Roma, estate 1980. Goliarda Sapienza esce dal carcere di Rebibbia dopo aver scontato una pena per un furto. Nella detenzione ha stretto un legame con due giovani detenute, Roberta e Barbara, che continua anche una volta fuori.
Fuori, presentato in concorso a Cannes 2025, racconta questo passaggio con uno sguardo ellittico, fatto di silenzi, frammenti e ricordi. Un tempo sospeso che diventa racconto di una donna, di uno sguardo, e di una libertà difficile da etichettare.
«È tratto da due libri – spiega Martone – in cui lei mescola verità e immaginazione. Ho fatto lo stesso anch’io. Ho girato nella sua vera casa, nel carcere di Rebibbia con le detenute, ho rievocato la Roma del 1980 senza ricostruzioni, scavando con la macchina da presa nella città di oggi».
Mario Martone sceglie di raccontare un frammento preciso della vita di Goliarda Sapienza, ma da lì risale a ritroso, per accumulo e sottrazione. Un’esistenza segnata dall’invisibilità editoriale — L’arte della gioia fu pubblicato solo postumo e scoperto in Italia nel 2008 — ma anche da una scrittura libera, consapevolmente non riconciliata. Un’opera oggi riconosciuta tra le più potenti del secondo Novecento italiano e tra le più radicalmente femministe.
La forza del film non sta solo nel racconto biografico, ma nel modo in cui restituisce una visione del mondo. Goliarda non è messa in scena per essere spiegata o compresa, ma accompagnata. La scrittura, per lei, è una vocazione assoluta, una resistenza intima e politica.
Valeria Golino restituisce una Goliarda sognante e concreta, leggera e inafferrabile, che abita lo spazio con una grazia silenziosa. La sua interpretazione è fatta di pause e ascolto, mai dichiarativa.
Accanto a lei, Matilda De Angelis ed Elodie portano in scena due figure femminili diverse ma profondamente autentiche. Tra le tre, il legame si costruisce per sfioramenti, intese, brevi gesti che hanno il peso dell’irriducibile.
Martone evita la ricostruzione cronologica e lavora per scarti visivi, ellissi, gesti minimi. La regia è sobria, il montaggio è a tratti spezzato, come la memoria che cerca di ricomporsi. La fotografia gioca con luci neutre e ambienti spogli, in cui le relazioni emergono per contrasto e prossimità.
Il carcere, qui, non è un limite ma una soglia.
Uno spazio in cui Goliarda trova un nuovo linguaggio e un nuovo modo di appartenere.
Fuori dal carcere, tutto sembra più difficile da abitare: i salotti, l’editoria, la società. Ed è proprio in questa tensione tra “dentro” e “fuori” che il film trova la sua forza più intima.
Cos’è davvero il “fuori”?
Martone non dà una risposta, ma la cerca negli interstizi, nei vuoti, nella possibilità di costruire legami non fondati sul potere ma sull’ascolto.
Fuori è un film che non cerca soluzioni ma aperture proprio come faceva Goliarda Sapienza stessa.
Un’opera discreta, a tratti spigolosa, che trova la sua forza nei margini.
Non un omaggio, ma un incontro.
In sala dal 22 maggio, distribuito da 01 Distribution.
Federica Guzzon