A tu per tu con Arianna Galli

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Nata nel 2002, Arianna Galli è una poetessa, critica letteraria e cinematografica, illustratrice e cantautrice, nata a Brescia, ma cresciuta a Milano, scenario principale delle sue opere. È autrice dei libri di poesia “Non c’erano fiori” (Ladolfi Editore) e “Il Deserto di Milano” (Edizioni Ensemble), entrambi distribuiti da Mondadori. Le sue poesie sono state tradotte in varie lingue (inglese, francese, spagnolo e portoghese) e sono comparse sia in traduzione in inglese su numerose riviste letterarie nazionali, oltre ad essere stata scelta dal Comune di Sirmione nel 2023 come poetessa per omaggiare Maria Callas in occasione del centenario della sua nascita. Dopo la maturità Classica, si è laureata presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore in Lingue e Letterature Straniere con indirizzo in Comunicazione e Cinema e ora sta continuando gli studi in Cinema specializzandosi in Regia e Sceneggiatura. Ha da poco inaugurato un progetto musicale surrealista ambientato nel suo subconscio, iniziato con il singolo uscito a Novembre “Poets are still live”.

Cos’è per te la poesia? Come ci sei entrata in questo mondo?

La poesia è sempre stata per me un’identità: è il sangue che mi scorre nelle vene, è la vita che mi ha scolpito, che ritraggo tramite le immagini e il suono della parola, è la mia anima e il mio corpo spogliati dalle maschere e il mio modo di rinascere dalle ferite. Ho avuto la fortuna di essere stata scoperta dalla mia maestra delle elementari, che mi incoraggiò nel mio percorso. Fu così che mi iscrissi a vari concorsi letterari che vinsi, facendomi conoscere sempre di più e introducendomi nella scena poetica dove fui scoperta e guidata da quelli che sono stati i miei Maestri: Alessandro Rivali, Cesare Cavalleri, Giampiero Neri. Sicuramente il momento in cui la mia vocazione diventò per me una scelta e fu quando, a 16 anni, il mio ragazzo dell’epoca, che amavo follemente, andò in Cielo per un incidente. Fu un trauma che mi portò all’esaurimento nervoso, ma poi ricordai le parole che mi disse tempo prima di morire. “Sei una risk taker? Preferisci una calma certezza o un’emozionante incertezza? Nella vita credi nei tuoi sogni fino in fondo, giocando tutte le tue carte, al costo di perdere la scommessa”. Dovevo credere nella vita, vivere anche quella vita che lui non avrebbe potuto vivere, credendo in me stessa, nella mia arte come dono per gli altri, il dono della speranza che anche dal dolore più profondo può nascere la bellezza della rosa rossa che è l’arte. È così che scrissi la mia prima raccolta poetica “Non c’erano fiori”, scritta nel 2018 e poi pubblicata nel 2022 da Ladolfi Editore, che ha come protagonista una donna caduta nella follia che intraprende un viaggio nel suo subconscio in una riscoperta di sé che la porta a superare il lutto e comprendere che nella sua vita non c’erano fiori e quella persona amata è il fiore che il destino le ha donato e che porterà per sempre nel cuore nel suo cammino verso il futuro. Ho coltivato poi il mio talento per la scrittura, grazie ai miei Maestri, alla lettura della poesia contemporanea e la comprensione dei meccanismi della lingua attraverso gli studi universitari di Linguistica, Semiotica e Semantica, approfondendo in particolare per conto mio il fenomeno del Fonosimbolismo, ovvero la capacità del significante di significare attraverso l’espressività emotiva ed evocativa dei foni, come provato in particolare dall’esperimento neuroscientifico di Kolher Takete-Maluma del 1929. Nell’esperimento si dimostra che le persone associano spontaneamente suoni duri e spigolosi come “Takete” a forme angolari, e suoni morbidi e arrotondati come “Maluma” a forme curve, evidenziando che il suono ha una connessione a livello cerebrale con forme, colori ed emozioni. La mia seconda raccolta poetica “Il Deserto di Milano” riflette questo studio: il libro è ambientato durante il lockdown a Milano e si pone come un film in cui ogni poesia è una scena che vuole evocare tramite il potere iconico e fonosimbolico della parola quei giorni in cui “si respirava nel canto delle ambulanze l’odore dei morti” (p.74), ma anche il ricordo della vita, la vita vera, quotidiana, in cui si trova la meraviglia nelle piccole cose, e in cui l’amore diventa per i protagonisti e la città di Milano stessa il modo per rinascere dalle ferite della morte.

Che cosa la scrittura ti toglie e ti dà?

La poesia toglie la possibilità alla vita di finire: gli attimi che ho vissuto, le persone che ho incontrato, che ho amato, gli occhi in cui anche per un solo istante mi sono sentita specchiata e toccata nel profondo continueranno a suonare nelle parole per sempre. È così che le mie poesie si fanno spesso antologie, dal greco “raccolte di fiori”: i fiori sono gli amori che sono rimasti tatuati, sebbene distrutti, nelle mie iridi, che anche da assenze si fanno presenze che portano ancora in sé il profumo della vita. La cosa più bella che la poesia mi dà è il momento in cui diventa dono: mi commuovo sempre quando vedo alle presentazioni dei miei libri degli occhi lucidi, che mi vengono incontro per dirmi che nelle mie poesie hanno percepito compreso il loro dolore che nessun’altro riusciva anche solo sentire sospirare, il dolore di perdere una persona amata, il dolore della morte e il peso e dolcezza della rinascita. Per me l’arte si compie nel momento in cui parla, nel momento in cui diventa di chi ne ha più bisogno, in cui si fa dialogo e ascolto, cogliendo quello che spesso la gente non riesce a toccare: esiste il dolore delle grida mute delle anime e della sordità di chi le circonda.

Perché il passaggio dalla poesia alla musica? Che connessione c’è tra questi due percorsi?

Credo che spesso chi ha più bisogno dell’arte non la cerca, perché non la conosce, non ha gli strumenti, le risorse per conoscerla. Nel mondo contemporaneo la carta si fa limite, in pochissimi leggono libri o si interessano all’arte, soprattutto negli ambienti più difficili e complicati in cui i giovani facilmente si perdono. La musica supera i confini e arriva più facilmente a chi ne ha realmente bisogno. La musica è qualcosa che ho sempre sentito parte di me, la poesia si basa sulla musica, sulla musicalità delle parole. Ma volevo andare oltre alla parola, mettermi nuovamente in gioco in un mondo nuovo che non avevo mai realmente esplorato in prima persona, sempre con l’obbiettivo di creare arte che sia dono, per gli altri, speranza per i più fragili, per chi nel fango cerca le stelle. In particolare, questo progetto è ambientato nel mio subconscio e vuole esprimere il mio abisso e il mio modo di uscirne, tutto ciò tramite la forza evocativa della mia prima arte, la poesia, la sua capacità di evocare le emozioni tramite le immagini.

Che cosa pensi del mondo musicale attuale?

La musica di oggi sta vivendo un momento di grande trasformazione, intrecciandosi sempre più con l’immagine. Questo connubio può portare alla creazione di opere straordinarie, capaci di fondere linguaggi diversi in un’arte completa, oppure rischiare di svuotare la musica del suo significato, riducendola a un prodotto commerciale. Spesso, la musica contemporanea riflette il vuoto della nostra epoca, dando risalto a brani superficiali che puntano più sull’intrattenimento e sui numeri che sulla capacità di cogliere la bellezza e la fragilità dell’essere umano. Mi sono trovata davanti a questo bivio quando mi è stato proposto di entrare in un’etichetta con un progetto però imposto che puntava più sulla mia esteriorità che sulla mia interiorità. Ho scelto la strada più coraggiosa: portare avanti un progetto indipendente che fosse autentico, un’arte che non cerca solo di essere ascoltata, ma anche di far sentire. La mia musica nasce come un dono, una testimonianza della possibilità di rinascere dal dolore, con il desiderio di toccare l’anima di chi ascolta Il mio obiettivo non è solo creare, ma farlo in dialogo con altri artisti, soprattutto giovani ed emergenti, che condividano questa visione. Credo profondamente nella collaborazione tra diverse forme d’arte – musica, poesia, pittura, fotografia, cinema – per costruire opere che abbiano un valore duraturo, che racchiudano un messaggio profondo. Voglio creare uno spazio in cui le arti si intreccino per dare vita a qualcosa che non sia effimero, ma che rimanga nel tempo, come testimonianza di una ricerca sincera di bellezza e verità. Questo per me è il senso dell’arte: un dono che unisce, un linguaggio universale che porta luce nelle vite degli altri.

Su Instagram ti troviamo come @ar.senius, dove condivisa musica e poesia. Che rapporto hai con i social? Che cosa ne pensi?  Quale immagine vuoi veicolare?

Credo che i social media siano spesso il grande fenomeno di non-comunicazione del nostro tempo: un incessante, rapido flusso di contenuti che, anziché favorire un dialogo autentico, tende a soffocarlo. Heidegger ci ricorda che la comunicazione autentica è innanzitutto un ascolto profondo, un lento cammino verso l’altro, un aprirsi per lasciar emergere il suo essere. Nei social, invece, prevale il “si dice”, quella modalità di relazione inautentica che si conforma alle opinioni di massa e riduce il dialogo a chiacchiera vuota (Gerede). Qui, il silenzio – condizione necessaria per ascoltare – è frainteso come assenza, mentre l’urgenza di visibilità alimenta un vuoto di superficialità. I social rischiano così di amplificare la distanza tra le persone, invece di colmarla, tradendo il senso più profondo del comunicare: l’essere-con l’altro. Eppure, non credo che i social siano condannati a rimanere soltanto un luogo di non-comunicazione. C’è spazio, credo, per raccontare le profondità dell’anima, per tentare di creare un dialogo che vada oltre la superficie. Per me, questo spazio si traduce in un progetto artistico che cerca di sfruttare il linguaggio visivo del mezzo – l’immagine – come veicolo di contenuti autentici. Attraverso Instagram (@ar.senius), ho appena iniziato un viaggio che fonde poesia, musica, fotografia, pittura, scultura, moda e cinema, con l’intento di esplorare e comunicare gli abissi del subconscio. Vorrei che ogni post non fosse solo un contenuto, ma un invito all’ascolto e alla riflessione, per dimostrare che anche nei social può esistere una comunicazione che tocca le corde più profonde dell’essere.

E il futuro? Progetti che bollono in pentola?

Nella testa ho mille progetti, sia per quanto riguarda la musica, che la narrativa e sceneggiature per il cinema, ma non voglio fare spoiler…

Manuele Pereira

 

CONTATTI SOCIAL
https://www.instagram.com/ar.senius
CREDITS FOTOGRAFICI
Ph. Tiziano Gorini

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