ANNA BOLENA torna in laguna dopo 168 anni

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Composta di getto fra novembre e dicembre del 1830 e subito rappresentata al Teatro Carcano di Milano, Anna Bolena fu accolta con un successo trionfale che dischiuse a Gaetano Donizetti le porte dei grandi teatri italiani e stranieri, consacrandone la fama europea. E’ lo stesso compositore a descrivere, in una lettera alla moglie, il clima d’entusiasmo che si registrò in sala al termine della rappresentazione: Successo, trionfo, delirio; sembra che il pubblico sia quasi impazzito. Nessuno degli spettatori ricorda di essere mai stato partecipe di un trionfo simile! Il tutto era nato dalla decisione di un gruppo di nobili e della ricca borghesia milanese che, in alternativa alla più rinomata stagione d’opera del Teatro alla Scala, aveva deciso di presentarne una di particolare interesse e splendore al Teatro Carcano, sala che fino allora aveva ospitato rappresentazioni di prosa o spettacoli lirici di minore importanza: fatte le cose in grande, scritturando il più gran tenore del momento, Giambattista Rubini, e un soprano di stellare levatura come Giuditta Pasta, senza dimenticare il fenomenale basso Filippo Galli. Nuovi i titoli, commissionati ai giovani operisti emergenti: Donizetti e Bellini. La prima rappresentazione di Anna Bolena coincise con l’apertura della stagione scaligera (fino all’inizio del novecento cadeva la sera post natalizia di Santo Stefano), che quell’anno si apriva con I Capuleti e I Montecchi di Bellini. In qualunque teatro era rappresentata, Anna Bolena fu un trionfo; nel 1831, Rubini e Giuditta Pasta, cantarono l’opera a Londra e poi a Parigi, prima opera donizettiana che si ascoltava in quei teatri, rimanendovi in repertorio per quasi cinquant’anni e stabilendo le basi della reputazione internazionale. La partitura costituì l’affermazione di uno stile musicale rinnovato, del tutto affrancato dalle residue influenze rossiniane che ancora erano presenti nelle produzioni precedenti. Nella musica di Anna Bolena si sente l’impegno di competere con l’amico e rivale Vincenzo Bellini: ma come sempre Donizetti vi affermò il suo personalissimo genio, definito in quegl’anni da Giuseppe Mazzini come “progressivo”. Ed è qui curioso ricordare come il grande patriota, ammiratore del bergamasco ma in special modo della Bolena, si trovò assieme a un altro famoso basso, Luigi Lablache, nel momento in cui questi visitava la Torre di Londra, per meglio cogliere lo spirito che lo avrebbe aiutato a impersonare Enrico VIII sulla scena. Il libretto di Felice Romani (il migliore tra i poeti e drammaturghi che nell’Ottocento contribuirono al trionfo del melodramma italiano), mette in scena l’infelice figura della moglie di re Enrico VIII d’Inghilterra, il quale – essendosi invaghito di Giovanna Seymour – tende una trappola ad Anna richiamando in patria Lord Percy, (che un tempo era stato l’amore della regina), e la calunnia, accusandola di adulterio. Condannata a morte, Anna respinge fieramente ogni compromesso: non le resta che subire la prigionia e salire più tardi al patibolo. Il compositore bergamasco fa sì che la vicenda umana della sua eroina vinca sulla trama storica che fa da sfondo alla vicenda. Va ricordato come la “Donizetti Renaissance” sia partita da Anna Bolena al Teatro Donizetti di Bergamo, dove fu riesumata nel 1956, dando l’inizio a quel fortunatissimo recupero delle opere del compositore che prese ancor più slancio dopo le leggendarie recite scaligere con Maria Callas nei panni della protagonista, accanto a lei Giulietta Simionato, Gianandrea Gavazzeni sul podio, la mitizzata regia di Luchino Visconti e le scene di Nicola Benois. In quell’edizione Leyla Gencer, debuttante alla Scala, era il “doppio” della Callas, ma senza diritto di recite. L’anno dopo, 1958, sarà la protagonista dell’incisione radiofonica, accanto alla Simionato e diretta sempre da Gianandrea Gavazzeni. Nel frattempo a New York l’opera era stata data in forma di concerto, iniziando a farsi conoscere in tutti i teatri del mondo. A Venezia Anna Bolena, è andata in scena nell’edizione critica curata da Paolo Fabbri in collaborazione con la casa musicale Ricordi e la Fondazione Donizetti.  Un’edizione che riapre i tagli che, fino ad anni fa, la prassi aveva imposto a una partitura giudicata troppo lunga. Lo stesso Maestro Gavazzeni, parlando della storica edizione scaligera, giustificò i tagli operati con la necessità di far conoscere questo melodramma senza impegnare gli spettatori oltre misura. Diventato oggi titolo operistico quasi di repertorio, è arrivato il momento di riscoprirlo nella veste che Donizetti aveva creato per la prima al Carcano di Milano. Nuova la produzione del Teatro lagunare, affidata alle totali cure (regia, scene e costumi) del veterano Pier Luigi Pizzi, light designer Oscar Frosio. Dominatrice della serata è Anna Bolena di Lidia Fridman. Dotata di statuaria presenza, è voce di soprano di colore ambrato che la fa essere più “scura” della Seymour; di consistente volume, bella proiezione, una voce che “corre” e squilla, particolarmente penetrante nell’ottava alta ma omogenea in tutti i registri, in un perfetto controllo di fiati. Puliti attacchi di voce, ottimo legato che si traduce in sicurezza e impeccabile tenuta per tutta l’opera senza ombra di cedimenti, domina in scioltezza tutta la tessitura. Ancora incompleta la profondità e la varietà di fraseggio e la personalità deve farsi più incisiva: alcune frasi, pur non mancando di autorità, sono sempre risolte nel canto. Così avviene in Come innocente/Non v’ha sguardo in cui trova accenti credibili, pur con acuti slanciati a dar risonanza alla voce. Capace di commoventi vibrazioni è meno intensa in Non v’ha sguardo ma sempre solida nelle colorature granitiche, sfuma e sobria nelle parche variazioni. In Dio che mi vedi, fa risaltare il canto piegandolo a “preghiera”. Partecipe nei momenti in cui deve esprimere la “sobria regalità” della regina ripudiata, è interprete meno originale nei passi spiccatamente drammatici – Giudici! Ad Anna! – dove è richiesto un temperamento e un’enfasi che dia risalto agli accenti e alle feroci invettive scagliate su Enrico VIII. Coinvolgente nel III atto: nel recitativo Piangete voi? e nella conclusiva aria Al dolce guidami sfoggia le doti migliori fondendo interpretazione con impeccabili qualità tecniche, rendendosi partecipe nella scena di pazzia coronando un’interpretazione carica di grande impegno. Più vittima che regina regale, piagata e dimessa, riesce nell’intento di disegnare la donna straziata da sentimenti i più diversi. Enrico VIII era un pregnante Alex Esposito, voce di basso che sembra essersi fatta ancor più ricca e sonora, imperativo in accenti regali e dall’imponente fraseggio, è dominante figura in scena e nel canto. Il ruolo del Re sia vocalmente sia scenicamente è ben sviscerato: Esposito ha maturato il personaggio infondendovi una precisa caratterizzazione; gli ha impresso, con un tagliente fraseggio e una perfetta vocalizzazione, una sinistra cupezza e un’efferata nefandezza. Unico neo: un eccesso di partecipazione a volte lo tradiva, in qualche rara occasione, “sporcando” nel parlato la linea di canto. Giovanna di Seymour, mezzosoprano sulla carta, è affidata a Carmela Remigio è voce di soprano lirico di non grande volume, dall’ottava superiore più chiara della protagonista. Pur in carenza di smalto e senza il dono di un velluto che si riverbera in sensualità, trova accenti partecipi offrendo un’interpretazione carica di pathos. Sempre elegante in scena, mostra Innanzi alla mia vittima accenti accorati, sfruttando un’ottava alta che risuona, mentre i centri sono meno consistenti e povero il registro basso, in cui il suono si fa artefatto per dare pregnanza al fraseggio, impegnandosi a fa valere la sua professionalità d’interprete, disegnando una Giovanna di Seymour appassionata e di rango. Lord Riccardo Percy Enea Scala voce di tenore contraltino, richiama i fasti della strepitosa voce di Giambattista Rubini, primo interprete. Lo strumento vocale è chiaro, esteso, ben proiettato, vibrante negli accenti e capace di sfumature e sottigliezze espressive. Supplichevole amante si fa struggente in Fin dall’età più tenera, resa in modo commovente, per farsi poi dolentissimo in Vivi tu, senza tema dell’acutissima tessitura. Coinvolgente interprete, rende l’ambiguità e la tragicità del personaggio, piagato e dolente per amore, che segue nel suo amaro destino la protagonista. Mediocre Smeton di Manuela Custer, contralto sulla carta, si salva per la giovanilità impressa al personaggio. Se il timbro è apprezzabile nei centri, la voce è gonfiata e povera di armonici nei bassi, essendo l’interpretazione di superficiale caratterizzazione. William Corrò bravo nel delineare le aspettative di Lord Rochefort, e la seguente statura di fronte alla morte, con voce dal sicuro registro grave. Luigi Morassi misurato Sir Hervey, completava il cast. Il Direttore Renato Balsadonna, alla guida dell’Orchestra del Teatro La Fenice, sfodera energia fin dalla sinfonia, per farsi suadente di brillantezza e vivacità, in tempi sempre sostenuti e di scandaglio della partitura. Sicuro concertatore attento a legare palcoscenico e orchestra, ha il merito di aver impresso al melodramma donizettiano una carica e una tensione serpeggiate in orchestra per tutta la durata, in una resa espressiva al calor bianco, a segnare il dramma esistenziale della regina su un tessuto orchestrale dal drammatico raccontare. Capace di elettrizzare, con una carica d’ispirata adesione, la compagine orchestrale diretta in una resa espressiva, contagiando anche il Coro, partecipe e preciso, diretto da Alfonso Caiani. Austero impianto fisso a volte, ideato da Pier Luigi Pizzi, a imprimere con grigi piombo e luttuosi neri – in cui emerge qualche pennellata di rosso negli iniziali costumi – e dar risalto alla cupa atmosfera che regna alla corte di Enrico VIII.  Messinscena di un’astratta essenzialità, condita da sporadici elementi simbolici e allusivi. Apprezzabile la regia di Pizzi quando opera sui singoli personaggi, statica e prevedibile invece sui movimenti delle masse. Successo calorosissimo per tutta la compagnia di canto, con particolare risalto per la Friedman ed Esposito. Un bel regalo alla memoria di Gaetano Donizetti. Al Teatro La Fenice di Venezia, recite fino al 6 aprile.

gF. Previtali Rosti

Foto Michele Crosera

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