“Parthenope” di Paolo Sorrentino

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Parthenope, nasce dalle acque ed incanta, come Napoli, come il mare. La sua bellezza è magia e allo stesso tempo inganno. Lei stessa è incantata dallo splendere della vita, ed è ingannata da una giovinezza che promette sogni, che però si spezzano al risveglio. Parthenope, scoprirà di non avere alcun potere magico. La bellezza è effimera, come la vita che le scorre tra le dita, negli occhi, lasciandola sgomenta e inebriata, come il mare che fluisce continuamente, senza che lei possa fermarlo. Non può fermare, infatti, il divenire dell’esistenza, il dolore, la morte. Una ninfa, più che una Dea, ha il potere di abbagliare e sedurre, ma può trattenere le persone con la sua influenza, non può nemmeno ricambiare chi la ama, perché non è capace di vivere un amore per qualcuno. Come una sirena, ignora i sentimenti degli uomini, prende l’amore che questi le donano, ma  non riesce a viverlo totalmente né farne nutrimento, non si lascia riempire, lo lascia scorrere. È inafferrabile e per questo semina dolore e lascia morire. Come Napoli, misteriosa e accattivante, ma poi fredda pericolosa e impalpabile, come la vita, come il mare che inebria di luce e di infinito ma che può scagliarti violentemente nel dolore, nella finitezza, nella banalità dell’esistenza umana che non si può trascendere.

Parthenope (interpretata da giovane in modo superbo da Celesta dalla Porta) guarda alla vita con gli occhi di un bambino, sente la bellezza e il dolore allo stesso tempo e vive ogni attimo, cercando la libertà in ogni momento senza un progetto specifico.

Conosce presto il dolore e lo porta dentro di sé insieme alla bellezza, con un angoscioso contrasto. Il dolore la scalfisce, un po’ la cambia, la porta a vagare e a perdersi per poi fermarsi, ma non a ritrovarsi, perché lei è sempre alla ricerca di qualcosa, forse di un impalpabile infinito o di una riparazione a una perdita, a una colpa o a un amore proibito e  condannato.

La protagonista attraversa, durante la sua giovinezza, una Napoli fatta di personaggi felliniani, bizzarri e antichi, legati a riti religiosi cari al regista. Lo scorrere del tempo, la vecchiaia, i paradossi, incarnati da una Napoli che emerge in tutti i suoi aspetti come una Dea, ma da cui Parthenope, alla fine, si separa. Lascia Napoli, come si lascia la magia, la giovinezza, la bellezza.

È tutto un salire e poi scendere questo film,  spiegabile più con le immagini che con le  parole che suggeriscono lo scorrere indecifrabile della vita ricca di infiniti attimi di bellezza ma anche di malinconia e di dolore.

Il regista, ripropone i temi da sempre a lui cari, ma che sono patrimonio di tutta l’umanità: la giovinezza, l’oblio, l’amore, il dolore, la perdita, la bellezza, il senso della vita e la ricerca della libertà.

Nel trattare gli argomenti “umani”, Paolo Sorrentino ci rapisce con  una sceneggiatura articolata, avvincente e poetica con l’aiuto della fotografia  suggestiva e onirica di Daria D’Antonio che accentua la magia della narrazione in cui, chi vuole, con dolore o gioia, proietta il suo mondo interiore.

Le ambientazioni: Capri con le sue acque e  i suoi promontori e  Napoli, città sofferente e incantata,  lasciano uno spazio sognante  agli spettatori, che possono perdersi tra le immagini dei luoghi e la colonna sonora di Riccardo Cocciante  (Era già tutto previsto), una canzone  del 1975 che accompagna con emozione il destino della protagonista.

Parthenope è interpretata nella seconda parte del film da Stefania Sandrelli, un personaggio completamente differente in cui si dissolve il mondo magico della giovinezza e della bellezza: «Mi sono distratta – dirà alla fine  –  sempre assorta in “altro”»: l’amara consapevolezza di non  avere preso coscienza della sua stessa vita.

Luisa Ranieri, interpreta il personaggio interessante di Greta Cool, mentre Silvio Orlando, interpreta il ruolo di Devoto Marotta, un personaggio positivo e punto di riferimento della  protagonista; anche lui “affetto” dal dolore per la disabilità dell’amato figlio.

Isabella Ferrari è Flora Malva, un’attrice anziana che si vergogna  della sua vecchiaia; Gary Oldman (la star britannica di fama internazionale) veste i panni dello scrittore John Cheever; Peppe Lanzetta, interpreta il ruolo di un  vescovo ambiguo. Lorenzo Gleijeses, Sasà, il padre di Parthenope e la mamma, Francesca Romana Bergamo, sono gli emblemi di una genitorialità complessa, gravata dall’alienazione di una perdita violenta.

Ottimi i costumi di  Carlo Poggioli,  il montaggio di Cristiano Travaglioli e le scenografie di  carmine Guarino.

Marialaura Familiari

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