Dopo la prima nazionale dello scorso ottobre al Festival delle Colline Torinesi, arriva al Teatro Mina Mezzadri di Brescia il fascinoso Cenci, spettacolo di Piccola Compagnia della Magnolia, in coproduzione con Teatro Nazionale di Torino, CTB Centro Teatrale Bresciano, Sardegna Teatro, Scarti-Centro di Produzione, con il sostegno di Teatro Akropolis, in collaborazione con I.I.C. Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia e Fundacja Teatr Wschodni/Lublino / Boarding Pass Plus Project. Scrittura drammaturgica di Giorgia Cerruti rileggendo la tragica storia da suggestioni tratte da Shelley, Artaud, Stendhal, Dumas, Camus, Mary Shelley, Neige Sinno, Virginie Despentes e dagli atti del processo contro Beatrice Cenci. Regia della stessa Cerruti, che si riserva in scena la parte della matregna Lucrezia. Un testo che sottolinea sapientemente accanto alla dimensione drammatica e poetica di Shelley, alla violenza di Artaud, uno sferzante discorso politico che non lascia indifferente lo spettatore. Storia che si fa simbolo di vulnerabilità di fronte alla violenza, svelando l’audacia di una giovane donna che osa, anche solo pensare (rimproverata dalla madre-matrigna) di mettersi in aperta sfida del potere imperante. Di ogni potere…Ma toccante e altrettanto d’impatto le parole che vanno a scuotere i sentimenti e gli affetti, con un linguaggio universale e senza tempo. Non a caso Shelley come prefazione ai Cenci scrive: “Una storia siffatta, se narrata in modo tale da presentare al lettore tutti i sentimenti di coloro che l’hanno un tempo vissuta, le speranze e paure, le certezze e dubbi, le passioni e le convinzioni, vive all’interno e sopra di ciascuno di essi, eppure convergenti tutti verso un terribile epilogo, sarebbe come una luce che illumina alcuni degli abissi più oscuri e impenetrabili del cuore umano (…). Il più alto fine morale a cui si possa aspirare nel più elevato genere drammatico, è insegnare al cuore umano la conoscenza di sé stesso”. La suadente voce di Beatrice (Francesca Ziggiotti) ci introduce in antefatto turistico della Roma del tempo, prima che in scena si scateni la fascinazione teatrale d’incombenti maschere (Lucio Diana) e reboanti microfoni ci immergano in palpabile esercizio della crudeltà; inizialmente a presaghe parole, per cedere presto il posto a una violenza che si fa fisica sopraffazione. E spoliazione di costumi (Serena Trevisu Marcesddu) a vista, in un prosieguo d’intrigante commistione di stili e generi, a mostrare la convenzione del teatro a contatto con altre arti, sensazioni d’immagini che rimandano al cinema e citazioni di pittura che, se inizialmente turbano e disorientano, danno un senso compiuto all’idea registica. Fondamentali infine le rispondenze acustiche delle audaci, quanto travolgenti, partiture sonore (Guglielmo Diana). Francesco Pennacchia nelle vesti del conte Francesco Cenci, è una tragica bestia inferocita, dall’inquietante espressione dipinta sempre sul volto: perfetta incarnazione di anima tormentata da serpeggiante violenza, in vano tentativo di opporsi alla morte. Potente evocazione di una coscienza che non crede più in niente, “pecora” del male che non conosce rimorso, lordato da crimini perché indurito da una perenne noia. Francesca Ziggiotti offre di Beatrice Cenci un’interpretazione scavata, costellata da “riflessioni ad alta voce”, in rappresentazione scossa e lacerata del personaggio, spesso divisa in se stessa. Efficace Davide Giglio nel doppio ruolo di stralunato “fool” Tonino e subdolo Sacerdos, mentre Giorgia Cerruti passiva e rassegnata “matregna” Lucrezia, in acceso costume rosso, s’identifica agevolmente nella matrona romana del tardo cinquecento. Scuote per impressionante carica, la finale recitazione degli atti processuali di Beatrice e degli altri testimoni, martellate dal “coro” dei tre attori schierati in proscenio: sentenze e immagini potentemente sbalzate dalla musica creata dal vivo da Giorgia Cerruti. Calorosi festeggiamenti per gli attori della Compagnia. Al Teatro Mina Mezzadri di Brescia fino al 23 febbraio.
gF. Previtali Rosti