Dei dee, giganti e nani, tutti in lotta per impadronirsi del bramato Ring, l’Anello del Nibelungo. Dopo Das Rheingold, il prologo visto nella precedente stagione, è la volta di Die Walküre (La Walkiria), la prima delle “giornate” della Tetralogia wagneriana che vedremo nella sua interezza nel 2026, nel 150° anniversario della prima esecuzione completa a Bayreuth nel 1876. Titolo wagneriano scelto ben quattro volte quale opera inaugurale: nel lontano 1893 diretto da Edoardo Mascheroni mentre nel 1901 da Arturo Toscanini, quando ancora le stagioni operistiche iniziavano la sera di Santo Stefano. In tempi più vicini a noi, Die Walküre inaugurò le serate di Sant Ambrogio della stagione 1994-95, con Riccardo Muti a dirigere Placido Domingo Siegmund e Waltraud Meier Sieglinde, per finire nel 2010-11 con Daniel Baremboim sul podio. Sul frontespizio della partitura della Tetralogia, Richard Wagner pone il monumentale lavoro sotto gli auspici del Re Ludwig di Baviera, cui è dedicato. L’Anello del Nibelungo porta come sottotitolo: «Ein drei Tage für Bühnenfestspiel und einen Vorabend». Ossia rappresentazione scenica in tre giornate e un prologo. L’azione si situa in tempi mitici: attraverso la musica e i versi, Wagner riesce a creare un’atmosfera di un’irreale e remota età mitologica. Il compositore tedesco, sperimentando fino all’estremo gli sviluppi tematici nella scrittura musicale, scavalca il concetto di “opera” come sino a quel tempo si era intesa, per arrivare nella Tetralogia al dramma in musica. Un compito titanico che vedrà la prima esecuzione completa solo nell’agosto del 1876, nel mitico spazio di Bayreuth. Dopo Rheingold, popolato da figure soprannaturali, in Die Walküre fanno la comparsa gli esseri umani, che intrecciano le loro vicende con il mondo degli dei: dalla ribelle walkiria Brünnhilde, e quelle più drammaticamente umane degli eroi Siegmund e Sieglinde. Alla Direttrice Simone Young di comprovata fede wagneriana, è affidato (in alternanza al Maestro Alexander Soddy) il compito di dirigere questa nuova Tetralogia alla guida dell’Orchestra della Scala. Klaus Florian Vogt dà una convincente rappresentazione di Siegmund: solida voce ancorché leggera che corre efficacemente per la sala, sostiene bene il canto smorzato e le mezze voci. In Der Feinde Meute il raccontare si fa concitato e in Wolfe der war mein Vater è striato da una profonda vena di dolore e malinconia per il subìto passato, per divenir caldo e appassionato al narrar del turbamento provato all’incontro con Sieglinde. Cessa la baldanza e la selvaggia irruenza alla vista di Brünnhilde, rassegnato al volere del fato, ma non senza aver eroicamente lottato per difendere il suo amore. Elza van den Heever era Sieglinde dalla smagliante voce che sale compatta in acuto (trascurando qualche asperità) e trascinante interprete: in men che non si dica fa innamorare il fratello, fiera e dignitosa nella prolungata sofferenza, tiene sicura la scena. In Ein trauriges Kind il racconto è intriso di potente mestizia e rassegnazione, in Du bist der Lenz si è travolti dalla sensualità, ebbrezza dolcissima che si stempera in un finale primo al calor bianco. L’intensità del trasporto amoroso per Sigmund suggella lo scavo psicologico della cantante, giungendo all’acme di coinvolgimento nell’ultimo atto quando, straziante, urla il dolore di essere ancor viva. Günther Groissböck è Hunding di voce robusta, ma grezza, e vuota in alcune sue parti. Pur serve il personaggio. Camilla Nylund fa il suo ingresso con l’impervio Hojotoho che mette alla prova il registro acuto – ondeggiante e stridulo – non certo sfolgorante, e insicura negli acuti, stimbrati. Ma si riscatta subito, facendosi in seguito appassionata quanto eroica, impavida nel contendere con l’autorità di Wotan. Non fresca vocalmente ma matura interprete, ha fatto valere la sua intelligenza interpretativa, efficacissima quando può cantar piano, diviene intensa nell’uso di un canto a fior di labbro, capace di esprimere efficacemente i sentimenti più reconditi. Michael Volle è un ottimo Wotan vocalmente, ma ancor più interpretativamente: sempre pregnante, dando un saggio di psicologia degli dei. Afflitto nell’incontro con Fricka, bravissimo nel variegato uso di colori nel duetto dai toni raccolti ed intimi con Brünnhilde; nel successivo racconto mostra l’animo tormentato che desidera la fine (e rotola il globo terrestre…) per esplodere in incandescenti accenti d’ira alle resistenze della figlia al suo dettato. Possente nella maledizione nel III atto, passa da lucidi e impietosi comandi ad accenti di mal trattenuta compassione nello struggente paterno addio finale: gli dei apprendono la miseria sublime. Okka von der Damerau di voce ben sostenuta, è stata una Fricka generosa nel canto quanto efficace a delineare il personaggio, proseguendo la buona prestazione fornita nel recente Rheingold. Efficace l’innumere schiera delle Walkyrie. La vera trionfatrice della serata, festeggiata con prolungato ed entusiastico calore è stata Simone Young, che cesella una direzione energica, sciabordante tensione ma attenta e ricca di sottigliezze, accolta trionfalmente al ritono in buca all’inizio del III atto e ancor più acclamata a fine serata accanto agli artisti di canto. Orchestra della Scala in gran spolvero, travolgente nella “cavalcata delle walkyrie”. Il regista scozzese David Mcvicar, presenza costante alla Royal Opera House, Metropolitan Opera e di casa sui maggiori palcoscenici europei e americani, prosegue nel cammino di questa Tetralogia, nuova produzione del Teatro alla Scala. Regia puntuale ed efficace al narrare della vicenda, capace di trascinare lo spettatore nel dramma. La ieraticità dell’avanzar di Brünnhilde comparendo a Siegmund e il finale della “dormizione” (senza necessità di finte fiamme…) sono i momenti più riusciti. Scene di David Mcvicar & Hannah Postlethwaite accolgono lo spettatore con un grande “occhio del cieco” (Wotan) che brucia, per aprirsi su scena di albero spoglio e abitazioni primordiali, con grata-prigione che si alza alla fine dell’esultanza del duetto tra Siegmund e Sieglinde. Monoliti e un globo dominano il secondo atto e risibili stilizzati cavalli a molle, irrompono in scena. Costumi barbari di una fantasiosa barbarie di Emma Kingsbury, luci perfettamente suadenti di David Finn, coreografia ininfluente di Gareth Mole e video e proiezioni inani di Katy Tucker. Accoglienza entusiastica per tutta la compagnia di canto e ancor più per Simone Young. Al Teatro alla Scala, recite fino al 23 febbraio.
gF. Previtali Rosti