E’ sempre una prova ardua, per il lettore di un libro, assisterne alla trasposizione teatrale o cinematografica. Ognuno, infatti, si figura i personaggi secondo il proprio vissuto e le personali fantasie e spesso ne rimane deluso. A maggior ragione, poi, quando alla lettura si è affiancata una prima trasposizione visiva: lo sceneggiato televisivo RAI di Sandro Bolchi della fine del 1974, che, tra gli altri, aveva in cast personaggi del calibro di Lea Massari, Sergio Fantoni, Giancarlo Sbragia, Valeria Ciangottini.
Gode tuttavia, questo lettore, del vantaggio di non dover interpretare la trama, ma di poter invece apprezzare l’angolazione, la resa scenica, le scelte registiche.
L’adattamento Anna Karenina di Gianni Garrera e Luca De Fusco, prodotto dal Teatro Stabile di Catania e dal Teatro Biondo Palermo, con la regia dello stesso De Fusco, è al teatro Strehler di Milano dal 20 al 25 maggio. In scena, accanto alla protagonista Galatea Ranzi, Debora Bernardi, Francesco Biscione, Giovanna Mangiù, Giacinto Palmarini, Stefano Santospago, Paolo Serra, Mersila Sokoli, Irene Tetto.
Pur scritto quasi 150 anni fa, Anna Karenina di Lev Tolstoj indaga e descrive con raffinata precisione stati d’animo personale e dinamiche sociali e di coppia, con una modernità sorprendente che lo rende un grande classico senza tempo.
La sfida: come ospitare in poco più di due ore un affresco della società russa che si dipana in molte centinaia di pagine? Innanzi tutto, concentrando gran parte del focus drammaturgico sulla figura di Anna Karenina e tralasciando, per fare un esempio tra i tanti, tutto il percorso sentimentale ed esistenziale di Kitty e Levin.
Così come gli stilosi e fascinosi costumi d’epoca e la fedele ambientazione scenica, la recitazione non indulge in forzature e manierismi, ma restituisce fedelmente la potenza del testo, le cui frasi più significative sono di quando in quando proiettate in alto, per sottolinearne la valenza. Inoltre gli attori sono interpreti del proprio personaggio ma a volte anche narratori di quanto sta avvenendo, sia intervenendo da un palco a livello superiore del palcoscenico sia rivolgendosi direttamente allo spettatore, per completare la recitazione con altre prospettive.
Di grandissimo effetto, inoltre, il sottile schermo trasparente su cui sono proiettate vivide immagini di taglio cinematografico. A volte per introdurre scene più realistiche, come l’incontro erotico tra i due amanti. A volte, come nel finale, per esaltare, con grandissima potenza e con un efficacissimo primo piano, la bella prova attoriale di Galatea Ranzi, nel delirante e smarrito monologo, prima del (a quel punto inevitabile) suicidio.
Come nel romanzo, tutto inizia e termina con un treno. Nella scena finale travolge la sventurata Anna, irrompendo sulla scena come in una delle famose prime pellicole dei fratelli Lumiere, che, per la sua verosimiglianza a quei tempi incredibile, fece fuggire terrorizzati gli spettatori del teatro.
A chi scrive, in particolare, per efficacia visiva è rimasta vivida negli occhi l’immagine del grande panno rosso sospeso dal soffitto sul parto di Anna. Simbolo della passione che percorre il romanzo, ma anche di sofferenza, lacerazione e strazio dell’anima.
Sullo sfondo, a più riprese è descritta una società conformista e puritana, che privilegia l’apparenza alla sostanza (avere un amante è anche prassi diffusa, ma renderlo di dominio pubblico è inaccettabile) e che dissipa il proprio tempo in attività futili, che celano drammi irrisolti e insoddisfazioni profonde.
Guido Buttarelli
Anna Karenina