di Tommaso Chimenti
FIRENZE – A volte camminiamo in alcuni luoghi, dandoli per scontati, e riusciamo a contemplarne soltanto la bellezza nella sua superficialità, ma se veniamo edotti sulla loro storia amiamo ancor più quegli stessi posti. E’ l’effetto che ha suscitato la Passeggiata ideata dal regista Duccio Barlucchi all’interno di Villa Demidoff a pilotare un plotone di centinaia di curiosi che si sono accalcati e affrettati a seguire il demiurgo-pifferaio che ha curato le scelte di questo “Apparizioni nel Parco” (un successo per il secondo anno consecutivo, sostenuto dalla Città Metropolitana di Firenze), un progetto di teatro popolare, narrato e itinerante, nonché didattico, composto da dodici quadri per riportare alla luce le vicende che hanno segnato e caratterizzato i cinque secoli di vita del parco, della villa e le figure che l’hanno abitata, cambiata, avvolta nel mistero. Già perché tra questi viali, tra questi alberi secolari è come se si sentissero delle presenze immerse tra le grotte, gli stagni, al fianco di sculture imponenti come il “Gigante dell’Appennino” che con la sua barba domina il laghetto ricoperto di fiori di loto.
Diciotto attori coordinati dal Teatro d’Almaviva ci hanno condotto tra gli ettari della magione, istruendoci, teatralmente, su tutto quello che lì, in quegli stessi luoghi, è occorso, capitato, avvenuto. Due i filoni (1h 20′ per un riuscito esperimento tra natura ed arte) che hanno solcato e tessuto le trame degli affreschi proposti: da una parte la similitudine tra l’upupa, un bellissimo uccello dalle piume colorate che fu chiuso dentro una voliera dai signori che lì vivevano (e impersonato con grazia da Claudia Lo Faro), bello il costume dalle lunghe unghie ricurve), e la velata di nero luttuosa Maria Demidova (Lorella Serni una spanna sopra gli altri protagonisti), l’ultima principessa che qui ha abitato a cavallo del Ventennio fascista, e dall’altra il parallelismo tra Maria stessa e Bianca Cappello, l’amata di Francesco I de’ Medici, il fautore e costruttore delle meraviglie e magie che dentro la villa sorgevano.
Andiamo per gradi: siamo nel ‘500 e l’alchimista Francesco I della casata dei Medici, con l’aiuto di artisti-architetti come Giambologna e Buontalenti, vuole ricreare nel suo appezzamento alle porte di Firenze, sulle colline di Pratolino, una rappresentazione della Città Celeste, un giardino con giochi idraulici, fontane, allegorie, con automi, scherzi, grotte nascoste, il tutto dal sapore alchemico, esotico, cabalistico, ermetico, in un misto di eresia, teologia, botanica per costruire in terra un Nuovo Paradiso di fantasie e prodigi, “un mondo fuori dal mondo” per mettere ordine al Caos. Sposato con Giovanna d’Austria ma mai amata, era invece innamoratissimo di Bianca Cappello, con la quale ebbe un sodalizio passionale e intellettuale altissimo, una condivisione d’intenti e volontà, di saperi e studi formidabile. Una volta avvelenati dal Cardinale Ferdinando I (sempre del casato mediceo), invisi per via del tradimento e delle eterodossie che lì secondo la Chiesa si svolgevano, la Villa fu abbandonata per diversi secoli fin quando agli inizi del ‘900 la famiglia russa Demidoff, che ha dato il nome alla dimora e al suo gigantesco parco, costruttori di armi e proprietari di fabbriche, la acquisì e ne fece il suo fulcro.
Il Principe però fu ucciso nella rivoluzione d’ottobre del ’17 e la Principessa (da qui il suo vivo odio verso i comunisti) visse in una sorta di volontaria clausura (di mezzo secolo) tra quei prati e viali, come l’upupa nella sua prigione dorata. Barlucchi, con alcuni protagonisti e con l’ausilio degli allievi dei suoi corsi di teatro che si svolgono nello spazio de Il Progresso, è riuscito a ben raccontare le storie intrecciate, con ironia e drammaticità, con leggerezza e profondità, incuriosendo e tenendo incollati tutti con la bocca aperta nell’ascoltare vicende fiorentine ignote e nascoste ai più: anche questo fa il teatro, insegna, aiuta, salva. C’è il capo giardiniere Olmo (l’ottimo Alfredo Cavazzoni), collante nel percorso con quella vena schietta e popolana di umorismo semplice quanto fino, c’è Francesco I autorevole e dalla voce stentorea (ha carattere Paolo Cianchi), ed infine Bianca Cappello (l’incisiva Silvia Cristinziano). Da segnalare la scena dell’asta con gli schizzi sul pubblico (sembra quasi di essere nella vasca di fronte al Centre Pompidou a Parigi) o quella con i nazisti che sparano o ancora quella toccante dell’infermeria straziante tra pianti, morti e feriti insanguinati.
Sgusciamo tra i vialetti imbattendoci nella Peschiera della Maschera, svicoliamo negli immensi prati verdi, percorriamo sentieri ombrosi fino a giungere alla Grotta del Mugnone e successivamente alla Grotta di Cupido per la scena finale corale con i mezzadri contadini e con il bacio tra Maria e Bianca (niente di saffico soltanto un passaggio di consegne e di energie tra le due donne che più di altri hanno abitato questi luoghi che conservano ancora intatta tutta il loro incantesimo) e dove tutti gli attori, in un momento d’ensemble (tra lavandaie, cardatori di lana, calzolai e panni stesi), cuciono il filo e tessono la treccia di questo dipinto di un mondo antico che è riuscito, dopo tante traversie, ad arrivare fino a noi per essere goduto, liberamente e gratuitamente, da tutta la città e dai suoi abitanti.

