Con La Trama Fenicia, Wes Anderson firma forse il suo film più coeso da Grand Budapest Hotel in poi. Più compatto del frammentato Asteroid City, meno spiazzante dell’intreccio teatrale di The French Dispatch, questo nuovo capitolo del suo universo estetico e narrativo ha il pregio di non perdersi per strada: ogni cosa torna, si richiude, si specchia.
Ma sarebbe ingenuo aspettarsi una svolta. Anderson resta fedele a sé stesso: inquadrature simmetriche, piani sequenza studiati al millimetro, attori feticcio in ruoli scritti con la carta carbone delle sue ossessioni. Anche stavolta c’è un microcosmo di personaggi stralunati: imprenditori in fuga, suore rampanti, complotti economici, e un’umanità che si rifugia nella buffoneria per sopportare l’assurdo.
La storia è quella di Zsa-zsa Korda (Benicio del Toro), un magnate internazionale sopravvissuto a numerosi attentati, che decide di riconnettersi con sua figlia Liesl (Mia Threapleton), una giovane suora, per nominarla sua erede. Insieme intraprendono un viaggio attraverso paesi immaginari, affrontando complotti industriali e crisi politiche, in un contesto che mescola satira e parodia.
Ci sono momenti di grande tenerezza, sequenze che sembrano litografie animate, e un uso del bianco e nero – nella sezione più intima del film – che funge da cornice emotiva e metafora: ciò che conta davvero non è il lascito materiale, ma quello affettivo, e tutto il resto è orpello.
A rendere il tutto ancora più equilibrato e comunicativo contribuiscono la fotografia morbida e precisa di Bruno Delbonnel e la colonna sonora di Alexandre Desplat, che accompagna il racconto con grazia misurata e melodia interiore.
Ma se la forma resta intatta, il mondo che racconta sembra sul punto di disfarsi. La struttura narrativa mantiene l’equilibrio visivo, ma tutto attorno aleggia un caos più scoperto, quasi cinico. Il fallimento non è solo quello dei singoli – un padre assente, una figlia riluttante – ma diventa sistemico, come se anche il set perfetto iniziasse a cedere da dentro. È una crepa morale che serpeggia dietro le battute e i colori pastello, un’ironia che scivola lentamente verso la disillusione.
La Trama Fenicia non introduce il tema del fallimento – da sempre presente nel cinema di Anderson – ma lo radicalizza, portandolo su un piano più politico e meno fiabesco. Un film che, pur restando profondamente andersoniano, guarda il mondo con un filo di amarezza in più.
Federica Guzzon