Accabadora: pietas di fine vita

Data:

 

Da uno dei libri più letti in Italia negli ultimi anni, la drammaturga Carlotta Corradi ha tratto un testo che è diventata una pièce teatrale: Accabadora, tratto da un romanzo di Michela Murgia, vincitore del Premio Campiello 2010. La vicenda si svolge in un luogo immaginario della Sardegna, in cui la protagonista Maria, figlia “eccedente” e non voluta, è affidata a Bonaria Urrai che vive sola. Sarta per vivere, non fa mistero di essere anche quella che compie pietosamente “l’aiuto finale”, liberando da un’esistenza che dolorosamente si protrae, persone cui la natura non concede una morte dignitosa e in tempi sopportabili dalla fragile natura umana. Accabadora. Vocabolo sardo che trae origine da acabar, ossia terminare, in lingua spagnola. La protagonista, segnata dalla completa mancanza di affetto e attenzioni della madre naturale, prova riconoscenza e gratitudine per chi le ha fatto conoscere un calore famigliare altrimenti mai provato. La scoperta però di quello che tutti in paese sanno, la sconvolge e abbandona la casa in cui dall’infanzia ha vissuto per iniziare una nuova vita. Ma il passato non si dimentica e deve farne i conti: torna, quando la Tzia Bonaria è stata colpita da ictus ed è giunta al passo estremo, passo che vorrebbe fosse compiuto proprio dalla figlia adottiva. Qui nascono le lacerazioni interiori per la giovane donna, tra ciò che si deve e non si deve fare. Farle o vederle le cose, è lo stesso. Un cammino di conoscenza di sé sempre più profondo scandaglio, nel chiedersi perché abbia portato la persona che più ammirava a compiere quel gesto estremo, in apparenza così contro natura. La drammaturgia di Carlotta Corradi, seguendo l’intenzione di Veronica Cruciani, regista dello spettacolo, è impostata in forma di monologo serrato fra le due donne, Maria e Bonaria, anche se questa non può più rispondere. In realtà lo scontro è tra le due diverse anime di Maria, che vengono a confrontarsi al letto di morte della Tzia. Da una parte quella della gratitudine e amore cresciuto nel tempo, per aver dato fondamento e scopo alla vita di una bambina trascurata e non amata, sentimento dettato da libera scelta. Dall’altra quella della cocente delusione per la fiducia tradita, momento per le accuse non fatte, e il conseguente distacco per un doveroso cambiamento personale. Sul palcoscenico l’intensa Anna Della Rosa, appare in scena leggera e adolescenziale, iconica, fissa lo spettatore in un lungo intervallo di pregnante silenzio, recitando con il corpo. La particolare accentazione delle parole, in quell’inflessione sarda imprime forte caratterizzazione e senso di appartenenza a un mondo di ricordi e affetti. Grata nelle gioiose reminiscenze del vissuto con la tzia: È finito il tempo della sterilità e commovente in quell’urlo lanciato dal profondo: figlia mia! Ma la rabbia subito le esplode, prepotente il risentimento della tradita fede e stima riposta. Intensità di sguardo e postura, in una recitazione a tutto tondo, si fa imponente nell’affrontare temi e domande troppo a lungo taciute, in uno sdoppiarsi nelle figure di Maria ma impercettibilmente dar corpo alla Tzia, camaleonticamente mutando d’abito. In nero, colore del lutto: il nero copre il dolore perché questo è nudo…A catarsi finale si erge la figura della Tzia, il cui raccontare la Della Rosa rende in dolente pregnanza di ragioni, facendone una stagliante figura di sacerdotessa del dolore, zelante delle ragioni del cuore. Si compie allora per Maria la maturazione, la compenetrazione e finale comprensione dell’operato della madre adottiva, ora che lei stessa riesce a operarlo nella sua coscienza. La regia di Veronica Cruciani ingloba la protagonista e rinserra in una scena minimalista che poggia su luminoso sopralzo, base per vivere la prova di superamento richiesta. Complementari i video, soprattutto della figura femminile, apparizione silente che magicamente scompare. Esaltazione di suoni come lo sciacquio dell’acqua in cui si lava, lo scandito e martellante spostamento di arredo, la vestizione sempre più rituale, al ritmo di musiche che si fanno assillanti e sferzanti. Trascinante prova d’artista, quella di Anna Della Rosa, sempre più matura nell’affrontare ruoli che richiedono intensa partecipazione e scandaglio di fraseggio. Una Produzione Savà Produzioni Creative, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. Al Teatro Menotti di Milano.

gF. Previtali Rosti

Seguici

11,409FansMi Piace

Condividi post:

spot_imgspot_img

I più letti

Potrebbero piacerti
Correlati