«… continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo… penso che tutto si volgerà nuovamente al bene»
Anne Frank
A volte è complicato scrivere, non perché non sai cosa dire, ma perché avresti troppo da dire, e non sai da dove cominciare, tra quel mare di emozioni in cui sei affondato assistendo allo spettacolo e non vuoi essere retorico, né sentimentale, né laconico, né esagerato. Il racconto di Anne Frank ci catapulta in un mondo che sembra lontano, eppure, ne sentiamo tutta la vicinanza, perché quella dolorosa vicenda, in un contesto altrettanto doloroso, ci coinvolge come se Anne fosse figlia di ognuno di noi, sorella, fidanzata, nipote. Perché la breve vita di quella ragazzina ebrea che ha visto spezzarsi, per colpa dei Nazisti, la sua giovinezza, i suoi sogni, il suo futuro, annotati in quel fatidico diario, è diventata il simbolo di qualcosa che non va dimenticato, perché dimenticare vorrebbe dire essere complici della sua morte.
Il regista Carlo Emilio Lerici ha messo in scena il play scritto da Frances Goodrich e Albert Hackett e basato su “The diary of a young girl”, pubblicato postumo nel 1947 e presentato in anteprima a Broadway nel 1955 e che vide nel ruolo di Anne Frank la figlia di Lee Strasberg, Susan. Nel 1959 ne segui un film che si aggiudicò tre premi Oscar, diretto da George Stevens.
Carlo Emilio Lerici ne ha sentito tutte le potenzialità, sia teatrali che cinematografiche, indirizzando verso quest’ultimo aspetto la sua regia, coadiuvata dall’ efficace scenografia di Vito Giuseppe Zito, dividendo la storia per ambienti e scene che si volgono su due piani, e che a volte sono indipendenti, altre, riuniti come in uno split screen. Anche i costumi di Annalisa Di Piero sono molto efficaci e si amalgamano bene con il contesto.
La vicenda prende l’avvio da quando Otto Frank, unico sopravvissuto ai campi di sterminio, ritorna alla soffitta di Amsterdam dove, con sua moglie Edith e le due figlie, Anne e Margot, insieme alla famiglia van Daan e al medico dentista Dussel, sono stati nascosti per due anni per sottrarsi alle leggi razziali. Qui incontra Miep Gies che li aveva aiutati e che ora può finalmente consegnargli il diario di Anne che lei ha trovato e gelosamente conservato.
Da ora in poi, il racconto si svolge in flash back, perché Otto ricorda…
Assistiamo alle vicende di uomini e donne che vivono come bestie in gabbia in attesa che la guerra finisca, che qualcosa succeda. E fra tutti, spicca la giovinezza, l’innocenza, la voglia di giocare e di sognare di Anne, interpretata con dolcezza e carattere da Angelica Accarino, e che cerca di infondere a tutti loro, lei, ancora una bambina, sorrisi, spensieratezza, e speranza.
La loro dignità, le emozioni, le paure, quasi sempre contenute, a volte esplodono in scene di grande strazio, e se vogliamo, di assoluta normalità, perché la coabitazione forzata non sempre è sopportabile, e nonostante la solidarietà, prendono il sopravvento la diffidenza, lo sfinimento, la fame, e il “silenzio della paura”. Un’umanità offesa e incatenata, che ha un’unica colpa: essere della razza “sbagliata”. Già…razzismo, quel terribile mostruoso atteggiamento che tutt’ora sopravvive nonostante tutto, e che trasforma, chi lo prova, in qualcosa che va la di là della comprensione, della compassione, del perdono.
Se vogliamo, questo racconto è anche un coming of age di Anne, è un diventare adulta pur rifugiandosi in quel mondo spensierato e inviolato e libero in cui vorrebbe continuare a rimanere.
Bella e commovente la scena della celebrazione di Hanukkah, la Festa delle luci, in cui Anne porta un dono per tutti, fatto con le sue mani, riciclando pezzi di carta, lacci da scarpe, tabacco sparso nelle tasche, perfino un dono per il gatto della famiglia van Daan. È un momento apparentemente spensierato, come se nulla fosse cambiato, come se ci fosse ancora un domani.
E allora pensiamo a come la vita possa assumere un significato ancora maggiore, anzi il vero significato intrinseco, quando ci rendiamo conto che ogni momento potrebbe essere l’ultimo, e perciò lo assaporiamo con maggior gusto, sentendone la forza, la dolcezza, la felicità. E forse, sentire alla fine il bisogno di perdonare.
Lo spettacolo, pur nella sua tragicità, è anche, a momenti, divertente, ironico, perché loro non sanno quello che gli accadrà dopo. Noi sì. Ma non possiamo intervenire, non possiamo fermare quello che gli succederà, ma possiamo continuare a tenere viva la Memoria e impedire che ci siano altre Anne, o qualunque altro nome abbiano.
Questo spettacolo, che da più di quattro anni calca le scene, ha il merito di essere stato visto da più di 4000 studenti di Roma e del Lazio. Questo è ciò che le nuove generazioni hanno bisogno: vedere il passato con occhi nuovi, più coscienti, più aperti, più tolleranti. Gli occhi dell’Arte. E con ciò, che possano ricordare sempre di ringraziare chi ha sacrificato la propria vita per la loro libertà.
Noi invece ringraziamo Carlo Emilio Lerici e i suoi bravi attori per quello che fanno e che faranno. Una responsabilità che si sono presi e di cui andare fieri.
Daria D. Morelli Calasso
Via Cassia 292, Roma
Sabato 25 e domenica 26 gennaio 2025
TEATRO BELLI
presenta
IL DIARIO DI ANNE FRANK
di Frances Goodrich e Albert Hackett
con (in ordine di apparizione)
Roberto Attias, Greta Bonetti, Angelica Accarino,
Francesca Bianco, Francesca Buttarazzi, Vinicio Argirò,
Tonino Tosto, Susy Sergiacomo,
Germano Rubbi, Roberto Baldassari
aiuto regia Martina Gatto
scene Vito Giuseppe Zito
costumi Annalisa Di Piero
foto di scena di Roberto Mancuso
ufficio promozione scuole Alessandra Santilli
i brani tradizionali ebraici sono cantati da Eleonora Tosto
regia di Carlo Emilio Lerici