BERLINO, 18 FEBBRAIO – Buona giornata la sesta del 75° Festival Internazionale del Cinema con tre film degni di premi, provenienti da tutti gli angoli del globo e con tematiche e stili molto diversi. Si va dal ritratto intimo di una famiglia che percorre una provincia argentina, guadagnandosi da vivere con il presunto talento di una bambina di comunicare con gli animali per farsi raccontare le loro lamentele e dolori (Il messaggio di Iván Fund in coproduzione minoritaria con la Spagna), alla ricostruzione di uno degli ultimi giorni di vita del famoso paroliere Lorenz Hart, autore di molte delle canzoni più emblematiche del periodo tra le due guerre mondiali (Blue Moon di Richard Linklater) e la crisi di una madre che non riconosce come suo il proprio neonato (l’austriaco Mother’s Baby di Johanna Moder). Iván Fund è un giovane regista argentino di 40 anni con una carriera che comprende quindici film, tra lungometraggi e cortometraggi, che ha sviluppato dai 22 anni e che lo ha portato ai festival più importanti come Cannes, Venezia, Mar del Plata e San Sebastián. Proprio questo festival e il suo Work in Progress, che sponsorizza il lavoro di giovani registi, hanno permesso, insieme alla Berlinale, che questo progetto tanto caro vedesse la luce e che la Spagna, sebbene in posizione minoritaria, figurasse nel concorso ufficiale. Il risultato è un film emozionante, con personaggi indimenticabili che, anche se si guadagnano da vivere in modo poco lecito, sfruttando l’ingenuità e la credulità dei contadini, conquistano lo spettatore grazie a interpretazioni sentite di Mara Bestelli, Marcelo Subiotto e soprattutto della bambina Anika Bootz, al suo secondo lungometraggio, ma già un’attrice fatta e finita con un luminoso futuro. Girato in uno splendido bianco e nero, merito del solito collaboratore di Fund, Gustavo Schiaffino, il film affascina per la sua narrazione ambigua e misteriosa dove il non detto predomina su quanto espresso direttamente. Linklater è un prolifico produttore e regista americano di 65 anni, cinque volte candidato agli Oscar, che basandosi sulle lettere che si scambiarono Lorenz Hart e l’attrice Elizabeth Weiland, rievoca uno degli ultimi giorni di vita del paroliere, proprio il giorno della prima della fortunata commedia musicale Oklahoma! di Richard Rodgers, nella quale per la prima volta non aveva collaborato né al libretto né ai testi delle canzoni, sostituito da Oscar Hammerstein II. È anche il giorno in cui Hart si rende conto del suo precario stato di salute e scopre che la sua amata Elizabeth lo apprezza solo come amico. Ethan Hawke, un po’ troppo teatrale, si pone comunque come principale candidato all’Orso d’argento per il miglior attore, sfruttando una sceneggiatura originale del romanziere Robert Kaplow, piena di battute brillanti e divertenti, mettendo in ombra i suoi compagni di cast, Andrew Scott e Margaret Qualley, rispettivamente nei ruoli di Hammerstein e dell’amata Elizabeth. Johanna Moder ha una carriera di quasi vent’anni, iniziata dal basso dell’industria come script girl, culminando con questo suo decimo titolo tra cinema e televisione, Mother’s Baby, che è la sua opera più compiuta, grazie a una precisa sceneggiatura scritta da Moder e Arne Kohlweyer e soprattutto all’interpretazione di Marie Leuenberger, capace di trasmettere allo spettatore la lenta degradazione mentale e fisica della protagonista. Julie è una direttrice d’orchestra di successo che decide di ricorrere alla maternità assistita ma, dopo i dolori del parto e i problemi successivi, incluso quello di vedere in pericolo la sua promettente carriera, inizia a non credere che il suo bambino sia suo figlio e entra in una paranoia che sfocerà nella follia vera e propria. Mother’s Baby è un dramma di vita reale raccontato in un linguaggio quasi crudele con una Leuenberger che ha quasi in mano l’Orso d’argento come miglior attrice.
Antonio M. Castaldo