Nel 2006 Roberto Saviano aveva ventisei anni, ed era convinto di non arrivare ai trenta. Oggi è diventato un simbolo – forse la cosa peggiore che può succedere a uno scrittore -, oppresso da un senso di solitudine che nasce dall’impossibilità di sbagliare. Vive recluso, senza vederne la fine. Ma continua a scrivere. Senza recedere di un passo. Con l’ambizione delirante di far vedere quello che la cronaca non ti mostra o ti mostra solo a pezzi. Sorretto, corpo e anima, da quella dannata ossessione di cambiare la realtà.
Pubblica “L’amore mio non muore” (edito Einaudi Stile Libero), ne nasce un recital teatrale per la regia di Enrico Zaccheo e lo porta in tour. Dopo il debutto dello scorso 12 maggio all’Arcimboldi di Milano, lo spettacolo, prodotto e distribuito da Savà Produzioni Creative, farà tappa il prossimo 8 luglio a Sogliano al Rubicone (FC) per l’VIII edizione di “Notturni nel bosco”; proseguirà poi il 4 settembre 2025 al Romano di Fiesole (FI) e il 14 ottobre 2025 all’Augusteo di Napoli.
Una storia che vibra di indignazione civile, ma soprattutto di una dolente, struggente umanità. Gesto d’amore o pubblica accusa?
«Per me un modo per restituire a Rossella Casini un corpo, quello che le è stato sottratto con il suo omicidio barbaro. Di lei non doveva restare niente. Ho scritto di lei per restituirle anche un posto, in questo modo, e per raccontare una diversa declinazione della lotta antimafia; una lotta che questa volta è avvenuta non in nome della giustizia, non per vendetta, non per la legalità – tutte declinazioni fondamentali, vitali, direi – ma condotta in nome dell’amore. Ecco, questo non era mai accaduto. Non mi era mai capitato di imbattermi nella storia di una persona che ha davvero creduto, perché Rossella ci ha creduto, di poter sconfiggere la ‘ndrangheta per una possibilità di felicità attraverso l’amore.»
Scrivere può ancora essere un atto di resistenza?
«Scrivere resta forse l’atto di resistenza più potente che esista. Si scrive per sé stessi? Per una urgenza personale? Sì, ma non è sempre così. Più spesso si scrive per gli altri, per una condivisione immediata. Ma c’è dell’altro: chi scriverebbe mai se non pensasse che le proprie parole possano arrivare lontano, non solo nello spazio, ma anche nel tempo? Si scrive anche per chi verrà, perché le storie di oggi possano essere la memoria di domani. Mi piace pensare che Rossella possa essere ricordata e che di lei si possa parlare non solo oggi, ma anche negli anni a venire. Questo è il desiderio di ogni scrittore, essere e rendere immortali grazie alle proprie parole.»
Amare è fare militanza per una società diversa. Esorterebbe i suoi figli a “cadere in battaglia” in nome di un sentimento?
«Forse no. Anzi sono certo che non lo farei. A dirla tutta, sarei più prudente io stesso se mi fosse data la possibilità di tornare indietro e riscrivere “Gomorra”.»
Ritiene che, in una società come la nostra, che ricorre ai filtri per raccontare e raccontarsi una realtà diversa, più interessante, la vecchia foto in bianco e nero di una studentessa universitaria possa fare la differenza?
«Secondo me sì. È una foto unica; è l’unica immagine che abbiamo di Rossella Casini e, attraverso quella foto, dobbiamo ricostruire il suo mondo, dobbiamo immaginarla parlare, cantare, sognare, piangere. Quella foto è interessante forse proprio per la sua autenticità. Nessun filtro, nessun trucco. Una ragazza che si innamora e in nome di quell’amore, e della felicità che promette, rivoluziona la sua vita fino al punto di sfidare un boss e chiedergli: “Ferma la faida in nome del mio amore!”, quanta potenza in questa ingenua pretesa. Quanta potenza in una ragazza poco più che ventenne. E questa potenza è racchiusa in quell’unico scatto: la foto sul libretto universitario di Rossella.»
Di Rossella Casini, stuprata e fatta a pezzi in quel maledetto 22 febbraio 1981, resta intatta la fede nella capacità di amare. Roberto Saviano in cosa crede?
«Io credo che la felicità non sia una pratica individuale, credo che per essere felice io, devo vivere in un mondo di persone felici. Io credo che la funzione primaria della politica sia far stare bene le persone, non spartirsi sfere d’influenza. Io credo che i diritti acquisiti vadano difesi e credo che sia fondamentale estendere diritti piuttosto che comprimerli. Io credo nella potenza del racconto, nella forza evocativa della musica, credo che un libro possa davvero salvarti la vita, cambiandola, alleggerendoti da una fase di depressione. Credo nella condivisione, credo sia fondamentale discutere, litigare, esprimere sempre il proprio punto di vista con coraggio e convinzione. Credo che cambiare idea sia sempre un’opzione da tenere presente. Credo che se Michela Murgia fosse ancora qui, mi sentirei più sereno.»
Gino Morabito