Come secondo omaggio e affettuoso ricordo di Giovanni Testori, dopo il reading de La Monaca di Monza, il Teatro Fontana ha ripreso (purtroppo per poche serate) Cleopatràs, monologo che fa toccare con disperata passione la travolgente forza dell’amore. Uno spettacolo diretto da Gigi Dall’Aglio, nato una decina d’anni fa, è un’immersione teatrale potente in un rito, che fa della parola, il mezzo di penetrazione nell’animo dello spettatore, ben di là della sua comprensione. Cleopatràs, assieme a Erodiàs e Mater Strangosciàs, è parte de I Tre Lai, ultima testimonianza del drammaturgo di Novate Milanese, che si congeda con questo trittico, apice e summa della creatività del suo linguaggio. In Cleopatràs che piange Antonio, “il suo Tugnàs” non è difficile scorgere lo stesso Testori che dolorosamente racconta, mettendo in luce con struggenti turbamenti la sua anima, il mistero della vita e dell’amore. Come suo solito, trasporta la vicenda narrata collocandola da un Egitto classico ormai sbiadito, in un più concreto e identificabile paesaggio lombardo-brianzolo, a lui ben conosciuto e particolarmente caro. Di Cleopatra, dopo aver mostrato la conosciuta e insaziabile brama erotica, mostra i carismatici tratti della dominatrice e diva, non trascurando indubbie capacità imprenditoriali di vera e poliedrica donna contemporanea. Giovanni Testori riveste il suo dire di fantasmagoriche creazioni linguistiche che, oltre a tendere spasmodicamente a far poesia, non mai sono disgiunte da una sottile quanto disincantata vena ironica. Torna anche qui, insistito rimando sempre presente nei lavori di Testori, di una vita non richiesta e ribadito nel violento finale: quasi grido imprecante al Creatore. Nell’introduzione, una voce fuori campo, avverte e prepara all’interazione che lo spettatore è chiamato a esercitare con il testo e la protagonista nella fabulazione testoriana. Arianna Scommegna inizia con gorgoglii e voce anitrosa a personificar la “gaina”, estremamente partecipe di una lingua immaginifica, nella metaforica costruzione della testa del “Tugnas” glorioso trofeo di trionfi sessuali antichi, immergendoci in una toponomastica della Brianza esemplificata, sul suo stesso corpo, con colorate vernici. L’attrice sposa fin nei più minuti recessi la parte plebea e fisica del personaggio, in una resa molto umana e terragna d’infinita concretezza lombarda, dominante, energica e determinata. Per niente aulica rispetto al verso testoriano, rende tutti i colori e sapori e odori del verso, facendosi drammatica e vibrante in un fantasmagorico trascolorar di sentimenti dal patetico al tronfio, giungendo a impietosir se stessa, con punte di strazio non contenuto; emotiva, a tratti aggressiva, divien travolgente nel riferimento dei sessi e sensuale resta sempre, in sottofondo mal trattenuto, sfumando in un parlar velocissimo e vorticoso. Il bagno nel Segrino è il trionfo della libertà sessuale, raggiunto con palpabile fisicità e gioia esplicata in toni squittenti e acutissimi. Che dire poi dei trapassi di tono, che vede l’attrice milanese inerpicarsi o scendere per l’intera gamma sfruttabile. Stretto e quasi simbiotico il rapporto con la musica del violoncello di Chiara Torselli, che fa prender corpo al “garzonetto” portator del canestro mortale: musica che è tessuto intrinseco ai fini del raccontare, esplicitato in sonorità spesso drammatiche, con accenni all’opera lirica (Madama Butterfly e Turandot): e la Scommegna canta, con bella voce modulata e calda. Descrittivismo si fa poi presente e pieno, nel suscitare un paesaggio familiare brianzolo e di chi lo popola, frattanto che la voce dell’attrice inizia a screziarsi di rimpianto prima di giungere al “niento” tanto caro al Maestro di Novate. E il veneno agisce, con l’ironia di una canzone, lasciandola libera di inveire a Dio e chi ha deciso una nascita non richiesta, versata nella tragedia del vivere una vita di lutti e guai. Si percepisce Leopardi in controluce e la teatralità della scrittura di Testori culmina con l’imprecazione a Dio. Regia intelligente di Gigi Dall’Aglio che coniuga allusività e concretezza, in una scenografia a trespoli di Maria Spazzi che si arricchisce di una superba interlocutrice musicale. Preziose luci di Pietro Paroletti e fantasioso costume “finale” della protagonista. Serata salutata da una folata di entusiastica accoglienza per Arianna Scommegna, richiamata in scena da ripetuti applausi. Toccante – perché lei stessa commossa – il saluto e i ringraziamenti finali per ogni spettatore che ha scelto di venire a teatro, uno degli ultimi luoghi “vivi” che siano rimasti. Al Teatro Fontana di Milano.
gF. Previtali Rosti