Il nome della rosa, prima assoluta alla Scala

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Con la prima rappresentazione assoluta de Il nome della rosa, il Teatro alla Scala torna a rendersi protagonista sui palcoscenici internazionali nell’ambito dell’opera contemporanea. Si tratta del secondo progetto realizzato dal Teatro milanese, in collaborazione con la SIAE, coronamento del Concorso per compositori e librettisti aderenti alla Società Italiana Autori ed Editori che vide nel 2021, prima edizione riservata alla coreografia, Mauro Bigonzetti creare Madina, su musiche di Fabio Vacchi. Il nome della rosa, nuova commissione operistica del XXI secolo in un momento di fervida vitalità compositiva, liberamente tratta dal romanzo di Umberto Eco, è commissionata al compositore Francesco Filidei, dalla Scala insieme all’Opéra National de Paris, allestimento in coproduzione con il Teatro Carlo Felice di Genova. E’ questo il terzo lavoro di Francesco Filidei, dopo Giordano Bruno (Oporto, Casa da Musica, 2015) e L’inondation (Parigi, Opéra Comique 2019), che sceglie il famosissimo libro che Umberto Eco scrisse, suo primo romanzo, nel 1980, vero incrocio di generi che abilmente mescola il narrativo allo storico, non disdegnando puntate verso il filosofico. La trama si articola sul classico ritrovamento di un manoscritto in cui ilo giovane monaco Adso da Melk decide, alla fine della sua esistenza, di mettere nero su bianco i prodigiosi accadimenti vissuti nel periodo in cui era novizio. A fargli da maestro, vero e proprio precettore, quel Guglielmo da Baskerville chiamato a risolvere un complesso caso di morti misteriose all’interno di una grande abbazia benedettina che hanno spezzato la regolare vita monastica. Per questa nuovo lavoro a stendere il libretto, libero adattamento dall’opera di Umberto Eco, si sono messi il compositore stesso e Stefano Busellato con la collaborazione di Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti, creando due versioni, italiana e francese, per la prima milanese e per quella parigina. Francesco Filidei, mantenendo la suddivisione dell’opera nelle stesse sette giornate previste dal romanzo originale, sviluppa il discorso musicale come una struttura portante sinfonica, innestandovi una sbalzante successione di cosiddette arie e un’elaborata serie di recitativi a fare da tessuto connettivo. Attinge a piene mani al repertorio gregoriano, ora sagacemente variato ora citato paro paro, come il Sub tuum praesidium confugimus trasposto in identica notazione. Accanto all’utilizzo di un organico orchestrale di eterogenea e variegatissima composizione in cui risaltano glockenspiel, congas, crotales, maracas e campanacci da mucca, solo per citarne alcuni, troviamo usuali forme chiuse di fascinante bellezza, come i due finali, primo e soprattutto il secondo dell’opera. Il coro, voce di remota e immemore coscienza, tratta un prolungato uso del latino in maniera quasi parlata e statica, in cui il repertorio ancora in uso nelle comunità monastiche di antica tradizione – Iam lucis orto sidere e persin l’incipit di un Te Deum – la fa da padrone. In concomitanza con le rappresentazioni scaligere, recite sold prima ancora che l’opera andasse in scena, a Francesco Filidei sarà dedicata un’edizione monografica da Milano Musica. Coinvolgente lo spettacolo diretto da Damiano Michieletto, capace di mantenere sempre alta la tensione da giallo storico e deduttivo, come Eco fa nel romanzo, avvalendosi della collaborazione delle scene di Paolo Fantin a recuperare già con l’ottagona forma, parte della ricca simbologia dell’originale. Da un composito e gran Bassorilevo escono corpi, a sembianza di vermi che si agitano convulsamente, preannuncio di giudizio universale.  Gigantescca miniatura con pulsante demonio, e gran quadrone di scorpioni a decretar la morte. Tutto è ingigantito a dismisura, ad amplificare emozioni e sentimenti. Lo stesso vale per la statua della Vergine, su cui va a rifugiarsi in grembo Adso, in un momento di estasi mistica, cantando l’invocazione Sub tuum presidium, classico tropario devozionale a Maria. Costumi di Carla Teti ben aderenti alle indicazioni del testo e luci sognanti e misteriose di Fabio Barettin. Salda e ben omogenea la compagnia di canto, tra cui spiccava Adso da Melk    affidato all’ambiguo timbro mezzosopranile di Kate Lindsey a evidenziare la giovanilità e la purezza d’intenzioni del giovane monaco, non ancora giunto alla spirituale maturazione. Suoi i momenti lirici più affascinanti e intensi del finale primo e secondo, in cui letteralmente si lascia andare a un gorgheggio alle prese con l’estasi amorosa da cui è investito. Lucas Meachem era un energico e imperativo Guglielmo da Baskerville cui solo si può rimproverare una non perfetta dizione italiana nei passi più spiccatamente declamatori. Jorge da Burgos        affidato al basso Gianluca Buratto, mostra timbro profondo e conturbante, animo che non  conosce misericordia e amore, in cui non sprizza la gioia, ravvoltolato nella cecità di tratti di profonda durezza e severità. Bernardo Gui con il particolare colore voce di Daniela Barcellona, ammanta il personaggio dei tratti feroci e inquisitori, facendo valere la sua professionalità. Fabrizio Beggi presta ad Abbone da Fossanova una voce dal non particolarmente ampio volume ma ben educata e piegata a sicuro fraseggio. Salvatore, interpretato a fondo dalla consumata perizia di Roberto Frontali, è sbalzato nella sfaccettata interpretazione del monaco ex dolciniano che si è ricavata una nuova vita in comunità. Remigio da Varagine è Giorgio Berrugi tenore dalla voce affilata e acuta, sagace e lucido nel descrivere gli accadimenti del passato eretico. Malachia si veste della voce di Owen Willetts, controtenore, espressivo nel rendere le sottese e laceranti contese amorose. Severino da Sant’Emmerano era un efficace Paolo Antognetti.  Il controtenore Carlo Vistoli nella doppia parte di Berengario da Arundel / Adelmo da Otranto è convincente attore, pregnante nel rendere la conturbante natura e i sentimenti che agitano il primo personaggio, quanto lacerante nei gridi di disperazione del secondo. Tutti efficaci e da lodare gli altri: la Ragazza del Villaggio / Statua della Vergine Katrina Galka, Venanzio / Giovanni Dalbena Leonardo Cortellazzi, Girolamo Vescovo di Caffa / Cuciniere Adrien Mathonat, Ubertino da Casale Cecilia Bernini, Michele da Cesena Flavio D’Ambra, Cardinal Bertrando Ramtin Ghazavi e Jean d’Anneaux Alessandro Senes. Il direttore Ingo Metzmacher dirige con sicurezza un repertorio di cui è specialista, in perfetta unione d’intenti con il compositore. Ottimo il Coro scaligero. Accoglienza trionfale per l’intera compagnia di canto e per il direttore Metzmacher. Al Teatro alla Scala, recite fino al 10 maggio.

gF. Previtali Rosti

Foto Brescia e Amisano

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