Prima prova milanese di un giovanissimo Mozart

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Mitridate, re di Ponto di Wolfgang Amadeus Mozart è sbarcato per la prima volta, seppur in forma di concerto, sul palcoscenico del Teatro alla Scala con Les Talens Lyriques diretti da Christophe Rousset e un’eccellente compagnia di canto, sia sotto il profilo vocale sia interpretativo. Opera seria in tre atti su libretto scritto dal poeta torinese Cigna-Santi ricavato dalla tragedia di Jean Racine (1673) che Giuseppe Parini aveva tradotto in idioma italico, rivestito pochi anni prima dalla musica di Quirino Gasparini per il Teatro Regio di Torino. Il libretto di Mitridate è un omaggio alla personalità dell’ultimo grande nemico di Roma, Mitridate VI Eupatore, vinto da Silla e Pompeo, soggetto ispirato sicuramente dal Winckelmann e dalle sue idee che si stavano diffondendo, di un ritorno all’antichità greca, a contrastare il decadimento rococò. Il giovane Mozart, dopo le peregrinazioni musicali nelle capitali della musica europea – dove sbalordì per le sue precoci doti – era attratto dall’Italia per tentare di imporsi nel paese che, per antonomasia, era il centro del melodramma. La fortuna baciò il giovanissimo Mozart con la “scrittura” per un’opera, commissione di inaugurare nel 1770 il Regio Ducale di Milano nella consueta sera di Santo Stefano, che dava allora inizio (dopo il tempo di Avvento in cui erano interdetti gli spettacoli) alla Stagione operistica di Carnevale e Quaresima. Tre arie erano già state scritte dal genio salisburghese ed eseguite in casa del conte von Firmian, attirandosi la benevolenza del Governatore austriaco, suo protettore. Inevitabili gli intrighi che accompagnarono la creazione dell’opera, scatenatisi alla notizia che un sì giovane compositore e, straniero per giunta, potesse avere le capacità di scrivere per il teatro un melodramma seria. Si giunse a consigliare alla primadonna Antonia Bernasconi, prima interprete di Aspasia, di interpolare nella partitura mozartiana brani tolti dall’opera di Quirino Gasparini; Mozart ebbe facilmente la meglio, giacché aveva scritto le arie considerando le capacità del soprano tedesco. La sera della prima vedeva il quattordicenne Mozart sedere al primo clavicembalo: l’opera fu calorosamente accolta – con ripetizione di singole arie – e riscosse un clamoroso successo, tanto da raggiungere ben ventidue repliche, a teatro sempre pieno. Da ricordare per curiosità come, alla fine di ogni atto, fosse inserito un ballo su musiche di Francesco Caselli, tanto da far durare la rappresentazione circa sei ore! In Mitridate, re di Ponto sono evidenti i progressi nell’orchestrazione e nella variabilità della forma, per tacere della sicura maestria mostrata nei pezzi vocali. Opera che è in sostanza una sfilata d’arie, di cui più di una molto avvincente, cui non si può chiedere (in errore di prospettiva storico-musicale) azione teatrale o concentrazione drammatica se non negli affetti e nello scandaglio degli stati d’animo dei personaggi. Mozart pensa ai cantanti e non al dramma, perché il pubblico del tempo si aspettava virtuosismi e colorature. Ecco allora che Mitridate, re di Ponto diviene oggi inevitabilmente una rassegna del belcanto, adeguandosi al tempo in cui fu scritta, dove la signoria assoluta è della voce sull’orchestra. Tutti gli occhi (e orecchie) erano puntati su Jessica Pratt che al momento sta vivendo un’indiscussa notorietà, veste “letteralmente”Aspasia non solo con la voce ma anche sfoggiando due abiti che non avrebbero certo sfigurato in scena. Il soprano australiano ha timbro limpido e dolce con screziature malinconiche, dotato di spiccate capacità virtuosistiche e per sicurezza di fonazione. Se impressiona tecnicamente con la prima aria, Al destin che la minaccia (accolta al termine da un’ovazione) caratterizzata da una serie impressionante di agilità, picchiettati taglienti, in cui sfoggia legato impeccabile e parche variazioni in una scrittura già florida, è con Nel sen mi palpita, commosso lamento di struggente malinconia che mostra le qualità d’interprete. Nel grave tormento mette la vocalità vertiginosa al servizio dell’espressività, in luminose arcate sonore. La passione non vuole attendere: con il recitativo Lagrime intempestive e la cavatina Pallid’ombre raggiunge l’apice interpretativo, sfruttando il cotè patetico del timbro, in struggente realizzazione a mezza voce. Qua e là qualche ondeggiamento si fa sentire e gli acuti sono troppo spesso attaccati con troppa veemenza. Curiosità c’era anche per Levy Sekgapane Mitridate, tenore sudafricano belcantista il cui repertorio include ruoli in opere di G. Rossini, G. Donizetti, W. A. ​​Mozart, in Italia ascoltato al ROF e al Donizetti Festival. Caldo timbro, volume non strabordante, sfoggia tecnica solida e, nei più ardui passi di bravura, evoca facilmente le prodezze di mitiche voci settecentesche. Nella difficile aria di sortita Se di lauri il crine adorno impressiona per la sicurezza nel dominare una tessitura ostica, infarcita di salti dal grave all’acuto, mostra bel legato e tenuta di fiati che gli consentono fascinose mezzevoci. Appassionante e vibrantemente espressivo nei recitativi accompagnati dove agisce quasi teatralmente, si fa addirittura febbrile in Quel ribelle eseguita con gran concitazione, sfoggiando vigore e trascinante fraseggio. In Tu che fedel mi sei, aria che valorizza il patetismo dell’interpretazione, è impeccabile nei veloci trapassi dai tempi lenti a quelli che richiedono vigore, con uso della coloratura sempre a fini espressivi. In Già di pietà mi spoglio esplode letteralmente il furore del re, ma tutto giocato sul canto e gli acuti, senza aver tagliente squillo, sono vibranti; nella successiva aria di furore, Vado incontro, scocca come dardi gli acuti. Straziante nel recitativo finale dove, con un filo di voce, si prepara alla morte. Olga Bezsmertna Sifare, voce di soprano dal colore vagamente ambrato, omogenea nei registri, fluida nella coloratura mostra in Soffre il mio cor con pace bella “messa di voce”, corona di una palpitane espressività. Risolve in morbidezza di fiati e smorzandi intrisi di passione Parto. Nel gran cimento e nel duetto con Aspasia, vero distillato di affetti prelude a Lungi da te mio bene in cui crea, con mezzevoci flautate, una struggente atmosfera di puro sogno. Qualche cedimento nel prosieguo, in Se viver non degg’io duetto con l’amata, risulta più stridula che amante e in Se il rigor, la voce spinge troppo gli acuti. Rose Naggar-Tremblay Farnace di buon timbro mezzosopranile, senza avere un metallo di prim’ordine sa farsi valere, caratterizzata da versatile e creative personalità. La tessitura non la impensierisce quando la voce non arriva alle note più basse, usando con intelligenza e gusto suoni di petto. Venga pur, minacci e frema è eseguita tutta di piglio, dove i bassi sono ben mostrati. Va l’errror mio palesa in rapinosa velocità d’esecuzione; in Son reo mostra fiera baldanza d’interprete, senza mai oltrepassare i limiti. Già dagli occhi intensi sono gli accenti di pentimento, placida espansione di affetti. Maria Kokareva è Ismene dal piacevole timbro, esegue In faccia all’oggetto brillando per veloce coloratura e So quanto a te dispiace con preziose volate. Nina van Essen è un Arbate di lusso dal bel timbro, voce squillante e penetrante. In L’odio nel cor frenate fa vibrare il personaggio. Alasdair Kent è un Marzio ben caratterizzato nell’unica aria (anche se ininfluente ai fini dell’azione) Se di regnar sei vago, disimpegnandosi con sicurezza e proprietà di vocalizzazione. Ottima la direzione orchestrale di Christophe Rousset alla guida de Les Talens Lyriques, ensemble da lui fondato, a partire dalla brillante sinfonia, sa farsi poi riflessiva nei momenti estatici e lirici, elettrizzante e di vigore nei passi drammatici, sempre precisa e variegata nelle sfumature. Puntuale concertatore. Ripetute chiamate al termine dell’esecuzione per l’intera compagnia di canto e al direttore, dopo che a ogni aria erano state tributate calorose approvazioni. Al Teatro alla Scala, 18 maggio.

gF. Previtali Rosti

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