Divertente Trionfo dell’onore

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Mai si renderà sufficientemente merito al Teatro della Fenice nel continuare a proporre e valorizzare – da decenni – opere del nostro repertorio barocco che attendono di essere riscoperte o riportate in circolazione. In questa stagione operistica, il teatro veneziano, cogliendo opportunamente l’occasione del tricentenario della morte d’Alessandro Scarlatti, gli rende doveroso omaggio allestendo Il trionfo dell’onore, ovvero il dissoluto pentito – unica commedia per musica tra le trenta composizioni operistiche scarlattiane. Il trionfo dell’onore messa in scena per la prima volta a Napoli, al Teatro dei Fiorentini, il 26 novembre 1718, rappresentò per il compositore palermitano una vera e propria sfida. Votato a una produzione musicale “alta” di opere serie, cantate e musica sacra, si accinge a scendere in campo cimentarsi su un terreno considerato sino allora di rango inferiore, ossia quell’opera buffa, con le parti in vernacolo che limitavano il raggio d’azione e la stessa diffusione delle composizioni, relegandole a ben delimitati territori. Scarlatti sceglie invece, con il librettista Francesco Antonio Tullio, di musicare un testo in italiano (lingua toscana, come si diceva un tempo) di ricercata mescolanza di espressioni di originale ricercatezza e caricata ironia. Il risultato è di una novità che non lascia indifferente il preparato e smaliziato pubblico napoletano, e alla prova musicale scarlattina arrise un grande favore di pubblico il cui gusto era in rapida evoluzione, mostrandosi sempre più interessato a questo tipo di repertorio. Il trionfo dell’onore aggiunge arricchimento all’Opera buffa inaugurando, di fatto, un nuovo modello basato su una struttura drammaturgica e musicale di più credibile coerenza, che si fa più marcata nei pezzi d’insieme. Il genio compositivo e musicale riversato da Scarlatti in quest’unica sua composizione comica, sarà un brillante esempio che servirà da modello per i compositori della florida scuola napoletana che calcheranno le sue orme, da Pergolesi in poi. L’argomento de Il trionfo dell’onore occhieggia, nel personaggio del fascinoso rubacuori e amorale sui generis di Riccardo Albenori un seguace di Don Giovanni: dissoluto che, valendo la ferrea regola del lieto fine, non può che ravvedersi nel finale, per non può contraddire lo spirito della commedia in musica. Nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice che mette in scena l’opera nella revisione del manoscritto originale a cura di Aaron Carpenè.
Sul podio il direttore Enrico Onofri, alla guida di una convincente Orchestra del Teatro La Fenice, anima pulsante della rappresentazione che con un brio sfavillante e una vitalità impressa alla partitura, genera una continua tensione tra buca e palcoscenico. Accanto alla frizzante comicità dispiegata in tempi trascinanti e varietà di colori, sa creare oasi sospese e rapinosi momenti di malinconia, quale il quartetto – splendido per inventiva e tensione – che conclude l’atto secondo. Giulia Bolcato era la migliore in campo, dall’aria iniziale Or sentirete in cui mostra voce ben proiettata, acuti squillanti, fluida nella coloratura e capace di parvenza di trillo e in E ben far come l’ape per la cura dell’interpretazione. Il culmine lo raggiunge nel finale con Ricevi il mio cuore a mostrare un sincero pentimento del suo operato. Leonora Dorini è impersonata da Rosa Bove che si presenta con Or che un amor si bello in cui dispiega voce di timbro vagamente opaco, di non grande estensione, lontana da un colore contraltile richiesto dal personaggio. Si disimpegna sempre onestamente negli altri momenti, riuscendo meglio là, dove è chiamata a cantare arie dal tono più mesto e dai tempi più lenti, come in Sospirando, penosa dolente. Erminio Dorini era il controtenore Raffaele Pe la cui organizzazione vocale non attraversa un gran momento; inizialmente fa fatica a farsi strada e anche in seguito, nelle arie, è costretto a forzare come in Veggio armata la sorte a’ miei danni e ancor più marcatamente lo fa nel prosieguo della rappresentazione, nei momenti in cui gli si richiede un surplus di furore. Francesca Lombardi Mazzulli è stata una spigliatissima Doralice Rossetti divertendosi in scena con un fascinoso e conturbante personale. Brillante vocalmente, prevale facilmente nel duetto con Leonora. Dave Monaco sapido attore, era un credibile Flaminio Castravacca, non particolarmente impegnato vocalmente, si apprezza in Con quegli occhi ladroncelli e nei momenti di spasmodica corte a Rosina. Scarlatti, come da seicentesca tradizione, affida la parte della vecchia caricaturata Cornelia Buffacci (e pure innamorata) a un tenore acuto, qui Luca Cervoni, che dispiega la sua vis comica a partire da Facciam presto, amor mio bello, anche se non si mostra gran vocalista. Rosina Caruccia era Giuseppina Bridelli molto impegnata in scena, capace di essere sensata e pratica, ma anche sensuale e spiritosa, spiritatella e ironica in Avete nel volto. Tommaso Barea era un Capitano Rodimarte Bombarda di gran volume di voce ma non rifinita, che pur serve un personaggio sbruffone e gradasso. La regia era affidata a Stefano Vizioli ricca di semplici e ingenue quanto efficaci gag, coloratissime scene e fantasiosi costumi di Ugo Nespolo costumista realizzatore Carlos Tieppo, light designer Nevio Cavina. Calorosa accoglienza del pubblico che affollava il Teatro Malibran a Venezia.

gF. Previtali Rosti

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