Intervista a Javier Girotto

Data:

 

In occasione del trentennale della formazione degli Aires Tango, composta da Javier Girotto al sax soprano, Marco Siniscalco al basso elettrico, Alessandro Gwis al pianoforte e Francesco de Rubeis alla batteria e alle percussioni, abbiamo intervistato l’ideatore e fondatore del gruppo Javier Girotto.

Nella tua musica, nelle tue note, c’è un messaggio da portare con ogni brano oppure c’è tanto studio, tanta passione, tanta energia, o solo musica?

Tutte e due le cose. A volte uno lo fa per lo studio, lo sviluppo che riesce a mettere insieme dopo lo studio ed a volte succede così con qualche pezzo, a volte con qualche pezzo c’è veramente qualche cosa di più profondo, qualche cosa che fa scattare qualche messaggio. Lo è il caso di uno dei brani che suoniamo che si chiama ‘2 de Abril’, cioè, ‘Due di Aprile’ che è un omaggio agli amici nel periodo della guerra nostra, nel 1982, delle Falkland o guerra delle Malvine. Era il tempo del servizio militare, mentre ero in preparazione per partire, amici che mi avevano preceduto non sono più tornati Quindi a volte in quella data inevitabilmente mi torna il pensiero di allora, così ho fatto questo omaggio.

Invece ‘Milonga Tristorta’ è un po’ scherzoso ed un po’ triste, diciamo un po’ storto musicalmente parlando. Poi c’è il brano ‘Ferragosto a Celimontana’ che nasce prima musicalmente e dopo con il titolo, dedicato all’appuntamento a Villa Celimontana a Roma, dove abbiamo suonato ogni Ferragosto per 25 anni; quindi, un appuntamento storico con il pubblico romano che non va in vacanza, dove si crea un’atmosfera di festa, una cosa molto particolare e bella. Ogni 15 agosto abbiamo avuto la possibilità di suonare in Celimontana che adesso non c’è più, ma lo spettacolo si fa al Parco Celio sempre a Roma.

Poi con ‘Palma di Enero ‘ è anche lì un omaggio a un altro evento storico. Roma ha avuto un club di jazz molto bello, molto importante che si chiamava La Palma, ed il brano è dedicato a questa club, mentre con ‘Children’s War’ nasce insieme al titolo, perché ormai siamo abituati a vedere nei telegiornali delle immagini troppo crudeli, che ormai siamo abituati a vederle come se fosse una cosa normale. Lo diamo per scontato il dolore, quindi vedere e immagini di guerra dove il prezzo più alto lo pagano sempre i bambini, abituarsi a queste immagini, non ci si dovrebbe abituare, ogni volta che le vedi dovrebbe essere una cosa tragica che ti fa pensare o almeno ti fa arrabbiare. Purtroppo, la gente non si arrabbia più di queste immagini. Quindi immaginarsi la ‘Children’s War’ la guerra dei bambini, come un gioco che fanno i bambini, quello sarebbe ideale, non vedere i bambini che pagano il prezzo per le sue più grandi immagini degli adulti. Sono tutte cose, filosofie mie, ma noi purtroppo musicisti più di tanto non possiamo fare oltre che mettere un titolo e sensibilizzare qualcuno, ma ormai siamo sempre in mano ai politici che decidono tutto per noi. Diciamo che l’arma nostra è quando andiamo a votare, ma nessuno vota più con coscienza.

Ti sei definito sperimentatore delle tradizioni popolare, quindi l’armonia della terra, della tua terra, del folklore, riesci sempre a mettere tutto nella tua musica, oppure c’è ancora qualcosa che vorresti includere?

Ma guarda, diciamo che, come argentino, ho vissuto tutta la tradizione argentina, fino anche alla nausea per dire, quindi sono andato alla ricerca, sono partito all’estero prima negli Stati Uniti, per cercare altre cose, mi sono fatto coinvolgere tanto dal mondo del jazz, del jazz come il mondo nordamericano e la tradizione jazzistica, però diciamo che quella è stata più che altro una cosa più da studio. Io suonavo quella cosa, ma poi con il venire in Italia mi rendevo conto che suonavo senza emotività, la suonavo in modo cerebrale, quindi tanta tecnica, tanto virtuosismo e poca emotività, fino a che ho cominciato a suonare qualche cosa di musica che mi appartiene alla mia tradizione, dal tango, dal folklore. Da lì ho cominciato a provare emozioni, quindi da lì ho cominciato ad abbinare tutto quello che avevo studiato del jazz fino all’aspetto più tradizionale mio e sono arrivato al punto che suonando così questi tipi di musica, questi tipi di stili, che ho cominciato a scrivere ciò che mi emoziona; quindi, credo che se mi emoziono io penso che arriverà un po’ di emozione anche a chi ascolta. Certo non è così per tutti, non voglio peccare le presunzioni, però fondamentalmente credo che l’artista debba essere più coinvolto emotivamente per poter trasmettere qualche cosa, altrimenti trasmetti solo informazioni tecniche musicali.

La vostra è una ricerca di sonorità, oppure il risultato di una elaborazione?

La prima cosa che ho cominciato a fare era scrivere musica, con la rielaborazione degli stili sul tango abbinati al jazz, con qualche improvvisazione. Quando ho formato gli Aires Tango non ho voluto chiamare musicisti argentini, neanche bandoneon che è lo strumento che caratterizza questo tipo di musica. Il fatto di non coinvolgere argentini è stato voluto perché altrimenti saremmo caduti nei codici precisi che già sono automatici fra noi argentini.

Coinvolgere solo italiani è stato perché potevo, attraverso loro, trovare nuove strade, è stata una fase di sperimentazione, poi il risultato mi ha convinto e mi è piaciuto.

Oggi qual è lo spirito di questa formazione, dove le vostre vite si sono arricchite di esperienze solistiche, nel completare il giro di boa dei trent’anni?

Guarda, ognuno singolarmente, in questi trent’anni è diventato un solista importante, ognuno ha i suoi progetti personali; quindi, si fa sempre più fatica ad incontrarsi. Questo ultimo lavoro discografico è stato un bel lavoro, perché nel periodo di pandemia ho cominciato a scrivere questo repertorio, cercando di andare avanti nella ricerca, di farlo evolvere un po’ di più come gruppo. Infatti, quando abbiamo iniziato a vedere la musica che avevo scritto, bisognava provare, come facevamo all’inizio. Il problema è che Michele Rabbia, il batterista originale della formazione, si è trasferito a Parigi rendendo impossibile le prove, a questo punto si è reso necessario cambiare batterista originale, con l’ingresso di un batterista giovane che si chiama Francesco De Rubens e con lui siamo riusciti a consolidare l’appuntamento settimanale per provare. Il risultato è venuto fuori con questa musica nuova scritta.

Quali sono i progetti futuri sia come Aires Tango sia come Javier Girotto on stage?

Con AiresTango è andare avanti, perché ancora non abbiamo suonato quanto avremmo dovuto, perché c’è sempre più difficoltà per presentarlo in giro. La buona notizia è che finalmente dopo 30 anni riuscirò a portare questo gruppo in Argentina a novembre, ai festival locali, grazie all’Istituto di Cultura Italiana. Per quanto riguarda Aires Tango è sempre un work in progress, insomma, se si va avanti si fa sempre più fatica un po’ perché siamo diventati tutti molto più grandi e abbiamo tantissimi impegni. Per quanto mi riguarda personalmente continuo sempre a ricercare a sperimentare, ultimamente coinvolgo anche molti giovani perché prendo un po’ energie da loro, traendo nuove esperienze come avviene nel mondo del jazz, perché sono sempre aperto a nuove esperienze. Quando fai tantissime cose in collaborazione, a volte sono molto belle, altre un pochino meno, ma questi sono i rischi delle collaborazioni. Solo cercando nuove strade, credo che sia importante per un musicista avere sempre questa curiosità per andare avanti, perché quando non c’è più questa curiosità è un po’ come andare in pensione ed un musicista non deve mai andare in pensione, almeno per quanto riguarda me.

Laura Scoteroni

Seguici

11,409FansMi Piace

Condividi post:

spot_imgspot_img

I più letti

Potrebbero piacerti
Correlati