Gli appassionati d’opera si sono dati appuntamento al Teatro Regio di Torino per non mancare all’appuntamento con una vera rarità Hamlet, che con raffinata lungimiranza e coraggio di proposta, la direzione artistica del Regio ha messo in cartellone per la fine stagione 2024/25. Si tratta effettivamente della prima rappresentazione assoluta, in forma scenica, della versione per tenore dell’opera di Ambroise Thomas, nel nuovo allestimento affidato a Jacopo Spirei. Thomas Charles Louis Ambroise, vincitore nel 1832 del Prix de Rome, riuscì negli anni successivi a mettere in evidenza le sue doti di autore teatrale, principalmente all’Opéra-Comique, con una vasta produzione nell’arco di un cinquantennio, trovando in Mignon e in Hamlet i momenti migliori. La vasta sua produzione lo fa annoverare tra le figure di prestigio nel movimento dell’opera romantica in Francia, pur non eguagliando il livello di Gounod, Berlioz, Massenet, Bizet e Saint-Saens. Compositore di sincero dono melodico, gli si riconoscono forbita ricercatezza armonica e facilità inventiva che si traducono in immediatezza di comunicazione tali da giustificare la permanenza delle due opere maggiormente riuscita, nel repertorio francese. Da ricordare infine per essere stato, tra le varie cariche, insignito del posto che fu di Gaspare Spontini all’Académie des Beaux Arts. Hamlet di Ambroise Thomas, composto su libretto di Michel Carré e Jules Barbier, andò in scena all’Opéra di Parigi nel 1868, cui arrise grande successo, tanto da essere in Francia costantemente rappresentata per oltre settant’anni. La base del libretto è la famosa tragedia di William Shakespeare, interpretata con schietta sensibilità romantica e focalizzando sulla tormentata psicologia del principe di Danimarca. Oltre ad aver sfoltito il numero dei personaggi, il libretto devia dall’originale facendo complice del crimine la Regina Gertrude, così da rendere ancora più lacerato l’animo del protagonista che si dibatte violentemente tra vendetta e dovere filiale. Thomas inizialmente concepì il ruolo per il timbro di tenore ma, imbattutosi nella vocalità del baritono Jean-Baptiste Faure (creatore del ruolo baritonale in L’Africana di Meyerbeer nel 1865 e nel Don Carlo di Verdi, 1867), ne rimase così affascinato da mutar parere e adattare al registro vocale del primo interprete, instaurando così la tradizione esecutiva dell’opera, grazie a mattatori come Faure e poi Renaud o Lassalle. Anche in Italia Hamlet godette di una certa fortuna, nella traduzione di Achille De Lauzières, dovuta come sempre alla qualità e alla statura di cantanti che ne fecero un cavallo di battaglia. A veicolare la fama dell’opera di Thomas fu il leggendario Titta Ruffo che, come sostiene Eugenio Montale, per quest’opera aveva addirittura creato “suoni lugubri, che parevano uscire dal fondo di una tomba etrusca…” . Si applaude oggi al recupero della versione originale, curata dall’editore Bärenreiter, che restituisce al ruolo protagonistico il registro tenorile, consentendo così di riscoprire e verificare in palcoscenico l’idea autentica che aveva informato il compositore. Fantasmi, amore, follia e vendetta sono gli elementi che animano quest’opéra romantique andata in scena per la prima volta al mondo a Torino nella versione originale con il ruolo del titolo interpretato da un tenore, lo statunitense John Osborn, già primo a eseguirla in forma di concerto. Con un colore di voce romantico, Osborn è stato l’incontrastato dominatore della serata: piagato interprete, ha profuso nel personaggio del tormentato principe di Danimarca una ricchezza di sfumature, un variegato fraseggio e uno scavo di notevole intensità espressiva. Dagli accenti profondamente malinconici, sempre pregnante in scena sposa un timbro evocativo sfoggiando una dialettica sottile, morbida, accanto a partecipi abbandoni lirici. La voce, senza avere un volume trascinante mostra potenza e incisività, con acuti timbrati e squillanti. In O vin, dissipe la tristesse mette tutto l’impegno e vibra. Incarna facilmente il famoso dubbio amletico in Etre ou ne pas etre! con un uso sognante di mezzevoci e nella successiva Ombre terrible et cherie ha accenti ispirati, ricorrendo a frasi sul fiato ben sostenute, mezzevoci sonore ed espressive nella varietà di fraseggio e ponendo al centro il tormento interiore del protagonista. Accanto a lui, Sara Blanch, Ophélie, candida e aggraziata sì, ma decisa e appassionata, dalla voce lirica e penetrante, capace di espandersi ad onta del volume non consistente ma sempre ben proiettata. Nell’Atto II piega sicura la voce in frasi d’intensa espressività con bel legato, vibra in alto. In orchestra il ritmo si fa incalzante al giungere di Les serments ont des ailes che il soprano interpreta con virtuosismo ragguardevole, ottava alta spiegata e squillante. Impegnata nella celebre e virtuosistica aria della follia, A vos jeux dall’ispirata introduzione orchestrale mostra perfetta tenuta tecnica di fiati e impeccabile legato ma l’aria non ha il folle, eclatante brillio (anche se salutata da un’ovazione) della scena di pazzia. In Pale et blonde trova accenti malinconici e straniati, infastidita dai reiterati quanto inani contorcimenti e rotolamenti; sotto un gran velo mima la sommersione in acqua e con una fascinosa chiusa musicale esce di scena. Clémentine Margaine è una regina Gertrude di timbro penetrante e lussureggiante voce, che non avrebbe bisogno, come fa, di buttarsi sugli acuti con tanto peso vocale, ha dato credibilità al personaggio, riuscendo efficace per le intenzioni interpretative nel faccia a faccia con Hamlet nell’implorare la sua salvezza. Riccardo Zanellato vestiva i panni del re Claudius; voce opaca e schiacciata in acuto, che si salva per un fraseggio credibile di qualche traccia di rimorso. Il basso Marko Mimica, senza avere un timbro particolarmente profondo, presta screziature di voce inquietanti a rendere spettrali i detti del defunto sovrano. Completavano egregiamente il cast: Julien Henric Laërte dalla corretta linea vocale e dagli acuti timbrati, Nicolò Donini corretto Polonius, Tomislav Lavoie Horatio dal timbro un po’ piatto, Alexander Marev Marcellus, Janusz Nosek e Pierre-Antoine Chaumien nei ruoli dei becchini. Ottima la direzione orchestrale del Maestro Jérémie Rhorer, che impreziosisce la partitura con raffinate sfumature, facendo emergere con profonda conoscenza e adesione, le contrastanti atmosfere. Sicuro nei passi squisitamente sinfonici, esalta tutte le pagine con indubbia sensibilità, disvelando le potenzialità espressive insite in Hamlet; ma per tutto il corso della lunga partitura il controllo è completo, alla guida della bella Orchestra del Teatro Regio, traducendosi in finezza e fantasia di tonalità morbide e una particolare sensibilità per le atmosfere allucinate e sombres. Efficace il Coro, preparato da Ulisse Trabacchin, splendido nella pagina en coulisse. Apprezzabile spettacolo, nel visionario l’allestimento firmato da Jacopo Spirei che, se inizialmente è dì visivo impatto per la debordante lettura psicologica e scandaglio dell’animo di Hamlet, alla lunga mostra un sovraccarico di posticcia simbologia che finisce per andare a detrimento dell’azione. Scene di Gary McCann, costumi di Giada Masi, sempre efficaci le luci di Fiammetta Baldiserri. Calorosissima accoglienza a tutta la compagnia di canto, con vere ovazioni per Osborn, Blanch e il direttore Rhorer. Al Teatro Regio di Torino.
gF. Previtali Rosti