Dialoghi spirituali tra cielo e terra

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Dialogues des Carmélites, l’opera che Francis Poulenc scrisse in prima assoluta per il Teatro alla Scala è in cartellone, per la prima volta nella sua lunga storia, alla Fenice di Venezia, nel fascinoso allestimento con cui la regista Emma Dante ha inaugurato la Stagione dell’Opera di Roma la scorsa stagione. Accanto al piacere di vederlo, si aggiunge la curiosità per l’adattamento al palcoscenico lagunare e per il radicale cambio di cast rispetto all’edizione romana, di cui resta solo Anna Caterina Antonacci. Dialogues des Carmélites è un’opera in tre atti su musica di Francis Poulenc, libretto d’Ernest Lavery dall’omonimo celebre lavoro di Georges Bernanos (ricavato a sua volta dal racconto ‘Die letzte am Schafott’ di Gertrude von Le Fort). I Dialoghi furono commissionati dal direttore delle Edizioni Ricordi, e Poulenc impiegò tre anni per portare a termine il nuovo lavoro, finito nel 1956. L’opera, andata in scena in prima assoluta al Teatro alla Scala il 26 gennaio 1957, fu data in lingua italiana, mentre il 21 giugno dello stesso anno, a Parigi, le rappresentazioni furono nell’originale francese. Subito dopo seguirono le recite a Colonia e San Francisco. Da allora l’opera è entrata stabilmente nel repertorio dei maggiori teatri, una delle poche opere contemporanee, e questo può in parte sorprendere, pensando che la forma di questo lavoro, costruito attorno a dei dialoghi, è molto vicino al linguaggio parlato. Quasi totalmente priva di grandi slanci lirici, con un’orchestrazione in cui predomina il ritmo, unitamente a dei bruschi cambiamenti d’intensità e di tempi, è il testo francese a essere messo in grande rilievo. Poulenc non fa mistero di annettere grandissima importanza alla precisione e scavo della parola nella declamazione. Nell’orchestrazione riconosciamo l’utilizzo, di memoria wagneriana, del leit-motif ma ripensato in maniera originale: non più legato al singolo personaggio, ma al tipo di qualità morale di cui è l’emblema. Il musicista, che visse in maniera cortesemente partecipe l’evento culturale della prima mondiale scaligera, desiderò per la rappresentazione parigina un clima più raccolto, più aderente ai dettami e alla temperie in cui Bernanos immerge il dramma. Il testo s’ispira a un fatto storico: dopo più di due secoli, assistiamo ancora con un fremito al martirio di un gruppo di suore carmelitane, avvenuto in piena Rivoluzione Francese, accusate di complotto, che scelgono la morte all’ingiunzione di lasciare il loro ordine. Ai piedi del patibolo, di fronte alla morte imminente, le religiose cantano la loro angoscia, ma anche l’abnegazione e il dono di sé: piena adesione a una fede incrollabile. Una di queste, Suor Marie, l’unica sopravvissuta, pubblicò le sue memorie, riprese da Gertrud von Le Fort nella novella la Dernière pour l’échafaud (L’ultima al patibolo) del 1931: Georges Bernanos farà di quest’episodio una pièce teatrale nel 1949, servendo da base per la sceneggiatura che Raymond Brückberger e Philippe Agostini ricaveranno per il film con Jeanne Moreau e Alida Valli. E’ un’opera che tratta di religione, ma non è certo un’opera religiosa, perché i sentimenti messi in luce sorpassano questa dimensione. Il tema del combattimento tra una forma d’oppressione, di qualunque natura, e una particolare idea di libertà è un soggetto particolarmente caro all’opera del XX secolo. Composto in un’epoca di grandi sperimentazioni timbriche, Dialogues des Carmélites è un lavoro musicalmente intrigante che non scivola mai nel sentimentale. Storia di voci e sentimenti femminili, con al centro la figura di Blanche de la Force e della sua paura: paura della vita, paura della morte, paura della paura, ma che si riscatta nel finale, salendo volontariamente al patibolo in un’esaltazione mistica. Partitura musicale che non sfrutta l’azione come siamo soliti vederla in un’opera, ma si affida alla pregnanza di concetti sociali, politici e religiosi che si trasformano in intensità teatrale, capace di coinvolgere lo spettatore e portarlo a riflettere sui temi della solitudine e della morte. Proporre quest’opera è pur sempre una scommessa, perché richiede un impegno allo spettatore, sia per la tematica trattata, sia per l’assoluta necessità di seguire il testo su cui la musica s’innesta, vivendo questa in stretta simbiosi con le parole. Peccato che la Fenice, con un pubblico internazionale, non abbia proposto i sopratitoli in lingua originale.  Questi Dialogues des Carmélites significano soprattutto il bellissimo spettacolo coprodotto dal Teatro La Fenice con l’Opera di Roma, nell’allestimento visionario e pregnante firmato dalla regista Emma Dante, in debutto sul palcoscenico lagunare, coadiuvata da Carmine Maringola per le scene, Vanessa Sannino per i costumi, Cristian Zucaro per il light design e Sandro Maria Campagna per i movimenti coreografici. Spiritualmente stregante per compenetrazione tra canto, musica e azione. Spettacolo mistico ed efficace, alta lezione di teatro fatto con intelligenza, costruito su una regia meticolosamente studiata e capace di dare significato al minimo gesto. Così d’intenso patetismo è il congedo di Blanche dalla vecchia Priora, la preparazione del cadavere sullo sfondo di un impressionante ossario, la spoliazione dei simboli…Le molte scene si susseguono senza dover operare “stacchi”, in un fluire naturale. Lo spazio e le stesse “forme sceniche” sono create da comparse in silenzioso movimento, così come le luci, parte integrante dello spettacolo, definiscono e rivelano i diversi momenti della storia. Spettacolare il momento di allineamento finale, vera fuga prospettica, di precedenti cornici e “quadri” e confessionali ormai vuoti, che diventan forche caudine per salire al patibolo. La concertazione di Frédéric Chaslin, alla guida di Orchestra e Coro del Teatro La Fenice era esplicata tutta in rutilanti sonorità, e, al netto dei momenti lirici, troppo marcatamente presente in fisicità sonore, sorvolando su scavo e introspezione della partitura, privando di quel crescendo d’attesa che porta allo splendido finale: la Salve Regina, ritmata da colpi della ghigliottina, senza drammatica spiritualità o mistica ascesa. La veterana Anna Caterina Antonacci Madame de Croissy profonde tutta l’energia e il carisma artistico di cui la conosciamo capace, toccando punte di tagliente intensità nella straziante e drammatica morte della vecchia Priora. Ad onta di un’organizzazione vocale non più adamantina e salda, spesa in più di quarant’anni di carriera, sa sfruttare anche gli stridii a fini interpretativi. Vanessa Goikoetxea è convincente interprete di Madame Lidoine, preoccupata della sorte delle sue “figlie” nella prima perorazione, lo è ancor più in Voilà que s’achève, di una rassegnata aderenza alla divina volontà.  Peccato spinga e traduca gli acuti in laceranti urla, forse per superare la barriera del suono orchestrale che si trova davanti. Deniz Uzun presta a Mère Marie de l’Incarnation un bel timbro caldo e rotondo, avvolgente, ricco di vibrazioni, in bella dizione francese.  Intensa e trascinante interprete, purtroppo anch’essa afflitta dall’ansia di buttarsi di peso sugli acuti che si stimbrano, mentre sarebbero comunque sonori senza l’enfasi impiegata. Julie Cherrier-Hoffmann, Blanche caratterizzata da uno strumento vocale modesto e di pochi colori, non riesce nel controllo degli acuti. Come interprete è fondamentalmente insapore e incapace di esprimere l’ansia della paura di cui ha l’anima impregnata. Juan Francisco Gatell Le Chevalier, bene in voce, cui giova molto più la dizione francese di quella italiana, è credibile e imperativo nel fraseggio, commovente e accorato, ansiosamente preveggente della sorte, nel secondo colloquio con la sorella. Calzante presenza scenica di Armando Noguera quale Marquis de La Force dal troppo ampio volume di voce. Fresca e giovanile Soeur Constance de Saint-Denis di Veronica Marini, fraternamente espansiva. Valeria Girardello Mère Jeanne di buon timbro e di sagace fraseggio. Completavano il cast: Loriana Castellano, Soeur Mathilde, Jean-François Novelli, l’Aumônier ben configurato in convincente ed espressivo fraseggiare, Gianfranco Montresor, Officier, Marcello Nardis, bonario primo Commissaire, Francesco Paolo Vultaggio, di gustoso timbro brunito, interpretava in funzionale differenziazione i quattro ruoli minori di Le Geôlier, il secondo Commissaire e Monsieur Javelinot. Successo calorosissimo da parte di un pubblico partecipe. Al Teatro La Fenice di Venezia, in scena fino al 1 luglio.

gF. Previtali Rosti

Foto Michele Crosera

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