Amadeus è il nuovo spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia andato in scena in prima nazionale al Teatro Elfo-Puccini di Milano, nella traduzione dello stesso Bruni. Amadeus è una pièce teatrale di Peter Shaffer (autore anche della sceneggiatura) rappresentato per la prima volta al National Theatre di Londra nel novembre del 1979, regia di Peter Hall, interpreti Paul Scofield nel ruolo di Salieri e Simon Callow in quello di Mozart. Dopo il successo londinese Amadeus è proposto con altrettanto successo a New York, nel dicembre del 1980, sempre con la regia di Hall, premio Tony nel 1981 a Jan McKellen per il ruolo di Salieri. Ormai rappresentato in tutto il mondo, la pièce raggiunse anche l’Italia, la cui prima edizione, regia di Giorgio Pressburger, vedeva Paolo Bonacelli nel ruolo di Salieri, Aldo Reggiani in quello di Mozart e Anna Bonaiuto quale Costanze si vide anche a Milano nella Stagione 1981/82. Amadeus ha vinto numerosi premi teatrali oltre agli otto Oscar per la celebre versione cinematografica di Milos Forman. Il dramma è la teatralizzazione del leggendario tentativo di Antonio Salieri, musicista all’apice di una gloriosa carriera, di avvelenare per invidia il giovane genio e odiato avversario Wolfgang Amadeus Mozart per annientare e distruggerne la reputazione. Di leggenda si tratta, non avendo nessun fondamento storico: Shaffer elabora il testo basandosi su voci e pettegolezzi dell’epoca ma, quanto a invenzione drammatica, si rifà a Mozart e Salieri di Aleksandr Puškin, pubblicato fra le Piccole tragedie nel 1830 e messo in musica da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1898. Il titolo della pièce è legato all’abitudine di Mozart di usare come nome d’arte Amadeus, in realtà latinizzazione di Theophilus, uno dei nomi con cui fu battezzato il musicista. Ferdinando Bruni, protagonista della serata, fa un accattivante Antonio Salieri, furbo come una volpe, a tratti viscido, capace di orrendi pensieri e congiure pur di arrivare al compimento del disegno concepito, scaturito in odio a Mozart, nella lotta senza quartiere intentata a Dio che glielo predilige con doni artistici di bellezza di scrittura musicale sublime e assoluta. Clavicembalo inizialmente scordato (come il suo cuore e la sua mente) su cui l’attore varesino accenna incipit musicali e canticchia con intensità, Bruni cattura lo spettatore con loquela veloce e turbinosa, seducente nel delineare un personaggio dalle molteplici contraddizioni, buono e corretto all’apparenza ma divorato dal desiderio di fama e celebrità che lo porteranno a dissidi e tragiche scelte. Profondo e convincente nella preghiera iniziale a Dio, quel “Dio dei contratti” con cui ne stipula a fronte della fatiscente pittura murale nella natia Legnago, si fa viepiù intenso e travolgente. Scosso nel rendere la descrizione procuratagli del primo adagio musicale che lo turba profondamente, rende palpabile l’angoscia e la paura della mediocrità – fin allora sconosciuta- traducendola in una recitazione tesa, allucinato raccontare. Vette d’intensità interpretativa Salieri/Bruni le raggiunge prostrato a terra, annichilito dal vuoto che si palesa dentro di sé, nella percezione dolorosamente avvertita della mediocrità cui in eterno è condannato. E si travasa in uno straziante urlo contro Dio, segnale primo di battaglia a combattersi contro l’inesorabile e beffarda divinità, guerra senza campo: Nella fornace dell’arte la bontà non conta niente. Stupendo nello scendere e salir di voce, nel rendere con mille sfumature d’intensità gli strazi e i laceranti combattimenti dell’animo. E nella variegatissima tavolozza di colori di voce, l’entusiasmo di cui carica la recitazione, le calcolate pause, la cinica rassegnazione finale: si fa potenza evocativa stregando gli uditori nel comunicare paura e spavento di annegare in un mare di mediocrità, vastità immensa. Unico rammarico: non necessitando Ferdinando Bruni di amplificazione per l’esatta voce impostata, l’uso di microfono pur amplificandone la dizione, rendendola più presente e nitida, ne sperde il prezioso gioco di sfumature. Il giovane Daniele Fedeli si fa in quattro nel rendere la fragilità e la conturbante sensualità del genio musicale Wolfang Amadeus Mozart, si trova a suo agio nel ricreare il conturbante e spiazzante psicologismo dell’animo mozartiano, l’irriverenza e l’incontinenza del suo dire: la lingua può essere stupida, ma il cuore no. Di disarmante semplicità alle prese con le vetriolesche verità che nessuno, tranne un genio, ha osato ancor pronunciare: l’opera è più vera di qualsiasi commedia, trasfigurando in arte la quotidianità unisce la mente degli spettatori e fuga la noia che genera la paludata “opera seria”. Recitazione di plastica aderenza e immedesimazione, anche fisica, al superbo musicista, cui solo difetta una miglior impostazione di voce. Capace pur di giungere a intenso vertice emotivo e interpretativo nel dolente disfacimento finale. Valeria Andreanò, nel ruolo di Constanze rende intera la fresca giovialità del personaggio raggiungendo nel finale abbraccio al morente Wolfgang, l’acme della sua interpretazione. Da citare il resto dell’omogenea compagnia, iniziando dalla simpatica coppia di “venticelli” (procuratori d’informazioni e pettegolezzi) formata da Riccardo Buffonini e l’ancor più istrionico Alessandro Lussiana; Matteo de Mojana, era un algido barone Van Swieten, Ginestra Paladino la gelida Contessa von Strack, Luca Toracca un titubante Conte Orsini-Rosenberg e Umberto Petranca quale svanito Giuseppe II. Ottima la regia, attenta in ogni gesto (anche nello spostar delle sedie…) dell’accoppiata Bruni & Frongia che si focalizza sull’entrare e uscire di Salieri dal personaggio per raccontarsi a un immaginario pubblico, in flashback di un ritmo serrato di narrazione. Efficace interazione con gli spettatori, chiamati a testimoni di una turbata coscienza, più volte evocato come massa di mediocri cui dà l’assoluzione in aeternum. Efficace scena fissa realizzata da Marina Conti, Giancarlo Centola e Tommaso Serra, di raffinato salone settecentesco e proiezione di sala teatrale: gabbia mentale in cui si perseguono i deliri e le sempre più cupe fantasie mentali di Salieri, esaltate da proiezioni di lanterna magica. Sontuosissimi i costumi pensati da Antonio Marras che, alla raffinatezza e preziosità di tessuti, accoppia una fantasia creativa sorprendente. Da rimarcare quelli di Mozart direttore d’orchestra, il mantello di Giuseppe II e Costanze in splendido rosso. Luci pregnanti di Michele Ceglia, suono coinvolgente di Gianfranco Turco. Accoglienza festosissima a fine spettacolo, con ovazioni per Ferdinando Bruni, Daniele Fedeli e Francesco Frongia.
Al Teatro Elfo Puccini, Milano. In scena fino al 2 marzo.
gF. Previtali Rosti
Foto Laila Pozzo
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