Nata a Brescia il 29 marzo 2002, ma cresciuta a Milano, scenario principale delle sue opere, Arianna Galli è una poetessa, critica letteraria e cinematografica, illustratrice italiana di origini francesi. Dopo la maturità Classica, si è laureata presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore in Lingue e Letterature Straniere, con indirizzo in Cinema. È autrice dei libri di poesia “Non c’erano fiori” (Ladolfi Editore) e “Il Deserto di Milano” (Edizioni Ensemble) e collabora come critica letteraria e cinematografica per le riviste Studi Cattolici e Satisfiction e come giornalista di moda per la rivista Falcon Magazine. Le sue poesie sono state tradotte in varie lingue (inglese, francese, spagnolo e portoghese), comparendo sia su riviste letterarie internazionali (Incertain Regard Revue, Revista Kametsa, Revista Vislumbre, Eufeme) che nazionali (tra cui l’edizione cartacea de La Repubblica, Il Corriere della Sera e Il Giornale di Brescia; Poesia del Nostro Tempo; Il Fatto Quotidiano; Fara Poesia; Brescia Oggi; Interno Poesia; Alma Poesia, Rivista ‘900 letterario; Atelier Poesia, Poesia di Crocetti; Poesia e lo spirito). Non sono mancati i contatti con il mondo della musica: nel 2021, la sua poesia “Piano Notes” è stata scelta per introdurre il festival pianistico internazionale Lej Festival e nel 2023 è stata scelta dal Comune di Sirmione come poetessa per omaggiare Maria Callas in occasione del centenario della sua nascita. Nel 2024 è stata riconosciuta dalla rivista internazionale di cultura poetica “Poesia” di Crocetti Editore in quanto una delle poetesse più interessanti della sua generazione, la cui poesia è descritta dalla critica letteraria Giulia Martini come “caratterizzata da una particolare attenzione scenica per far emergere un tipo di subconscio dove sopravvive una classicità straniante”.
Che cos’è per te la poesia?
La poesia è sempre stata per me un’identità: è il sangue che mi scorre nelle vene, è la vita che mi ha scolpito, che ritraggo tramite le immagini e il suono della parola, è la mia anima e il mio corpo spogliati dalle maschere e il mio modo di rinascere dalle ferite.
Come ci sei entrata in questo mondo?
La poesia è stata per me una vocazione innata, iniziai a scrivere versi fin dall’età di 8 anni, percependola come un’essenza irrazionale e misteriosa nel mio essere: l’ispirazione mi arrivava e ancora mi arriva improvvisa come una sorta di onda di energia e ho delle visioni, sento entrarmi le parole che le dipingono, rivelandomi la vita al di là della vita e devo lasciar fluire sulla carta queste parole, per poi scolpirle, lavorarle, distruggerle e farle rinascere nella fase razionale della poesia. Ho avuto la fortuna di essere stata scoperta dalla mia maestra delle elementari, che mi incoraggiò nel mio percorso. Fu così che mi iscrissi a vari concorsi letterari che vinsi, facendomi conoscere sempre di più e introducendomi nella scena poetica dove fui scoperta e guidata da quelli che sono stati i miei Maestri: Alessandro Rivali, Cesare Cavalleri, Giampiero Neri. Sicuramente il momento in cui la mia vocazione diventò per me una scelta e fu quando, a 16 anni, il mio ragazzo dell’epoca, che amavo follemente, andò in Cielo per un incidente. Fu un trauma che mi portò all’esaurimento nervoso, ma poi ricordai le parole che mi disse tempo prima di morire. “Sei una risk taker? Preferisci una calma certezza o un’emozionante incertezza? Nella vita credi nei tuoi sogni fino in fondo, giocando tutte le tue carte, al costo di perdere la scommessa”. Dovevo credere nella vita, vivere anche quella vita che lui non avrebbe potuto vivere, credendo in me stessa, nella mia arte come dono per gli altri, il dono della speranza che anche dal dolore più profondo può nascere la bellezza della rosa rossa che è l’arte. È così che scrissi la mia prima raccolta poetica “Non c’erano fiori”, scritta nel 2018 e poi pubblicata nel 2022 da Ladolfi Editore, che ha come protagonista una donna caduta nella follia che intraprende un viaggio nel suo subconscio in una riscoperta di sé che la porta a superare il lutto e comprendere che nella sua vita non c’erano fiori e quella persona amata è il fiore che il destino le ha donato e che porterà per sempre nel cuore nel suo cammino verso il futuro. Ho coltivato poi il mio talento per la scrittura, grazie ai miei Maestri, alla lettura della poesia contemporanea e la comprensione dei meccanismi della lingua attraverso gli studi universitari di Linguistica, Semiotica e Semantica, approfondendo in particolare per conto mio il fenomeno del Fonosimbolismo, ovvero la capacità del significante di significare attraverso l’espressività emotiva ed evocativa dei foni, come provato in particolare dall’esperimento neuroscientifico di Kolher Takete-Maluma del 1929. Nell’esperimento si dimostra che le persone associano spontaneamente suoni duri e spigolosi come “Takete” a forme angolari, e suoni morbidi e arrotondati come “Maluma” a forme curve, evidenziando che il suono ha una connessione a livello cerebrale con forme, colori ed emozioni. La mia seconda raccolta poetica “Il Deserto di Milano” riflette questo studio: il libro è ambientato durante il lockdown a Milano e si pone come un film in cui ogni poesia è una scena che vuole evocare tramite il potere iconico e fonosimbolico della parola quei giorni in cui “si respirava nel canto delle ambulanze l’odore dei morti” (p.74), ma anche il ricordo della vita, la vita vera, quotidiana, in cui si trova la meraviglia nelle piccole cose, e in cui l’amore diventa per i protagonisti e la città di Milano stessa il modo per rinascere dalle ferite della morte.
Che cosa la scrittura ti toglie e ti dà?
La poesia toglie la possibilità alla vita di finire: gli attimi che ho vissuto, le persone che ho incontrato, che ho amato, gli occhi in cui anche per un solo istante mi sono sentita specchiata e toccata nel profondo continueranno a suonare nelle parole per sempre. È così che le mie poesie si fanno spesso antologie, dal greco “raccolte di fiori”: i fiori sono gli amori che sono rimasti tatuati, sebbene distrutti, nelle mie iridi, che anche da assenze si fanno presenze che portano ancora in sé il profumo della vita.
La cosa più bella che la poesia mi dà è il momento in cui diventa dono: mi commuovo sempre quando vedo alle presentazioni dei miei libri degli occhi lucidi, che mi vengono incontro per dirmi che nelle mie poesie hanno percepito compreso il loro dolore che nessun’altro riusciva anche solo sentire sospirare, il dolore di perdere una persona amata, il dolore della morte e il peso e dolcezza della rinascita. Per me l’arte si compie nel momento in cui parla, nel momento in cui diventa di chi ne ha più bisogno, in cui si fa dialogo e ascolto, cogliendo quello che spesso la gente non riesce a toccare: esiste il dolore delle grida mute delle anime e della sordità di chi le circonda.
Su Instagram ti troviamo come @ar.galli. Che rapporto hai con i social? Che cosa ne pensi? Quale immagine vuoi veicolare?
Credo che i social media siano spesso il grande fenomeno di non-comunicazione del nostro tempo: un incessante, rapido flusso di contenuti che, anziché favorire un dialogo autentico, tende a soffocarlo. Heidegger ci ricorda che la comunicazione autentica è innanzitutto un ascolto profondo, un lento cammino verso l’altro, un aprirsi per lasciar emergere il suo essere. Nei social, invece, prevale il “si dice”, quella modalità di relazione inautentica che si conforma alle opinioni di massa e riduce il dialogo a chiacchiera vuota (Gerede). Qui, il silenzio – condizione necessaria per ascoltare – è frainteso come assenza, mentre l’urgenza di visibilità alimenta un vuoto di superficialità. I social rischiano così di amplificare la distanza tra le persone, invece di colmarla, tradendo il senso più profondo del comunicare: l’essere-con l’altro. Eppure, non credo che i social siano condannati a rimanere soltanto un luogo di non-comunicazione. C’è spazio, credo, per raccontare le profondità dell’anima, per tentare di creare un dialogo che vada oltre la superficie. Per me, questo spazio si traduce in un progetto artistico che cerca di sfruttare il linguaggio visivo del mezzo – l’immagine – come veicolo di contenuti autentici. Attraverso Instagram, voglio dare spazio a dialogo tra poesia, fotografia, pittura, scultura. Vorrei che ogni post non fosse solo un contenuto, ma un invito all’ascolto e alla riflessione, per dimostrare che anche nei social può esistere una comunicazione che tocca le corde più profonde dell’essere.
E il futuro? Progetti che bollono in pentola?
Ho in cantiere da due anni un nuovo libro di poesia ambientato nel mio subconscio, una raccolta di sogni… Inoltre sto progettando anche un romanzo, ma non voglio fare spoiler…
Manuele Pereira