mai edotta di se stessa. Impiegando un attento uso di luci e ombre, nel disseminare la scena di specchi riflettenti, la regia crea nell’animo dello spettatore un continuo senso d’incertezza e tensione, rendendo di misteriosa evanescenza le figure che si stenta a considerare reali, apparentandole con l’inquietudine dei sogni e all’illusoria vanità di stabilire il confine della verità. Signora Frola era Milena Vukotic decana del teatro italiano, classe 1935, d’immarcescibile volontà e ferreo artigiano recitativo, entra in scena con passo calibrato, con quell’aria pudica che cerca di essere scusata, dà subito una lezione rendendo chi la circonda silhouettes recitanti, distanziandosi ancor più in comparazione dopo che le proiezioni sono diventate persone in carne ed ossa. Aria raccolta e dolente, risolutamene affannata nel convincere e spiegare il comportamento suo e del genero, mentre è sottoposta a una batteria di domande che sono un’intentata crocifissione. Colori di voce cangianti, patetici e premurosamente supplichevoli ma mai dimessi, con uno sguardo intenso quanto ispirato la si vede – in un gioco di specchi – riflettere la sua figura – pur minuta – divenire statuaria tanto domina pacatamente gli altri, prima di svanire. Tornata in scena si fa impaziente a rassicurare i minus, che riversano su lei una crudeltà d’inchiesta che non conosce misura e discrezione, come se il soddisfacimento della propria curiosità sia giustificazione sufficiente. Turbata e agitata nella primitiva calma, la Vukotic prende a muoversi nervosamente, si fa afflitta nel racconto delle sventure accorse sfociando in un urlo di ribellione a fronte dell’insistito terzo grado e sospetti. Ritrovata la convincente pacatezza che la distingue, sua cifra stilistica e recitativa, prosegue con un’espressione di candida ambiguità. Superba prova d’attrice. Lamberto Laudisi di Pino Micol è l’altra colonna attorale su cui poggia lo spettacolo: pienamente convincente nel vano tentativo di persuasione della curiosa umanità che popola la scena, gioca sapientemente col mellifluo quanto ironico tono di voce che mai si altera: la verità? un fantasma che è la stessa realtà. Di partecipe e studiato pietismo il Signor Ponza di Gianluca Ferrato, accorato nella rivelazione, di efficace e mobile espressività di viso e la cui gestualità riesce essenziale, trova l’acme recitativo nel drammatico incontro con la Signora Frola al ricordo del pezzo suonato al pianoforte. Impossibile non condividere la pena loro, dopo la vessazione inaudita cui sono stati sottoposti, inquisizione feroce sulla lor vita privata. Tenera e partecipe l’Amalia Agazzi di Maria Rosaria Carli, efficacissimo Consigliere Agazzi di Luchino Giordana e stereotipata Dina di Giulia Paoletti. Di alto artigianato il Signor Prefetto di Armando De Ceccon a rivestire di tratti imperativi e solidamente umani il personaggio. Puntuto e secco Antonio Sarasso quale Signor Sirelli, Stefania Barca era una frizzante Signora Sirelli, Giorgia Conteduca e Dacia D’Acunto rendono la Signora Cini e Signora Nenni amabilmente colorite e infine Walter Cerrotta si fa carico di un macchiettistico Commissario Centuri dal bel personale. Scene di Roberto Crea, bellissimi i costumi e ricercati, nella perfetta resa di un’epoca storica di Chiara Donato, musiche Teho Teardo e light designer Francesco Grieco. Una produzione Gitiesse Artisti Riuniti che ha raggiunto le 150 repliche in una lunga tournèe. Applausi convinti e partecipi, con ovazioni per Milena Vukotic e Pino Micol. Al Teatro Franco Parenti fino al 16 gennaio.

gF. Previtali Rosti

 

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